La luce di Giacomo
Parte seconda : “Il buio non l’ha vinta”
di Mario Gritti
Prima di riprendere il viaggio, nei giorni precedenti si è creata una situazione difficile per me, ero in una crisi profonda. Pesante con me stesso…ingombrante e insopportabile. Penso all’impronta ecologica che “lasciamo” nella relazione con Madre Terra, quando ce ne andiamo. Devastante.
Mi riferisco proprio agli stili di vita di una parte dell’umanità il cui peso specifico al riguardo è vergognoso. Uso la forza di questo legame fra realtà e sensazioni, per dire la condizione psicologica in cui mi trovavo. Avete mai visto qualcuno in simili condizioni fare felice il “prossimo”? Figuriamoci i “lontani”!
Il distacco da casa è stato veramente duro, con Clara che mi ha messo di fronte a questa “cosa”. Con forza e in modo irruento. Non ne poteva più! Non so se vi sia mai capitato di rendervi conto, ad un certo punto, di essere e di essere stato “di peso”; la cosa più sconcertante per me è prendere atto e riconoscere, toccando con mano, che quasi la rimuovevo questa situazione e per molto tempo proprio non me ne sono reso conto! Non è una scusante, né lo dico per aggravare la mia già dolorosa percezione, ma è sicuramente una “scoperta” devastante! Riconoscere il mio limite, la mia piccolezza, tutta concentrata.
Chissà dove pensavo di essere giunto, “mi” credevo proprio in prossimità dell’altra sponda, di essere cioè giunto in un luogo “sicuro”, di aver fatto molta strada, di contemplare la visione di una spiaggia dorata, un sole caldo ed un cielo azzurro, quasi senza nuvole, luce viva per colori leggeri! Illusoria immagine di me stesso. Saggezza, altruismo, generosità? Bolle di sapone tutte (per fortuna) dissolte.
Potreste pensare che si tratti di uno scoramento passeggero, che sono cose che capitano a tutti, che magari sotto il flusso di congiunture negative il pessimismo trionfa. Sì ci starebbe come analisi, ma non è così. No! Non nel mio caso.
Azzerato: penso all’immagine della fragile barchetta che è la mia vita, che ritrovo improvvisamente, ancora, attraccata con robuste funi al molo…di partenza, la vela ammainata, quasi uno straccio invisibile. Insignificante l’albero maestro. Acque grigie e stagnanti, cielo buio. Non un’anima, un animaletto vivo sulla scena. Natura morta! Tempesta in vista ad infierire sul mio naufragio, sul fallimento! Spento anche il più piccolo desiderio di camminare. Fine del viaggio. In sovrappiù alla fatica, alle stilettate di dolore per la partenza verso un luogo di “lavoro” per me in odore di estraneità.
Il ritorno è pure triste, dalla stazione di Bologna (questa volta la linea è Ostiglia, Verona, dove cambierò poi per Brescia) il treno proseguirà fino al Brennero. E’ stipato in ogni posto, persino persone in piedi nel corridoio. Moltissimi volti “stranieri e di pelle scura”- asiatici-siriani-iracheni, indiani-pakistani – ombre di sofferenza, sguardi “strazianti”, così a me sembra…che conservano la loro dignità senza nascondere la necessità di essere riconosciuti e rispettati, in primo luogo; impossibile nascondere i loro drammi! Sono i giorni in cui circola per la prima volta notizia dell’intenzione (da parte dell’Austria) di costruire il muro al Brennero” (e non solo….e non disattesa come vediamo in seguito). In carrozza dunque l’orizzonte si restringe alla metà del corridoio: due sedili da due posti a sedere contrapposti.
Nel primo brevissimo tratto di viaggio (la fermata in vista è in un paese della Romagna in cui c’è una grande discoteca) ho assistito ad un duetto: lui di fianco a me Italiano, lei di fronte a lui. Un dialogo in cui lei, sicuramente pensando a ben altro rispetto al pomeriggio danzante che li attendeva, lo invita a ricambiare “il rito” che lei ha già compiuto. Lei gli ha presentato tutti i suoi parenti, fino alle estreme propaggini di cugini di secondo e terzo grado…
Dalle loro parole capisco che ciò è avvenuto durante la visita di lui al paese della sua “bella”: un paese dell’est. Lui mi appare come un tipo “guascone”, un poco leggero, ma non troppo, allegro pure, di quelli che allo sguardo – rapidissimo e balenante – diresti che ridono “sotto i baffi”, che guardano alla realtà e la prendono come viene. Sui 40 qualche anno meno di lei. Ben vestiti, non troppo eleganti ma in modo ricercato.
