Trascrizione dell’intervento tenuto a Schio in occasione dell’invito al ciclo di incontri Re-living
– 26 marzo 2018 –
di Mario Gritti
Per parlare di “Maschile Plurale” e della mia esperienza, inizio con la citazione di N., un uomo della nostra rete (la citazione è ripresa da un suo recente intervento all’incontro di Modena fra uomini della rete e da lui autorizzata):
<<Sono di Bari dove anni fa ho creato il Gruppo “uomini in gioco” poi dopo la separazione mi sono trasferito a Roma e partecipo a “Maschile in gioco”. Come sono arrivato?
Le porte di accesso sono importanti. Alcuni sono arrivati per via delle compagne, chi nel disagio con le figure paterne. Per quanto mi riguarda io ho sempre avuto un profondo disagio a rivestire quello che ci sia aspettava da me come uomo. Mi ricordo di una novella rabbinica di un tipo che si fa confezionare un abito. Alla prima prova c’era la spalla che non andava, il pantalone ecc. E il sarto gli diceva di dover adattare il suo fisico all’abito. E alla fine se ne uscì con tutte le posture che gli suggeriva il sarto. E i ragazzini dicevano ma guarda quello storpio. E lo storpio ero io. Maschile Plurale mi ha aiutato in questo percorso.
Si parlava di sapienza maschile, ma dovremmo parlare anche di bellezza maschile. Maschio è bello. Abbiamo tantissime immagini di un maschile orrendo. Ma come facciamo se non riconosciamo oltre al disagio anche un desiderio nascosto [ma] appena sotto quel disagio. Esattamente il contrario rispetto al pedaggio che io credevo di dove pagare nell’entrare nel mondo degli uomini. Più scaviamo nel nostro disagio e più facciamo spazio al nostro desiderio. Anche nello spazio pubblico. Per me sono forti gli input di presentare un modello forte. Come possiamo trovare un linguaggio altro e rivelare di essere un uomo che vuol essere sé stesso e allargare il ventaglio di quello che può essere un uomo. Dobbiamo allargare il confronto con il femminismo. Non è un caso che molte femministe ci attaccano. C’è molta acrimonia. Io sto facendo un lavoro di ricostruzione del mio modo di confliggere. IL gruppo romano è una grande palestra. Confliggere è positivo, basta non essere distruttivo. Il conflitto patriarcale è eliminare il nemico. Io voglio portare avanti le mie relazione private e pubblico e non voglio essere il paladino delle donne. Semmai il paladino di nuovi uomini>>
Buon sera a tutte ed a tutti. Sono Mario Gritti, vivo a Brescia, sono pensionato, da 16 anni partecipo al movimento- meglio dire sono stato preso per i capelli- preso, pescato come un pesce- nella rete di relazioni fra uomini. Prima nel gruppo uomini di Verona, poi anche nell’esperienza della rete (e della associazione che ne sta a servizio) “Maschile Plurale.”
Il gruppo uomini di Verona si è costituito nel novembre 2002 “da” alcuni uomini presenti al seminario di “Diotima” dal titolo <Donne e uomini anno zero>. Dovessi nominare con tre parole questa esperienza per me “spartiacque” la chiamerei:
“Lavoro in relazione, di trasformazione personale, di riconoscimento, consapevolezza e radicamento in me stesso.”
Per la ricerca di una nuova e più umana – morbida e porosa – modalità di stare al mondo, che non taglia la “mia interiorità” , quella soggettività unica di/in ogni essere umano, perciò universale; come dire : non senza di me!. Primum vivere, deinde philosofare.
Lavoro in relazione: pratica quotidiana di vita, luogo di trascendenza che rompe la asfissia del pensiero autoreferenziale. Significa che è la pratica relazionale a costituire la mappa in cui si svela e rivela traccia il sentiero. Luogo reale, in cui le persone quelle che mi sono vicine, con le quali “mi gioco”, sono quel che sono, non costrette ad essere come “io” vorrei che fossero!
Ho aperto la presentazione con “uno” dei bellissimi interventi che costellano ogni incontro fra uomini [N.] , con il desiderio di invitare e fare “entrare” ciascuna e ciascuno di voi, nel cuore vivo delle “narrazioni”, come per farvene ascoltare il respiro.
Ora, prima di dare alcune importanti informazioni su Maschile Plurale desidero esprimere due brevi riflessioni sulla “mia” esperienza. Maschile [prima parte del bellissimo binomio] nel mio simbolico è come il tronco di un albero, plurale sta ad indicare la rigogliosa fioritura di singolarità.
