Medicina d’amore
di Giancarlo Viganò
Per me è orgoglio, un orgoglio d’anima. Cioè? Non lo so, ma sembra quella pressione interiore che così chiamiamo e che talvolta preme tra il petto e la testa. La sento più piena, rotonda. Quando la presento e dico lei è mia figlia, beh, sono orgoglioso. Ma non fraintendetemi, è una ragazza, – meglio, una donna trentenne – che ha, oltre a tante altre, una particolare qualità: è mia figlia. E mi riempio la bocca quando la presento: è mia figlia! E chissà perché mi si allarga il cuore d’orgoglio. In fondo è l’unica cosa (in senso lato, concedetemelo) che è veramente mia. Certo anche di sua madre, del suo fidanzato, del suo mondo intero, ma non è questa la sottigliezza. Laura è mia perché è mia figlia. Poi è di tutto il resto che va ben oltre il suo piccolo padre. Anzi, più è del mondo più sono felice perché è di se stessa.
L’amore per i propri figli è un sentimento certamente non assoluto ma parecchio diffuso. Talvolta assume caratteristiche che il codice civile definisce ” proprietà privata”! È mio figlio, ha una recinzione attorno che lo lascia libero per tutto tranne che per quello che ritengo sbagliato. Solo quelle tre o quattro cosette (pardon ho dimenticato lo zero) che proprio non…
Mio padre amava i suoi figli, era lampante. Quando arrivavamo in casa dei miei, intendo da ben adulti, il suo sguardo s’illuminava, specialmente da anziano perché prima, quando eravamo ragazzi, era severo e bacchettone. Mia madre era più nordica benché fosse per metà pugliese. Quando la mia mamma – mi piace dirlo, ha un bel suono – perse sua figlia, la quarta e più giovane, perse aria attorno a sé. Perse la gioia e la voglia di vivere. Come tanti genitori, anche loro cercavano di erigere steccati che l’onda di piena sempre travolge. Per inciso: mi manca quel loro sguardo.
I figli sono aria, quella più ricca di ossigeno che respiriamo. Aria d’alta quota. Certo, si può respirare bene anche in campagna, anche nel mar Morto – meno 423 metri sul livello di Riccione – io ho provato, si respira benissimo. Però… però.
L’orgoglio cui faccio riferimento prescinde da me e anche da mia figlia. In realtà non importa cosa lei sia, è un sentimento proprio “a prescindere”, è la sorpresa, la scoperta, la gioia di aver, seppur minimamente dal lato pratico ma molto di più dal lato simbolico, partecipato all’eterna giostra della vita, al suo circolo, alla sua riproduzione. E a prescindere è anche l’amore verso un tuo figlio perché è un amore indifeso, che si arrende alla sua essenza. Ed è proprio questo essermi sentito indifeso, e questo accettare “a prescindere” l’essenza dell’amore, che è stata, e immagino sia per quasi tutti, la rivelazione e la rivoluzione del mio diventare padre.
Ed è vero che, in qualche maniera il diventare genitore, è stato per me come un primo nuovo respiro di aria diversa. Come quello del figlio appena nato.
E allora, cos’è questa, l’apologia del genitore? Beh, insomma, per chi non ne ha, per chi è titubante, per chi è ancora in tempo – rimpiango di non avere avuto coraggio di averne altri – è una buona medicina d’amore. Guarisce da tante ipocondrie perché quando ami i tuoi figli può essere che ami di più il mondo.