di Alberto Leiss e Stefano Ciccone
(Pubblicato sul manifesto l’8 marzo 2015)
Dalla Turchia ci sono arrivate le immagini di uomini che hanno manifestato nelle strade (e poi hanno diffuso selfie sui social) indossando gonne per reagire all’uccisione di una giovane donna, Ozgecan Aslan, dopo che aveva resistito a un tentativo di stupro. Dopo pochi giorni sono giunte dall’Afghanistan altre immagini: un gruppo di maschi ha manifestato a Kabul indossando il burqa. “Le autorità celebreranno la festa della donna nei grandi alberghi, noi la volevamo portare nelle strade”, ha detto uno degli attivisti di ‘Afghan Peace volunteers’ coperto con la tunica blu imposta dai talebani.
I giovani turchi con la gonna appaiono spesso tenendo per mano o in braccio bambini piccoli, sembrano reagire anche con ironia, e proponendo un altro modello di vita e di relazione con le donne, alle violenze perpetrate da altri maschi.
Forse può venire da queste immagini una provocazione possibile su cosa pensare, cosa dire, cosa agire come uomini nella giornata che in tutto il mondo è dedicata alla donna.
Una femminista che è anche una amica comune, Lea Melandri, ha criticato oggi il riproporsi mediatico della ricorrenza sempre e comunque nei termini di una irrisolta “questione femminile”: le donne “considerate come un gruppo sociale svantaggiato”. Mentre bisognerebbe dire “con chiarezza che non di “cose di donne” stiamo parlando, ma dell’idea di virilità che ha deciso dei destini di un sesso e dell’altro, della cultura e della storia che vi è stata costruita sopra, nel privato come nel pubblico. Che gli uomini si prendano la responsabilità di interrogarsi sulla violenza di ogni genere perpetrata nei secoli dai loro simili, e che lo facciano, come hanno fatto le donne, ‘partendo da se stessi’, consapevoli che solo indagando a fondo nella singolarità delle vite e delle esperienze personali possiamo scoprire le radici di una visione del mondo che ci accomuna, al di là di spazi e tempi”.
E’ un invito che raccogliamo – da anni siamo impegnati in una ricerca che va in questa direzione con gli amici e i gruppi di maschile plurale – e che rilanciamo a tutti gli uomini.
Non si tratta solo di “mettersi nei panni” delle donne in quanto vittime. Vediamo anche il rischio che l’istituzionalizzazione e l’enfasi mediatica sulle pur indispensabili iniziative contro la violenza sulle donne, e contro i divari che ancora penalizzano socialmente e economicamente le donne, cancellino il valore epocale della rivoluzione che le donne hanno compiuto nella nostra epoca producendo un cambiamento profondo nel modo di vivere, loro e nostro, e anche un nuovo pensiero politico e nuove pratiche politiche.
Proviamo a ragionare su quali possano essere oggi, dopo questa rivoluzione, i “panni” che noi maschi vogliamo indossare, perché parlino di un nuovo desiderio, di una diversa capacità di costruire le relazioni con altri uomini e altre donne. Stanno qui anche le radici di ogni possibile eliminazione della violenza.
E scrivendo su questo giornale, proviamo a porci questa domanda anche come uomini della sinistra che continuano a interrogarsi sulle modalità con cui costruire una nuova politica. Oggi questo dibattito sembra dividersi tra “coalizione sociale” e nuovo soggetto politico.
Una distinzione tra pratiche sociali e politica che è parte di un pensiero politico che ha dominato fino a oggi, anche a sinistra, e che ha riproposto una gerarchia tra pubblico e privato, istituzioni, società, relazioni.
Per rifondare una nuova cultura politica e le pratiche sociali consideriamo una risorsa preziosa il pensiero e l’esperienza del femminismo.
Anche l’impasse della sinistra tra accedere al governo snaturandosi, o soffocare in vecchi e nuovi minoritarismi è figlia di un modo maschile tradizionale di concepire il potere, il conflitto, l’identità e l’appartenenza. Mettere in discussione questo pensiero, ripensare il maschile riconoscendone il limite e la parzialità sono stati per noi una risorsa per mettere in gioco un desiderio di cambiamento come uomini.
Ecco, ci piacerebbe che da questa domenica 8 marzo potesse partire uno scambio, una riflessione, magari su queste pagine. Finora non l’abbiamo vista.
