Il sito del manifesto pubblica in una bella pagina un dossier che raccoglie gli articoli più significativi che il giornale ha pubblicato sul nodo sesso/potere/denaro dal 2008 alle tante piazze del 13 febbraio 2011 (e dopo). Fra tutti merita attenzione la messa a punto che su questo nodo, tutto politico, fa Ida Dominijanni in questo articolo.
Se un piccolo rilievo si può fare al dossier, è l’assenza dell’articolo di Marco d’Eramo del 29 ottobre 2009 “A frugare nei panni sporchi dei potenti, ci infanghiamo tutti” che così bene sembra rispondere alla strategia, di cui scrive Dominijanni, del “chi è senza peccato scagli la prima pietra” e che non è stata, evidentemente, del solo centro-sinistra. Sembra rispondere cioè all’esigenza, che molti uomini di sinistra avvertono, di tenere ben distinta la politica “vera” dalla critica ai rapporti di potere fra uomini e donne.
Come se si potessero dare rapporti di potere senza politica.
Il fantasma dell’impotenza
Ida Dominijanni – Alias 5 febbraio 2011
Il cerchio si stringe attorno al Sultano e l’era del dopo-Berlusconi è virtualmente aperta. Non è escluso che questo numero di Alias sarà in edicola quando la procura di Milano avrà già depositato la richiesta del processo immediato per il premier, e con essa quel che resta ancora ignoto, e minaccioso, delle carte dell’inchiesta. Ma adesso, mentre scrivo, è ancora lunedì e nell’ennesimo talk-show va ancora in onda la pantomima di una politica che cerca di salvarsi dal sexgate. La recita non ha un unico attore. C’è il protagonista principale, Berlusconi, che s’inventa proposte di riforma sull’articolo 41 della Costituzione, fingendo di poter scotomizzare il premier dal sultano. Ci sono le comparse attorno a lui, che continuano disperatamente a difenderlo consigliandogli di governare di giorno senza pensare a quello che è successo nella sua vita di notte. E ci sono i protagonisti secondari, che dall’opposizione ingiungono al premier e al sultano di andarsene, ma anche loro fiduciosi che a quel punto, sparito di scena l’alieno, la politica ’vera’ possa voltare pagina, dimenticarsi di lui, della sua corte e delle sue notti, e rimettersi d’incanto sulla retta via della Costituzione e del gioco democratico. Si potrebbe notare una qualche incoerenza fra questa convinzione e il corale plauso, solo pochi giorni fa, alla denuncia del «disastro antropologico» fatta dal cardinal Bagnasco: come possa un disastro antropologico essere riparato da un patto fra tutti quelli che non hanno saputo né diagnosticarlo né impedirlo è un mistero, ma lasciamo perdere. Lasciamo perdere anche la spigolosa osservazione che la Costituzione da salvare adesso è la stessa sulla quale fino a due anni fa è stato cercato il «dialogo» con Berlusconi, e andiamo all’osso.
L’osso è questo. Dal 27 aprile 2009 – data di esplosione del velina-gate, immediatamente seguito dal Noemi-gate e dal Veronica-gate, quindi dal Patrizia-gate, fino ad arrivare al Ruby-gate passando, non va dimenticato, per il Marrazzo-gate e lo scandalo della donna-tangente nella cricca di Bertolaso – a oggi, la strada maestra che la politica istituzionale, di centrodestra e di centrosinistra, ha seguito è stata quella di negare che in tutto questo ci fosse qualcosa di politicamente rilevante, cercando con tutti i mezzi di preservarsi da una valanga che alla fine, com’era ampiamente prevedibile, l’ha travolta. Questa strada maestra ha avuto varie diramazioni. La principale è consistita nel dire che si trattava di fatti privati, che non si dovevano sindacare (versione di centrodestra) o che era meglio non sindacare troppo (versione di centrosinistra). O che si trattava di questioni morali, e la morale, Machiavelli insegna, va tenuta distinta dalla politica (versione di centrosinistra) o non va stuzzicata, perché chi è senza peccato scagli la prima pietra e le magagne di Berlusconi non sono diverse da quelle dei Kennedy o di Clinton o di Dino Boffo o dalla relazione di trent’anni fa fra Ilda Bocassini e un giornalista (versione di centrodestra). Un’altra e conseguente diramazione è consistita nel dire che Berlusconi andava giudicato (versione di centrodestra) o battuto (versione di centrosinistra) sulle cose serie come il programma o il governo della crisi economica e non su queste sciocchezze. Eccetera.
