Milano, Palazzo Reale. Foto di Giovanni Dall’Orto, da Wikimedia
Nov 2012 “Le parole non bastano”
di Cristina Obber
già pubblicato su
Dol’s Magazine – Donne & New Media dal 1999
Si è aperto oggi il convegno di due giorni Le parole non bastano – Donne e uomini contro la violenza maschile sulle donne – organizzato a Palazzo Reale dalla Casa delle donne maltrattate di Milano (Cadmi) e dall’associazione Maschile Plurale.
Ho potuto seguire soltanto i lavori della mattinata, ricchi di autorevoli interventi.
Ci tengo a riportarvi alcuni spunti di riflessione particolarmente significativi proposti dai promotori del convegno.
Marisa Guarneri (presidente onorario Cadmi) ha sottolineato come oggi convegni, iniziative e talk show si occupino di violenza soltanto attraverso le voci dei cosiddetti esperti (psicologi, criminologi, giornalisti) mantenendo la discussione o in ambito di cronaca o su un piano tecnico, facendo scomparire i soggetti, rimuovendo il tema centrale all’origine della violenza, ovvero la relazione all’interno della coppia.
Mentre le donne continuano a morire.
Del lavoro svolto negli ultimi due anni con Maschile plurale Guarnieri parla di un confronto non privo di conflitti, ma volto a raccontarsi reciprocamente nelle proprie differenze e a sperimentare con fiducia una relazione con uomini che si impegnano per il cambiamento. Un cambiamento che parte da sé e che ha come modalità sostanziale l’ascolto, competenza che la Casa ha acquisito in più di trent’anni di impegno a fianco delle donne.
Un cambiamento che deve attraversare il conflitto mettendo in discussione le dinamiche e la qualità delle relazioni in ogni ambito, privato e pubblico, riconoscendo la competenza femminile e il percorso che il movimento femminista ha fatto.
Alessio Miceli (Maschile plurale) ha sottolineato che sia nei convegni che nelle pubblicazioni sulla violenza di genere non si nomino quasi mai gli uomini, attori assenti di una cronaca della violenza raccontata attraverso i numeri.
“Il cuore della questione- dice – è come vogliamo stare noi uomini dentro le relazioni”.
Parla di sé, delle due leve che lo spingono a questa riflessione, un senso di giustizia di fronte a ciò che è profondamente ingiusto, ma soprattutto un’ intima domanda di felicità.
“Come uomo non sono felice dentro questa gabbia; so che c’è una libertà diversa che mi spinge a cercare questa liberta nel mio privato e in tutte le mie relazioni”.
E’ una proposta politica la sua, che sottolinea la necessità di un lavoro di autocoscienza, fondamentale anche negli interventi di prevenzione ed educazione:
“Non si può andare nelle scuole a parlare ai ragazzi di violenza di genere se prima non si è fatta una personale assunzione di responsabilità, se non abbiamo da portare un’esperienza personale di crescita. La pretesa di educare altri parte dal conoscere ed educare prima se stessi”.
Parla di un metodo diverso del partire da sé tra uomini e donne.
“Mentre le donne hanno dovuto costruire, per noi è un lavoro a togliere, a decostruire ciò che la storia ci ha messo addosso, imprigionando il nostro corpo; il modo di vivere il nostro lavoro, il nostro potere, l’ occupazione di tutti i ruoli pubblici apicali. Scrollarci di dosso questa armatura significa guadagnare libertà”.
“Siamo pronti? – chiede Miceli – a tornare nei nostri contesti, dentro e fuori casa, e aprire una relazione differente, che contempli la possibilità dell’abbandono, la capacità di cura, una sessualità capace di relazione?”
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