“Sì – aggiunge lei – non pretendo che tu faccia altrettanto, so bene che qui da voi i parenti non contano poi così tanto…ma la tua mamma, quella la voglio incontrare! La tua mamma me la devi presentare, la voglio vedere, andremo a trovarla insieme”.
Breve pausa e poi aggiunge: “Promesso?”
“Sì” – Risponde lui morbido, senza aggiungere altro.
Ecco la saggezza, antica sapienza di vita, istinto di donna che sa che “lui” per aprirsi a lei, per “sposarla” deve , deve lasciare la madre. Deve fare il salto mortale della fiducia; sì, perché della madre ci si fida ciecamente, ma di “una donna” dell’altra…bè questa è una altra storia. Storia di distacco, di riconoscimenti, di capacità di affidarsi, di attrazioni e di incontri, di rischi, di libertà e di dono di sé.
Una vita intera per cominciare a comprendere.
Dopo l’uscita di scena, per l’inizio della danza, degli innamorati, ecco arrivano a sedersi un papà con due bimbi, maschi. In tutto dunque nel comparto siamo in quattro. Italiani. Il papà sui 35 anni, i due bambini rispettivamente di 5 ed 8/9 anni al massimo il più grandicello, di fronte a me, vicinissimo. I piedi si sfiorano.
Il più piccolo, di fronte al babbo, davvero molto affettuoso ed attento ai suoi due figlioletti. Si rivolge a loro con poche ma opportune raccomandazioni su come ci si deve comportare e sistemare in “Treno”; il tono della voce moderato, controllato ed autorevole, sicuro e non autoritario. Il bimbo più piccolo però, non regge lo sguardo diretto del papà, (almeno a me così pare) non sta eretto di fronte a lui. No, si appoggia stendendosi di fianco sulla spalla e anche sulle gambe del fratellino più grande. Forse sarà stanco, stanno tornando a Trento, dalla mamma. Consumano qualche cosa, una bevanda mi pare, e noto che il mio dirimpettaio, il grandicello, mi osserva di tanto in tanto di nascosto.
(Io non ho smaltito la devastante sensazione del viaggio di andata! Il morale è sotto terra! Mi “sento” ri-piegato, in una postura direi “come” quella del fratellino minore…)
Torniamo a “lui”, al grandicello: ad un certo punto deve liberarsi della bottiglia vuota che ha in mano, e non riesce a farla entrare nel porta-sporco. Io allora mi offro di provvedere con un più libero uso della forza per stivare con pochi colpi decisi il residuo. E’ allora che i nostri sguardi si incontrano e sostano un attimo: non dimenticherò mai quello sguardo, di occhi trasparenti, lucidi ed umidi come sono gli occhi dei bambini, e scuri. Sguardo “dolce in natura”: il loro sguardo, è come è. Mi penetra dentro! E mi chiede: “Tu chi sei? Uomo, grande e vecchio di fronte a me?” Riconosco che (il suo sguardo) non è per niente affatto disinteressato o superficiale, ma attento ed assetato di “sapere”, più che incuriosito. Mi fa comprendere e capisco che gli sta a cuore la mia restituzione, la mia “risposta” ed intuisco che è molto preoccupato per la “serietà”, l’ombra che ha certamente notato sul mio volto. Il ragazzino abbozza un lievissimo quasi impercettibile cenno di incoraggiamento, un tenue, tenero ammiccamento…ma non va oltre, non esprime “alcun giudizio”, solo gli sta semplicemente a cuore che chi è di fronte a lui, vicino a lui stia bene.
Il suo sguardo penetra nel fondo della mia anima, sul suo pavimento, più giù non può andare. E così riascolto e sento amplificata la domanda: “Come stai caro? Su, dammi il modo di ancorare la mia fiducia, condividiamo una cosa importante: questa fatica di stare al mondo, le difficoltà dell’umanità, e condividiamo anche la speranza, amico mio! Non avverti questa responsabilità di fronte a me?”
E lì ho sentito, mi sono sentito di prendere posizione per la vita, la vita senza distinzione: di darle, di dargli, una “mano”. Così mi sono reso conto del fatto che mostrare “dignità” di fronte a questo ragazzino è il modo di dare una mano anche a me stesso, ed a mia volta ho rivolto a lui un sorriso…credo che lui, abbia visto e riconosciuto questa nuova scintilla nei miei occhi… lo spero tanto!
Quasi giunti a Verona mi alzo, sono a destinazione: e la famigliola si prepara a facilitare il mio passaggio; così il babbo, guardando anche me, si rivolge al grandicello: “Giacomo, fai passare il signore!”
Giacomo.
“Grazie”.
“Grazie buon giorno”.
Ciao. (Giacomo caro).
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