Gli uomini nella mobilitazione mondiale delle donne

Cosa cambia se come uomini e come padri mettiamo al centro delle nostre relazioni il riconoscimento della vulnerabilità, dei bisogni e dei desideri di ciascuno, anziché l’ossessione per il controllo e l’autocontrollo? Se ripensiamo il nostro corpo e il nostro sesso non come un’arma da scaricare ma come una soglia che si sporge a incontrare un altro desiderio? Se proviamo a metterci in ascolto dei nostri diversi vissuti e bisogni, accettando la fatica del confronto e del conflitto anziché delegare ad “uomini forti” e ad esperti per trovare una via d’uscita? Se testimoniamo un’idea di politica fondata sull’incontro e la convivenza tra diversi, anziché sulla chiusura e l’odio verso le alterità prossime e distanti? Se ripensiamo l’economia e il lavoro in termini di cura, condivisione, manutenzione e benvivere quotidiano anziché in termini di crescita dei profitti e di sviluppo illimitato?
Molti leader politici, amministratori, giornalisti, commentatori e perfino medici per interpretare la situazione che vivevamo hanno riproposto il tradizionale linguaggio bellico. Ci hanno raccontato che eravamo impegnati in una “guerra” senza quartiere contro un nemico invisibile. Che i medici erano in trincea e che dovevamo fare fronte comune per sconfiggere il virus. Queste metafore guerresche e machiste non segnalano solamente la povertà del nostro immaginario e del nostro linguaggio politico ma ci ostacolano nella nostra capacità di misurarci con la sofferenza, col lutto, col senso di impotenza, insomma con la nostra vulnerabilità e la nostra reciproca interdipendenza.
Condividiamo il video-documentario realizzato nell'ambito del Progetto Insieme relativo al laboratorio teatrale “Le spose di BB” realizzato da svoltosi ad Andria nel 2018 coinvolgendo un gruppo di uomini che si proposero per affrontare l'argomento della violenza di genere, mettendosi nei panni delle donne vittime di femminicidio
Il libro vuole proporre un’altra strada in grado di interpretare la mutata esperienza maschile. Oltre il disagio, la frustrazione e il disorientamento, l’autore vuole contribuire a riconoscere le opportunità che si aprono per le vite concrete degli uomini e le loro prospettive esistenziali, oltre la retorica sul rischio di smarrimento della virilità maschile.
Cambiare se stessi per superare vecchie consuetudini
Ho partecipato con mio figlio alla mobilitazione dell’8 Marzo, qui a Pescara, e cosi come bene sottolineava Stefano nella lettera aperta a noi uomini, mi sono interrogato sul senso della nostra partecipazione alla mobilitazione mondiale. Sul che fare il giorno dopo.
Odio anche io l’idea di un sostegno paternalistico, e credo che a volte solidarizzare con alcune battaglie senza fare una seria autocritica quasi rimuovendo il fatto che il nostro genere è “il problema” rischia di essere inutile e addirittura pericoloso. Mio figlio mi chiedeva perché le donne protestavano, i loro motivi, se avevano ragione e come potevamo aiutarle.
La percezione di essere parte del genere maschile non è un passaggio scontato, talvolta la si raggiunge attraverso un fatto traumatico (una vicenda personale o pubblica che ci tocca in prima persona), allora sei costretto a chiederti come sia possibile essere uomini esattamente come quei padri, fratelli, fidanzati, amici che fanno della violenza contro le donne il loro saluto di tutti i giorni. Amare una donna e sentirsi raccontare che con la stessa giustificazione le veniva usata violenza può essere la leva iniziale per porsi domande sulla propria sessualità, sul proprio genere, sulle modalità con le quali si entra in contatto con i corpi delle altre e degli altri.
Se il genere maschile è di fatto il carnefice,il corpo dominante, è impossibile non provare a fare un scarto, un cambio di passo che producano un cambio radicale che possano portare inevitabilmente a chiedersi come si faccia a non essere conniventi ma parte attiva in un processo di cambiamento complessivo dei rapporti tra generi.
Dunque non basta essere contro la violenza,in modo neutro e/o generico, ma serve che noi uomini ci facciamo carico di costruire un punto di vista soggettivo che metta radicalmente in discussione il nostro modo di relazionarsi, sia tra di noi sia con le donne.
Modificare il linguaggio che utilizziamo ogni giorno, dallo stare insieme, che rispetta i tempi di vita e di lavoro diversi per ognuno e ognuna di noi, partire da se, dalle proprie esperienze rompendo la separatezza tra pubblico e privato.
Per chi poi milita in un partito a sinistra, la questione è ancora più greve e dirimente, come cambiare noi stessi e di conseguenza modi e tempi dello stare insieme nella forma partito che ci diamo? Ulteriore difficoltà pensare di collocarsi tra coloro che in termini classici definiamo “sfruttati”, “subalterni”, “oppressi” e invece essere al contempo il genere agente dell´oppressione? Definirsi “compagni” senza affrontare questi nodi è un problema.
Spero che anche questa lettera aperta di Stefano possa essere l´inizio di un cammino che ci faccia uscire dal paradosso per cui la violenza contro le donne è un fatto che riguarda solamente il genere femminile. E ponga a noi uomini l’obiettivo, di trovare un nostro modo di costruire sia dentro che intorno a noi, pratiche altre per stare nella discussione in modo utile, e non semplicemente retorico. E vero Stefano, “crescono tanti percorsi di cambiamento maschile, spesso fatti in solitudine e senza avere a disposizione le parole per raccontarli, spiegarli, condividerli: essere padri in modo nuovo, vivere la sessualità, la cura del corpo, il rapporto col mondo del lavoro in modo diverso dalle generazioni precedenti. Il cambiamento maschile è già in corso ma non ha parole per essere nominato. E ciò che non ha un nome non esiste, non si può riconoscere.” Credo sia arrivato il tempo di irrompere nella politica trasformando queste micro esperienze individuali in un pensiero collettivo e organizzato e credo che nelle prossime mobilitazioni dovremmo arrivare con un nostro punto di vista e con azioni concrete che ci facciano essere parti attive di un cambiamento necessario.Mio figlio attende una risposta collettiva.
Diamoci degli obiettivi, degli appuntamenti, e proviamoci tutti insieme.
Oltre a lavorare su se stessi nel senso di quanto avete esposto, credo che sia necessario dare effettivamente visibilità a tutto questo. Pur rischiando, forse, qualche riduzionismo e fraintendimento, penso che occorra creare/costruire un qualche slogan-parola d’ordine-simbolo che esprima, oltre alla propria volontà personale di mettere in discussione la cultura sia vetero che neopatriarcale , anche e soprattutto l’affermazione che esiste una coscienza collettiva maschile che SOFFRE in modo indicibile ogni qualvolta una donna viene uccisa o maltrattata. Nell’era dell’informazione occorre INCIDERE sulla coscienza collettiva facendo sicuramente un salto di qualità politico e mediatico. Più queste idee diverranno parte riconosciuta del comune sentire, più dovranno farci i conti tutti i maschi, compresi quelli più condizionati (destinati diversamente a perpetrare i prossimi femminicidi); e questo faciliterà, in prospettiva, alle donne il duro e rischioso compito di rapportarsi con soggetti maschili potenzialmente pericolosi.