Mar 2008 “Alle origini del gruppo romano”
di Jones Mannino
Era ottobre del 2000 quando alcuni uomini provenienti da Roma si ritrovarono a un incontro nazionale di uomini organizzato in provincia di Torino, a Villar Pellice, dal gruppo uomini della comunità cristiana di base di Pinerolo.
Alcuni di loro (Stefano Ciccone, Claudio Vedovati, Andrea Baglioni e altri) si erano già incontrati qualche anno prima nei movimenti che, all’inizio degli anni ’80 avevano portato al centro della mobilitazione le lotte contro il nucleare militare (gli euromissili in sicilia) e civile (le centrali nucleari di Caorso e Montalto, Chernobyl e il referendum antinucleare), le denunce di un modello di sviluppo non più sostenibile, di un modo di produrre rovinoso per il pianeta, di un modo di fare scienza e di trasmettere i saperi funzionale ai poteri forti della politica e dell’economia, di un modo di fare politica fuori e dentro i partiti che aveva svuotato la partecipazione, corrotto il sistema politico, prodotto inefficienza, corruzione, violenza, e disaffezione dei cittadini per le istituzioni. Si tentava di affermare la necessità di un nuovo modello di sviluppo, di un altra qualità della vita e delle relazioni, di un nuovo sistema di relazioni tra i popoli e gli stati improntate alla pac e alla nonviolenza.
Erano anni in cui già si vedeva quanto in profondità il movimento delle donne avesse inciso con le sue mobilitazioni e le sue conquiste nella società italiana, nelle relazioni tra uomini e donne, risignificando concetti quali sessualità, famiglia, maternità e denunciando prima di chiunque altro quanto lontano dalla vita, dai corpi, dai bisogni e dalle relazioni, fosse il mondo della politica, dei partiti e delle istituzioni.
Le pratiche separate delle donne, il partire da sé, l’autocoscienza mettevano in crisi i modelli maschili di militanza e partecipazione, ridisegnavano a partire dalla propria esperienza e dal proprio corpo, campi del sapere e forme dell’agire, idee e pratiche, dalla scienza alla medicina, dalla storia all’antropologia, dalla filosofia alla psicanalisi, dalla politica al diritto, denunciando i limiti, la violenza, la parzialità e l’unilateralità camuffate da presunzione di neutralità, universalismo, oggettività e scientificità dei saperi tradizionali, delle forme della rappresentanza delle istituzioni e anche dei movimenti.
Alcuni uomini accettarono di misurarsi con tutto questo, interrogandosi su cosa potevano perdere e guadagnare, su quanto quel pensiero, quelle denunce, quelle critiche li mettessero in tensione e in discussione, e quanto al tempo stesso aprissero loro spazi, opportunità, occasioni di libertà e di scoperta su di sé, sul proprio corpo, sul proprio desiderio, sulle proprie relazioni, sulla propria sessualità, e per una pratica politica in grado di mettere al centro le differenze e le relazioni, la trasformazione nonviolenta dei conflitti.
Tracce di questa riflessione apparvero in alcuni giornali di movimento, in rarissime iniziative pubbliche e rappresentarono un occasione di riflessione per altri uomini di diversa provenienza geografica e culturale. A poco a poco, nacquero in Italia gruppi di autoriflessione maschile, tra questi: il gruppo uomini di Pinerolo, nato negli anni 90 per iniziativa di Beppe Pavan nel’ambito della comunità di base cristiana, che iniziò a diffondere il foglio “Uomini in Cammino” e e che tra il 1999 e il 2000 ha organizzato due incontri nazionali uomini, dando l’occasione ad alcuni di coloro che avevano dato inizio a questa riflessione a Roma nei primi anni ’80, di reincontrarsi e di iniziare un nuovo cammino insieme ad altri.
Il gruppo romano quindi, così nato o rinato, se si vuole, nel 2000 iniziò a incontrarsi una volta a settimana per alcuni anni per dare modo a ciascuno di raccontarsi, di riflettere, di scrivere, attraversando crisi, conflitti, abbandoni e trasformazioni. Nei mesi immediatamente successivi il gruppo ha accolto altri diventando occasione di confronto tra persone di sesso maschile ma anche di orientamenti sessuali diversi.
In occasione di alcune iniziative pubbliche (partecipazione come gruppo al gay-pride del 2000 e alle alle manifestazioni contro la guerra del febbraio 2003) si pose il problema di darsi un nome più leggibile di quello inizialmente adottato di “gruppo informale di auto-riflessione sul maschile”. Nasce così il nome di “maschile plurale”. Nel 2004 il gruppo arriva quasi a sciogliersi, colpito dal lutto per la scomparsa di Simonpietro Marchese, animatore e “segretario” dei nostri incontri, aspirante pastore valdese, instancabile sostenitore dell’accoglienza degli uomini e delle donne credenti omosessuali nelle comunità cristiane, padre “elettivo” delle due figlie della sua compagna, animato da quella che Pasolini chiamava “una disperata passione di essere nel mondo”.
Durante quella fase così critica nella vita del gruppo romano, un altro gruppo di uomini appena nato a Bologna chiese di poter riutilizzare il nome di “maschile plurale” temporaneamente non più utilizzato.
In questi ultimi anni il gruppo maschile plurale di Roma si è distinto per l’impegno dei suoi partecipanti nella costruzione di luoghi e occasioni di confronto misto tra uomini e donne (Il laboratorio “Sui generi” presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, il gruppo Intercity-Intersex), nel rafforzare i contatti e le relazioni con gli altri gruppi di uomini in giro per l’Italia, e nella promozione di una presa di parola pubblica maschile sui temi della violenza sessuale, dell’aborto, della legge sulla procreazione assistita. La promozione dell’appello degli uomini contro la violenza del settembre 2006, il migliaio di firme raccolte, l’elelvato numero di incontri e iniziative che ha suscitato, e la pubblicazione del sito www.maschileplurale.it ha portato alla nascita di un Associazione Nazionale “Maschileplurale” e al rafforzamento di una rete dei gruppi maschili, ognuno dei quali ha una sua storia, la sua specificità, il suo linguaggio ha animato e stimolato la riflessione maschile in Italia.
Quello che vorremmo evitare è che l’uso del nome “maschile plurale”, specialmente ad opera dei media, occulti queste storie e specificità di percorso e di linguaggio, producendo ancora una volta omologazione e appiattimento, e negandone la pluralità.
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