di Elvira Serra
Ripreso dal blog La Ventisettesima ora
«Perché un ragazzo dovrebbe sentirsi libero di piangere se questo, socialmente, equivale a una diminuzione della sua mascolinità?»
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Stati Uniti. Un bimbo sta per fare il vaccino, piange. Suo padre lo sprona: «Non piangere! Dammi il cinque! Ripeti con me: sono un uomo, sono un uomo!». Finisce che il piccoletto inghiottisce le lacrime e grida battendosi il petto: «Sono un uomo!». Ha trasformato la sua sofferenza in rabbia. Suo padre, gli ha fatto un gran male.
L’esempio viene riportato sul New York Times dal professor Andrew Reiner, che all’università tiene corsi dal titolo: «I veri uomini sorridono: la mascolinità sta cambiando faccia». Spiega quanti danni riescano ancora a fare gli stereotipi maschili. Per esempio, lì da loro, i ragazzi dopo il diploma proseguono gli studi meno delle donne, snobbano attività extracurricolari come musica o teatro, giudicate poco virili, si suicidano di più, in una proporzione di quattro a uno con le ragazze. Però continuano a fare squadra, a deridere le studentesse, a passarsi i giornaletti porno e a perdere tempo ai videogames. Tutto questo perché? «Per non invertire il naturale ordine delle cose», hanno risposto a Reiner.
In Italia cosa succede? Al vaccino il pargolo strillerebbe, ma il papà e la mamma non direbbero nulla perché sono più spaventati di lui. I bambini (e le bambine) crescono a pane e stereotipi. Il pediatra Paolo Sarti racconta: «Ricorda la pubblicità in cui un piccolo tiranno gridava con le braccia sui fianchi “mamma ho fame!” e lei estraeva dal congelatore un pasto già pronto da mettere sui fornelli? Sa quale messaggio sarà interiorizzato e quale risultato produrrà? Un adolescente prepotente».
È per contrastare questi modelli che Sarti ha fondato in Toscana «Maschio per obbligo», un’associazione che interviene nelle scuole per sensibilizzare adulti e studenti. Impresa non semplice, se si pensa a quanti luoghi comuni si annidino nei stessi libri per bambini, come raccontò Irene Biemmi nel saggio Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari.
La sociologa Erika Bernacchi, che su questi temi si è formata all’University College Dublin e che oggi lavora all’Istituto degli Innocenti di Firenze, spiega come la violenza sia un passaggio purtroppo obbligato nella crescita maschile. «Lo spogliatoio è un luogo cruciale, in cui si subiscono una serie di offese reciproche e si sente il bisogno di distanziarsi dall’ipotesi di essere gay per affermare la propria identità virile».
Non si può dare la colpa solo agli adolescenti. C’è una grande confusione, anche nella comunicazione dei messaggi sociali. Una donna con gli attributi aumenta il suo valore, un uomo sensibile è femminilizzato. «Perché un ragazzo dovrebbe sentirsi libero di abbracciare la sua emotività, se poi la vive come una diminuzione o una rinuncia alla mascolinità?», chiede Stefano Ciccone, docente a Tor Vergata e tra i promotori di«Maschile Plurale», associazione impegnata in riflessioni e pratiche di ridefinizione della identità maschile.
«C’è una discrepanza tra quello che i ragazzi dicono e quello che fanno», racconta Carmen Leccardi, sociologa dei processi culturali allaBicocca di Milano e coordinatrice del Centro interuniversitario sulle culture di genere che mette in rete Bicocca, Università di Milano, Politecnico, Iulm, Bocconi e Università del San Raffaele.
«Gli stereotipi sono talmente interiorizzati che un giovane uomo, magari, dichiara di avere una certa visione su di sé e sulle donne e poi però ne mette in pratica un’altra. Il problema è che anche quelli che hanno lavorato su di sé per lasciare uno spazio alle dimensioni emozionali e per non aderire al virilismo, poi si trovano costretti a incasellarsi in ruoli preconfezionati quando entrano nel mondo professionale».
È emblematica l’esperienza di Claudio Belotti, esperto di programmazione neurolinguistica. Lui incontra moltissimi manager che in ufficio sono impassibili e poi nei palazzetti dello sport si trasformano. Dice: «Purtroppo un uomo che si emoziona è considerato debole. Eppure i grandi leader della storia sono quelli che sono riusciti a comunicare agli altri le loro emozioni».
Twitter @elvira_serra