Gli argomenti contrari, a sostegno dell’assoluta politicità della questione, pur essendosi dispiegati fluvialmente sulla stampa, non hanno sfondato questo muro di sordità del ceto politico: a ben vedere neanche dopo l’esplosione del caso Ruby, quando a essere finalmente impugnati dall’opposizione sono stati criteri o penali – i reati di concussione e di prostituzione minorile per i quali è indagato il premier, e quello di induzione alla prostituzione per cui sono indagati Mora, Fede e Minetti -, o morali – l’indegnità e l’impresentabilità del sultano e della sua corte -, o istituzionali – la sua ricattabilità; ma la politicità del caso, ovvero il riconoscimento della sua emblematicità per afferrare natura e dispositivi del regime berlusconiano, rimane incerta, o scarsamente argomentata.
Perché? Non può trattarsi solo di un difetto della vista. C’è di mezzo un dispositivo di immunizzazione della politica che scatta ogni volta che i suoi confini, la sua razionalità e il suo linguaggio sono minacciati da un’insorgenza aliena. Corpo e sessualità sono entità aliene per eccellenza rispetto alla politica tradizionalmente intesa, e infatti questo stesso dispositivo di chiusura immunitaria è sempre scattato nei confronti dei movimenti che ne hanno fatto materia di pratiche di liberazione contro il potere. Nel Berlusconigate però, qui sta il suo carattere spiazzante, corpo e sessualità irrompono sulla scena politica dalla parte del potere, come sintomi, protesi e dispositivi propri del potere: e la pretesa, da parte della politica che si vuole ’sana’, di scansarli e mantenersene immune appare perciò ancora più insensata, essendone essa direttamente investita e interrogata. Naturalmente si può capire la voglia e la fretta dell’opposizione di voltare pagina, di archiviare e dimenticare la figura perturbante del sultano nella sala del bunga bunga per tornare a occuparsi degli affari correnti. Ma invece su quella figura bisogna sostare: mettersela davanti e non smettere di guardarla, finché non saranno snodati i fili che legano il sultano al premier e il regime di sessualità al regime politico. E’ proprio a partire da questa figura terminale che il berlusconismo, malattia senile di una società depressa, mostra nitidamente tutte le sue fattezze, che purtroppo non appartengono solo al Capo ma anche al popolo che nella sua icona si è riconosciuto e rispecchiato per venti anni. Qui di seguito un elenco parziale di questi connotati, in forma di vademecum per la liberazione da lui e da noi stessi.
Libertà
Lo scippo di una bandiera che era sempresventolata a sinistra fu ben congegnato dal Cavaliere quando scese in campo nel ’94: promise agli italiani di liberarli dalla politica politicante, dai rischi di un ritorno di totalitarismo comunista che secondo lui si annidavano sotto le macerie di Tangentopoli, dai lacci e lacciuoli della burocrazia, dagli ostacoli al salto definitivo nella modernità e dalle remore allo sprigionamento dell’iniziativa e del successo individuale. In realtà il piccolo uomo di Arcore cavalcava un’onda internazionale neoliberista che già da un decennio e intutto l’Occidente traduceva la libertà politica in libertà di mercato. «Tutto si può comprare, tutto si può fare» è il motto sintetico della libertà berlusconiana impresso nella sala del bunga bunga. A cominciare dal sesso: si compra, si fa. Purché sia a casa propria, dove la legge non entra: né quella dei codici giuridici, né quella dei codici morali.
Legge
La legge infatti è solo un inciampo da scansare, da aggirare, da saltare o da rimodellare sulle proprie necessità mettendo al lavoro i Ghedini di turno. Lo sapevamo dalla catena infinita delle «vicende giudiziarie» del premier e delle leggi ad personam. Per reggere questa catena infinita c’è voluto del talento, e ora sappiamo da dove gli viene. A valere meno di zero per il sultano non sono solo le regole scritte nei codici e nella Costituzione, ovvero la legge come forma condivisa del patto sociale, bensì la Legge come struttura interiorizzata del Super-io. Non c’è Super-io,non c’è tabu,non c’è interdizione, non c’è, di conseguenza, vergogna o senso di colpa. Il solo comandamento imperante è quello del godimento e del consumo, di cose e di persone, donne preferibilmente, ridotte a oggetti, e il solo criterio che orienta l’azione è il principio di prestazione. Vale nel privato e nel pubblico allo stesso titolo: fra il «fare» sesso compulsivamente e lo slogan del «governo del fare» non c’è soluzione di continuità.
Desiderio
Senza Legge, insegna la psicoanalisi, non c’è nemmeno desiderio, perché senza interdizione non c’è mancanza e il desiderio nasce dalla mancanza. Saturare la mancanza con oggetti e persone da consumare non alimenta il desiderio ma lo deprime. Sulla scorta della psicoanalisi se n’è accorto quest’anno anche il Censis (si veda il dibattito sulle tesi in proposito di Giuseppe De Rita e MassimoRecalcati sul manifesto dello scorso dicembre), mettendoa fuoco la vena depressiva che attraversa la società italiana e che è l’altra faccia della sua illegalità diffusa. È la stessa vena che percorre la sala del bunga bunga, a onta della sua patina gaudente, e che ci incolla tutti a guardare i brandelli seriali dello spettacolo che emergono dalle carte dell’inchiesta di Milano: fossemenodepressa, l’audience del sultano avrebbe altro da fare che scopare per delega. Attenzione, qui c’è il primo trucco del rapporto fra il Capo e il popolo: Berlusconi scese in campo promettendo un sogno con le bollicine, e ci ha trascinati in un incubo di ossessiva ripetizione dell’uguale.
