Un quaderno speciale, come storicamente lo è ogni “quaderno del venerdì santo”. Una storia in forma di racconto breve, scritta da una giovane donna
D’improvviso, un gatto rosso
di Carlotta Giordani
La luce entrava tra le tende, una lama dritta in faccia, sveglia dolorosa, ma inevitabile, unico modo per farla arrivare fino alla cucina e alla prima tazza di caffeina. Con tutta l’eleganza che la contraddistingueva in quei primi movimenti del mattino, apriva la finestra e si levava il sonno dagli occhi. Non che avesse gran voglia di tornare cosciente, il mondo là fuori stava diventando un luogo fastidioso, dove la follia era la norma. Avviluppata nei consueti pensieri entusiasti del primo mattino, scendeva in cortile per buttare la spazzatura. Tra la plastica e il vetro, il suo sguardo veniva attirato da un guizzo rosso. Davanti a lei era atterrato un gatto.
Il gatto scuoteva la coda in bella vista con fare seducente. Destra e sinistra, destra e sinistra, destra e sinistra. La sua mano timorosa voleva toccarla, gli occhi fissi su quel dondolio. Destra e sinistra, destra e sinistra.
L’aria piena della plastica scaldata dal sole, la fine dell’effetto del caffè, il sonno che non se ne andava dagli occhi…le sue difese erano basse, impossibile resistere a quella coda, che andava prima a destra e poi sinistra. Che stretta allo stomaco, che innaturale rigidità nei movimenti. Era il caso di fare quel primo passo? Le labbra tremanti, un rigolo umido sul mento. Quella coda doveva essere sua.
Era l’erba piena dei prati a primavera, era la coperta della nonna, inspiegabilmente morbida dopo quarant’anni di lavaggi, era quella sigaretta in più rientrata a casa, la sera, d’inverno.
Ci era riuscita.
Come si trasporta un oggetto sacro lungo la navata di una chiesa, come le fedi a un matrimonio, faceva entrare quel gatto nella sua casa.
Croccantini, latte, tonno in scatola, lo nutriva e lo accarezzava.
Ogni giorno lo accarezzava e lo nutriva, e il gatto cresceva.
Un croccantino, una carezzina, un centimetrino. Una sardina, una carezzina, un centimetrino.
Era tutto così bello. Quanto faceva le fusa, quanto era contento quando col naso gli faceva il solletico sulla pancia delicata, era come appoggiare la faccia su un cesto pieno di cotone.
Un croccantino, una carezzina, un centimetrino. Una sardina, una carezzina, un centimetrino. Montava come la panna.
Le zampe ora erano grandi come arance, poteva tenerle strette tra le sue mani, era tutto così bello.
Non poteva resistere a quegli occhi pieni di desiderio, di cui sicuramente era lei l’oggetto, doveva dargli altro cibo, non poteva non accarezzarlo. Le sue zampe ora erano grandi quanto angurie.
Non ci stava più nella lettiera, non era un problema, poteva usare la sua vasca, tutto pur di sentire il dolce rumore delle sue fusa, che ormai ricordavano piuttosto felini di altra stazza. Che gioia accarezzarlo. Le sue zampe ora erano grandi quanto due flessuosi canotti, non ci stava più in cucina. Non era un problema, poteva stare nel suo letto, lei avrebbe dormito in un angolo.
Che musica il suo ruggito.
Non era mai sazio delle sue attenzioni, sarebbe andata in pescheria a prendergli il pesce più grande del banco, non importavano né il prezzo né la fatica del trasporto. Lo accarezzava, ora le sue zampe erano grandi quanto due utilitarie. Non importava, si sarebbe accovacciata accanto a lui o sotto il letto.
Che meraviglia appoggiare il suo corpo sul quel soffice manto, lo accarezzava, ora la sua coda dondolava fuori dalla porta, per la gioia dei vicini, e le zampe riempivano ogni spazio. Non importava, avrebbe trovato una soluzione. Non era il caso di preoccuparsi, di certo avrebbe trovato una soluzione.
Lo accarezzava, i morbidi ciuffi le ostruivano il naso e la bocca. Era tutto così bello.
Più le fusa erano forti e profonde, più era piena della gioia di quel piacere donato.
Lo accarezzava.
Lo accarezzava quando, ormai schiacciata, le costole rotte, immobilizzata, smetteva di respirare.
Era tutto così bello.