-Forse può venire da queste immagini una provocazione possibile su cosa pensare, cosa dire, cosa agire come uomini nella giornata che in tutto il mondo è dedicata alla donna.-
Semplicemente quello che a ciascun uomo va di pensare, dire e agire. Liberamente e in maniera autodeterminata.
-ma dell’idea di virilità che ha deciso dei destini di un sesso e dell’altro, della cultura e della storia che vi è stata costruita sopra, nel privato come nel pubblico. Che gli uomini si prendano la responsabilità di interrogarsi sulla violenza di ogni genere perpetrata nei secoli dai loro simili, e che lo facciano, come hanno fatto le donne, ‘partendo da se stessi’-
L’idea di virilità è proprio connessa al prendersi sempre le responsabilità maschile dei problemi altrui.
Gli uomini si son già presi la responsabilità di tutto e voi ne siete una dimostrazione palese, la vera rivoluzione maschile è iniziare a pensare solamente a sé stessi, fregandosene bellamente del proprio ruolo in funzione delle donne.
Esattamente come fanno le femministe, che giustamente chiedono emancipazione, non certo responsabilità maggiori nei confronti miei o vostri.
Inoltre non riconosco alcuna appartenza identitaria nel mio essere nato con un pene, a differenza vostra e di Lea Melandri.
L’unica cosa che mi accomuna agli altri individui nati con il pene, è come vengo trattato socialmente, ovvero come un essere che deve sempre farsi carico di ogni responsabilità e alle quali responsabilità e oneri non può mai sfuggire, come invece è permesso alle donne che vengono trattate come minorate mentali non in grado di intendere e di volere e non in grado di rispondere di nessuna azione che compiono.
-E’ un invito che raccogliamo – da anni siamo impegnati in una ricerca che va in questa direzione con gli amici e i gruppi di maschile plurale – e che rilanciamo a tutti gli uomini.-
Grazie ma mi vedo costretto a declinare l’invito 🙂
-Proviamo a ragionare su quali possano essere oggi, dopo questa rivoluzione, i “panni” che noi maschi vogliamo indossare, perché parlino di un nuovo desiderio, di una diversa capacità di costruire le relazioni con altri uomini e altre donne. Stanno qui anche le radici di ogni possibile eliminazione della violenza.-
Sicuramente io non voglio indossare i vostri.
E la violenza è appunto ciò che perpetuate voi, insegnando ad altri uomini come essere migliori in funzione delle donne, piuttosto che aiutandoli ad essere migliori in funzione di sé stessi.
-Per rifondare una nuova cultura politica e le pratiche sociali consideriamo una risorsa preziosa il pensiero e l’esperienza del femminismo.-
Allora dovreste esserne speculari e lottare per emanciparvi da ogni dovere sociale e legale che avete dalla nascita solo per il fatto di essere uomini, e che invece continuate a dare per scontato e rafforzare.
Uno su tutti, il dovere di non lamentarsi e non entrare mai nel ruolo di chi si sente oppresso, che è il dovere madre da cui scaturiscono tutti i doveri di genere.
-Anche l’impasse della sinistra tra accedere al governo snaturandosi, o soffocare in vecchi e nuovi minoritarismi è figlia di un modo maschile tradizionale di concepire il potere, il conflitto, l’identità e l’appartenenza. –
Questo è sessismo, la parola maschile ha connotati biologici, attribuire un comportamento del genere a quella parola è semplicemente sessismo schifoso.
Avreste potuto usare il termine patriarcale, ma avete usato il termine “maschile”.
-Ecco, ci piacerebbe che da questa domenica 8 marzo potesse partire uno scambio, una riflessione, magari su queste pagine. Finora non l’abbiamo vista.-
Eccovi la riflessione, ma forse avreste preferito non vederla.
Siete solamente individui paternalisti che non riescono a concepire alcunché della propria esistenza, se non in funzione del benessere femminile.
Mi limito a dire, con riferimento all’ultima frase, che quello che sto capendo della mia esistenza è che sono io a trovarmi in una situazione di benessere, dopo avere scelto, grazie al femminismo, di mettere in discussione il mio modo maschile di stare al mondo e di saper stare in relazione con donne libere, differenti dal modello femminile che la cultura patriarcale ha loro assegnato e ha introdotto nel mio immaginario.
Qualcuo di noi me lo può spiegare ?