Papà, Papa, papi (o la reinvenzione della paternità)
di Alberto Leiss
Pubblicato sul Manifesto il 26 settembre 2017
A farci dubitare della consistenza personale e politica – per così dire – dell’essere padri oggi è arrivata anche la dichiarazione, tra una canzonetta e l’altra, di Grillo: dice di volersi ritirare ma resterà il buon papà dei bravi ragazzi che ereditano la sua impresa (che appartiene a un altro figlio di papà), i quali cominciano subito a guardarsi male e farsi dispetti.
Si parla spesso sui media e nei convegni della “scomparsa del padre” e anche dell’avvento di “nuovi (migliori?) padri”. Ma che cosa sta veramente succedendo nella vita reale e nelle teste concrete degli uomini che accettano l’avventura di contribuire alla nascita di altre creature?
La domanda è rimbalzata per due giornate, tra interventi dalla cattedra e più rilassate occasioni di scambio informale, al seminario organizzato venerdì e sabato scorsi (22 e 23 settembre) a Parma, per iniziativa dell’Università e del Comune, ma anche di esperienze associative che affrontano il tema: dal “Cerchio dei padri” al “Giardino dei padri” ai “Maschi che si immischiano”, oltre alla partecipazione di numerosi amici di “Maschile plurale”.
Due o tre cose che mi hanno colpito. Un accento pessimistico, venuto da Luigi Zoja (junghiano autore del libro Il gesto di Ettore, ora riedito da Bollati Boringhieri). E’ vero, di nuova (e vecchia) paternità si parla e si scrive molto, si fanno molti film ecc. Ma questo non significa necessariamente una reale presenza e trasformazione positiva. Di una persona – ha osservato in modo spietato Zoja – si parla molto e molto bene soprattutto in occasione del suo funerale. Altri dati poco incoraggianti sono il fatto, a quanto pare statisticamente provato, che da due decenni il rendimento scolastico degli studenti maschi cala (al contrario di quello delle femmine) e che la violenza percepita, per lo più maschile, aumenta.
Con il femminismo e la crisi del patriarcato si sperava nell’avvento di un mondo più pacifico, ma non sembra che stia succedendo. Il punto per lo studioso è che mentre nella donna la funzione materna è stabile e strettamente legata al corpo, la vita, la mente, per l’uomo la paternità è come staccata, e oscilla di più in relazione con le culture sociali e simboliche prevalenti. Se – in Occidente dalla rivoluzione francese in poi – l’autorità paterna “verticale” viene di fatto negata, evaporato il padre ci resta però il maschio, drammaticamente simile ai suoi cugini scimmioni che lottano a morte per la preda dell’altro sesso.
Un po’ più ottimistica l’analisi di Marco Deriu, tra gli organizzatori e organizzatrici del seminario. No qualcosa sta accadendo, una nuova paternità si può inventare, a patto di avere ben chiare le “sfide” che comporta. Si tratta di essere capaci di “esporsi” a esperienze nuove e profonde: riconoscere la propria intimità affettiva, fronteggiare l’aggressività e la forza che i figli, sin da quando sono piccolissimi, sfoderano nei tuoi confronti (tu che non vuoi cedere a tua volta alla forza e alla violenza), e misurarsi con l’autonomia e la libertà delle madri. Spesso – ha detto qualcun altro – ben ferme a difendere le prerogative e anche il potere del loro ruolo, pur volendo lavorare e “fare tutto”.
Il paesaggio maschile che occupa la scena pubblica globale non è incoraggiante. Per un Papa (padre simbolico) che ci sorprende, ricordiamo un papi che ci ha molto imbarazzato. E vediamo capi di grandi e piccoli stati che si provocano a suon di missili e bombardieri atomici. Chi avrà la gittata più lunga?
Ma non disperiamo. Abbiamo almeno un presidente del Senato che non allontana da sé la violenza di noi maschi.
Meno male che non l’abbiamo abolito?