Gen 2003 “Non ne possiamo più della violenza”
del Gruppo Uomini di Pinerolo
[alla vigilia della seconda guerra del Golfo n.d.r.]
Le cronache quotidiane dei mass media ne sono piene, anche se ci offrono solo i casi più eclatanti.
Ma non ne possiamo più che così tanti uomini continuino a violentare, stuprare, uccidere donne, bambine e bambini e altri uomini.
Questi uomini, che alimentano i conflitti interpersonali e la guerra tra i sessi con la presunzione e l’incapacità al dialogo, pianificando poi e realizzando anche stragi familiari come unica soluzione possibile, interpretano, a nostro avviso, la stessa logica che muove i gerarchi del mondo a creare, prima, le situazioni di conflitto e ad affrontarle, poi, con la violenza della loro prepotenza.
E’ così evidente la pretestuosità delle loro motivazioni che, a volte, lo scoraggiamento, l’impotenza, il dolore, ci sopraffanno e ci ammutoliscono.
Eppure come loro continuano imperterriti a perseguire strategie di morte, così noi dobbiamo resistere, sottrarre il nostro consenso e far crescere il dissenso verso queste modalità di vivere le relazioni politiche all’interno dei singoli Stati e a livello internazionale.
E’ la strategia propria della cultura patriarcale, che da alcuni millenni si impone con la paura e il dominio, con il dolore e la minaccia del dolore.
Guerra significa fare strazio di corpi, spezzare con violenza vite e relazioni d’amore, negare futuro ai desideri e ai progetti di pace, di serenità, di semplicità, di tenerezza.
La violenza e’ un modello culturale che corrompe le coscienze e le intelligenze di chi a poco a poco viene indotto/a a credere che la guerra e la sua preparazione siano davvero parte della nostra normale quotidianità, come l’aprire gli occhi al mattino e l’amore dei nostri familiari.
Purtroppo sembra diminuire il rifiuto della guerra perché viene agita lontano da noi e dalla nostra civiltà “superiore”. Micidiale ci sembra la corresponsabilità di chi fomenta simili complessi individuali e collettivi e di chi ne parla senza indignarsi, dedicandole minor riflessione e meno parole che ad una partita di calcio.
Finché ci saranno gli Stati, noi siamo per il rispetto scrupoloso della proprietà dei singoli Paesi sulle proprie risorse e materie prime, regolandone l’amministrazione e l’uso a vantaggio dell’intera comunità umana, attraverso strumenti commerciali coerentemente equi e solidali. In questa prospettiva rifiutiamo radicalmente non solo la guerra come modalità di gestione dei conflitti, ma anche ogni sua teorizzazione ed aberrazione, come la “guerra preventiva”.
Di preventivo non ci può essere che l’impegno coerente e quotidiano a rimuovere le cause dei conflitti: prima fra tutte l’ingordigia e la prepotenza dei forti verso i deboli.
Solo adeguando a criteri di sobrietà e di rispetto universale, nei Paesi ricchi, le nostre individuali e collettive modalità di vivere, produrre e consumare, potremo contribuire concretamente a riequilibrare la fruibilità dei diritti fondamentali per ogni uomo e ogni donna.
Non ne possiamo più. Ma continueremo a resistere alla corruzione operata dalla cultura della violenza e della guerra, non solo togliendole il consenso, ma soprattutto impegnandoci a vivere le nostre relazioni con amore, rispetto e accoglienza verso ogni differenza, in modo che questi criteri guidino, a poco a poco, anche la formazione degli uomini e delle donne che si dedicano alla politica e alle relazioni internazionali.
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