Potere e impotenza
Il secondo trucco è ancora più insidioso. L’icona di un uomo di settant’anni deliziato da un harem di belle ragazze è fatta apposta per alimentare l’illusione di una potenza sessuale senza fine e senza tempo. E pare che ci riesca, a giudicare dall’ammirazione e dalla complicità neanche tanto malcelate che si guadagna nell’elettorato maschile. Solo due anni fa però, all’inizio del sexgate, quell’icona era tutt’altro che solida e venne molto sindacata sugli stessi house organ del premier, che lo difesero dalla denuncia di sua moglie («frequenta minorenni») ricordando l’operazione chirurgica che aveva dovuto subire anni fa (e che lui stesso all’epoca raccontò, rivendicando la sua vittoria sul cancro) e i suoi inevitabili effetti sull’attività sessuale. Quell’icona dunque è truccata: è una fantasia di potenza, sessuale e politica, sostenuta da un fantasma di impotenza, politica e sessuale. Anche qui fra il sultano e il premier non c’è soluzione di continuità: sotto il sultano niente, sotto il premier del governo del fare neppure. E dunque l’identificazione che entrambi suscitano è l’identificazione in un trucco.
Prostituzione
Non riguarda solo le ragazze dell’harem: è la cifra del regime.Ungadget di status,come venne fuori dallo scandalo sulla Protezione civile, dove fece la sua comparsa la donna-tangente, equiparata ad appartamenti e Bmw come premio in cambio di appalti. Un requisito per il curriculum televisivo e per quello politico, come viene fuori dal reclutamento di Nicole Minetti nel listino per le elezioni alla regione Lombardia, e com’era chiaro già al tempo del velina-gate. La prostituzione salda e salva crisi del mercato del lavoro e crisi della rappresentanza, impresa e istituzioni. E si paga cash, alla faccia della finanziarizzazione del capitale.
Confini
Tutto il Berlusconi-gate è una storia di sconfinamenti: fra pubblico e privato, fra morale e politico, fra politico e impolitico. Un errore fatale dell’opposizione è stato di tentare di arginarlo ripristinando quei confini invece di accettare che essi sono saltati.Non da oggi, e non solo per la peculiare figura di Berlusconi, che ha fatto di se stesso il testimonial del suo programma, della privatizzazione del pubblico la sua stella polare, dell’antipolitica la sua forza politica, delle sue televisioni la catena di montaggio dell’immaginario collettivo eccetera. Sono saltati per ragioni più generali, variegate e complesse (per citarne solo due: le nuove tecnologie che irrompono nella privacy, le donne che escono dal recinto del privato e irrompono nella sfera pubblica) che stanno alla base della ridefinizione della politica post-moderna. Invece di tentare l’impresa impossibile di ripristinarli, sarebbe stato bene cogliere l’occasione del sexgate per esercitarsi a fare politica oltre, e non dentro, quei confini.
Uomini e donne
La fine di Berlusconi è stata decretata, sostenuta e perseguita da una tanto imprevista quanto implacabile catena di parole e atti femminili. Donne sideralmente diverse – da Veronica Lario a Patrizia D’Addario a Simona Ventura, da Anna Maria Fiorillo a Ilda Bocassini, da quelle che fin da subito hanno rivendicato la politicità del sexgate a quelle che manifesteranno in questi giorni – unificate non da un’appartenenza politica o femministama da una sfida sulla verità, e con ogni evidenza da una capacità di muoversi sullo scorrimento fra personale e politico e fra pubblico e privato che come abbiamo appena visto non è della politica tradizionale. Non è affatto un caso inspiegabile che a denudare il re siano state donne che l’avevano conosciuto e frequentato molto da vicino e fin nell’intimità: è nei soggetti meglio conformati dal potere, com’è noto, che si formano le resistenze al potere stesso. È singolare e inspiegabile invece che fin dall’inizio di questa storia l’enfasi del discorso pubblico, anche femminile, cada non sulla forza e l’autorevolezza di queste donne, ma sull’offesa alla dignità femminile che viene dal sultanato. Ci sono invece l’una e l’altra, ed è il loro intreccio la sfida per il pensiero femminista in questa congiuntura storica. Riportarci tutte alla condizione di vittime del sultano, o dividerci fra vittime permale e ribelli perbene, va solo a vantaggio dei suoi complici, interessati a sviare il discorso dal tema principale. Che fin dall’inizio è la miseria del modello del «vero uomo»che il sultano incarna. Le donne hanno fatto bene il loro lavoro, ora spetta agli uomini rompere lo specchio.
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