Nov 2007 “Quello che gli uomini non dicono”
di Marco Deriu
da Il MANIFESTO il 24 Nov 2007
Molti uomini hanno cominciato negli ultimi anni a prendere parola sulla questione della violenza maschile, riconoscendo l’importanza di un impegno attivo per il cambiamento, a partire dalla invenzione di nuove relazioni tra uomini e donne nella vita quotidiana.
Come uomini quello che possiamo fare dunque è interrogarci su che cosa significhi per noi confrontarci con questa libertà guadagnata dall’altro sesso. Non c’è infatti aspetto della nostra vita o della società in cui viviamo, si può dire, che non sia oggi attraversato e scompaginato dalla novità di una presenza diversa delle donne: le relazioni d’amore, la famiglia, il lavoro, l’economia, la politica, l’arte, la ricerca – tutto questo oggi viene messo radicalmente in discussione dall’eccedenza della libertà femminile.
E per quanto gli uomini cerchino di correre a ripari attraverso forme di cooptazione o di occultamento della differenza, molte donne oggi non definiscono più le loro scelte, i loro percorsi in riferimento alla norma maschile. Lla strada della competizione femminile sullo stesso terreno e con le stesse misure degli uomini non mette in discussione, anzi per certi versi contribuisce a rafforzare le forme di potere e di organizzazione maschili, nel lavoro come nella politica. Ma quando le donne scelgono di differire e di pensare altrimenti, in maniera non conformista, al contrario lascia gli uomini completamente spiazzati. Questa non coincidenza ci obbliga a mettere in discussione le certezze e le abitudini su cui si basa la nostra sicurezza e la nostra presunta indipendenza. Ci decentra.
In che misura siamo preparati a questo decentramento? In che misura sappiamo riportare questa libertà nelle nostre relazioni quotidiane? In che misura sappiamo inventare un nuovo modo di essere presenti nell’amore, nel lavoro, nella politica riconoscendo la nostra parzialità e assumendo la possibilità dell’incontro con uno sguardo e un desiderio differente un’occasione straordinaria e non una minaccia?
E questa rimessa in discussione di linguaggi, pratiche, valori, forme organizzative non apre forse anche alla possibilità di un rapporto diverso con noi stessi, e tra di noi, rimettendo in gioco sensibilità, passioni, emozioni fin’ora rimaste sorde e silenti? Non è in fondo di questa apertura che dobbiamo cominciare a raccontare?
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