La mia provenienza, la mia storia – un tempo si diceva estrazione! – è fortemente segnata da vissuti improntati a modelli patriarcali. Questo per dire che il viaggio di “migrazione” verso altre pratiche e visioni non è precluso a nessuno! In fondo la specificità della mia piccola testimonianza nasce qui.
Voglio dire che sento ed un poco “patisco” le responsabilità legata al gesto di prendere la parola qui oggi: verso di voi tutte e tutti in primo luogo, poi verso i miei compagni di viaggio della rete, perché è quasi impossibile far vivere fedelmente “in pubblico”, una sia pure piccola rappresentazione di una realtà tanto ricca di storie singolari spesso narrate con grandi sofferenze, ma sempre più cariche di desideri di trasformazione e di libertà. Realtà profonda e radicata. Anche diffusa, nel mondo. E’ impossibile portare il “profumo” di desideri di trasformazione , di speranze di cambiamento…sarebbe come “baciare la fortuna in volo”. Ma grazie alle coordinatrici Valentina Sperotto, Lucia, Silvia Ferrari ed Alessandra a tutte e tutti voi, posso, possiamo insieme, provare a fare una piccolo passo e guardare verso l’impossibile”.
Responsabilità, infine, verso me stesso. “Prendere parola” mi riporta, ci riporta (con Alberto Leiss – fra gli estensori e primi firmatari ) a quel documento pubblico: ”La violenza contro le Donne Ci riguarda: prendiamo la parola come uomini…. . Per me è stata come una nuova iniziazione: l’esperienza nata e cresciuta dal quel momento in cui ho aderito all’appello. Ricordo l’incontro in quel teatro Romano…e ricordo il dolore quando in coscienza ho dovuto prendere atto del fatto di NON avere “una mia parola”: mi sentivo soffocare, privo di parola, muto….incapace nel 2006 di declinare al singolare il “CI riguarda” in “MI” riguarda. Allora mi sono chiesto cosa mi “sostiene” oggi, quale motivazione mi conduce qui davanti a voi, che fate della parola scritta lo strumento di narrazione di molti aspetti e vicende delle “nostre vite”? Fra voi donne e uomini, persone e passioni, vite dedicate a questa “missione-servizio”.
Mi hanno aiutato le parole di una donna (Natalìa “di” Vanni, qualche anno addietro) che mi ha orientato nella ricerca: “Tu non puoi parlare della violenza se non a partire dall’esperienza diretta che ne hai.”
Questo è stato: che la lenta apertura ad altri sguardi “maschili, la fiducia costruita nei nostri molti incontri, l’ascolto profondo e senza fine del mio disagio nelle relazioni, e poi l’ascolto delle storie dei compagni di viaggio, dell’“altro”- ascolto – poi ascolto- poi ascolto…l’attenzione al racconto, l’attesa e la faticosa ricerca di parole adeguate a dire della vita reale, affettiva, della ricerca di senso, l’umiltà che ne consegue come antidoto a non giudicare …l’esperienza di contenere simbolicamente in me stesso il “gruppo”, di contenere ed essere contenuto allo stesso tempo; l’esperienza di riconoscersi “solo” come parte…come preludio e via necessaria per incontrare forse l’unica possibilità di appartenere, sentendosi parte realmente! La forza nel sentirsi accompagnati nel percorso di destrutturazione della “vecchia e rigida immagine di sé”; lo sbriciolamento e dell’“idea” dell’altro come nemico (competitore), vie che aprono nuove opportunità relazionali, luoghi di vita. Riconoscersi e riconoscere; somiglianze e differenze, ecco direi questo percorso, lungo e faticoso di disarmo , fa nascere un nuovo sguardo su di sé, sulle relazioni, sulla vita! E la vita reale, per essere raccontata, “chiede e ricerca (parole di vita) ed alla fine direi che è la vita stessa a donare parole che segnano “la” trasformazione.! Parola che nasce dal travaglio interiore di rimettersi al mondo. Ora so a quale lingua appartengono queste parole: alla lingua della vita, la lingua madre. Lingua unica di ciascuna/o e universale.
Ecco il mio desiderio oggi. Che il mio-nostro “racconto” riporti anche soltanto la risonanza di queste parole capaci di curare antiche ferite, di rinascere simbolicamente dall’abisso in cui la violenza- la catena della violenza agita e subita – le aveva precipitate, capaci di ricordare anche solo l’eco di un racconto tanto autentico da essere vero , ed allo stesso tempo tanto condiviso da essere politico; ecco anche qui credo – si fonda l’autorevolezza che mi sostiene oggi a prendere parola. Come ho aperto la mia testimonianza con la citazione di “Nino” così passo parola per proseguire il cammino a Pierluigi Cappello.
“Fra l’ultima parola detta
e la prima nuova da dire
è lì che abitiamo”
Pierluigi Cappello