La maledizione di Benedetto XVI
di Monica Lanfranco
pubblicato da Liberazione l’11 Gen 2011
Lo spot, che dura circa tre minuti, inizia con l’inno nazionale, e sullo schermo della tv passano gli articoli della Costituzione dove si ricorda che tutti gli esseri umani hanno diritto a libertà, integrità del corpo, uguaglianza e pari opportunità. Poi la scena cambia e, di seguito, una giovane donna si presenta e dice di essere insegnante e lesbica, un giovane uomo si presenta e dice di essere programmatore e gay, un altro si presenta e dice di fare l’operaio e di essere eterosessuale, poi è la volta di una barista transessuale e di una prostituta. Queste persone, in una stanza con sullo sfondo la bandiera nazionale, dicono di avere una cosa importante in comune: godere, tutte, degli stessi identici diritti. Cittadine e cittadini di uno Stato laico che si basa sulla condivisione di diritti, e di doveri, che prima di tutto è lo Stato stesso che salvaguarda e difende.
Ma non siamo in Italia. Siamo in Perù, paese cattolico dell’America latina non privo di problemi sociali ed economici, eppure capace di pensare, finanziare e diffondere via tv e internet un messaggio politico e culturale così semplice, così forte e così laico.
L’Italia, invece, si è svegliata con le nuove inquietanti affermazioni del Papa, che, sfruttando l’ondata di sdegno e di paura suscitata dall’attentato terroristico in Egitto, sferra un attacco pesantissimo alla laicità, e sceglie il terreno più scabroso per lanciare la sua crociata: la scuola e l’educazione, in particolare quella sessuale. Benedetto XVI indica come una «minaccia per la libertà religiosa» l’educazione sessuale e civile impartita nel sistema scolastico di alcuni Paesi europei. Il messaggio, rivolto durante l’udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, allude alla legge francese sui simboli religiosi nella scuola pubblica (invisa anche alle frange più oltranziste del mondo islamico), e alle recenti disposizioni di alcuni paesi latinoamericani, nei quali la società civile sta premendo per modificare leggi arcaiche e liberticide su contraccezione, aborto e omosessualità.
La scelta fondamentalista di urlare alla minaccia di persecuzione della libertà dei credenti ha in sé un enorme pericolo: quello di inasprire lo scontro in società dove è forte l’uso politico della religione, come in Medio Oriente, e dare strumenti micidiali alle frange estremiste (come i Tea Party negli Usa), per debilitare il percorso di apertura ai diritti civili laici che la vittoria di Obama aveva timidamente intrapreso.
Non è una coincidenza fortuita che l’obiettivo della sparatoria a Tucson, che ha lasciato sul terreno 5 vittime, fosse la parlamentare democratica Gabrielle Giffords, uno dei primi nomi sulla lista nera di Sarah Palin per il suo impegno a favore dell’aborto, della ricerca sulle cellule staminali embrionali e contro i sussidi alle compagnie petrolifere.
Invece di puntare sulla versione nonviolenta e progressista della cultura cristiana, invocando al dialogo e alla condivisione, Ratzinger attacca dunque a tutto tondo la laicità dello Stato e il processo di secolarizzazione della società europea: «Non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione». E prosegue, riferendosi al tema dell’obiezione di coscienza: «Si arriva a pretendere che i cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza riferimento alle loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione con esse, come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari o di certi operatori del diritto».
Un ragionamento perfettamente in asse con chi, sul fronte islamico, ha chiesto e già ottenuto in Inghilterra e in Canada che alla legge laica sia affiancata la sharia, che, come è facile immaginare, viene invocata nei casi di controversie che riguardano i diritti riproduttivi e civili femminili, l’orientamento sessuale, i temi della bioetica e la parità in famiglia e sul lavoro.
Un ragionamento che porta con sé una precisa visione della società, suddivisa in enclave nelle quali ogni gruppo religioso si costruisce le sue istituzioni, le sue scuole, i suoi ospedali, i suoi circoli ricreativi, in perfetta sincronia con il neoliberismo: abolita la cittadinanza ecco rispuntare, mai sopite, le tentazioni identitarie relativiste che declinano gli esseri umani in base al portafoglio, alla geografia, alla fede. Una deriva inquietante.
Suonano lontanissime le parole vibranti e allo stesso tempo spiritose della decana del femminismo internazionale, l’egiziana Nawal Al Saadawi, intervenuta alla Global feminist Conference del Cairo, a metà dicembre del 2010: «Ogni religione è un luogo di schiavitù per le donne, e quindi anche per gli uomini, nella storia antica come nell’oggi. Quando ero molto piccola – ha raccontato Nawaal – mi fu insegnato che le donne per volere divino si dovevano considerare diverse e ineguali rispetto agli uomini; così scrissi una lettera a Dio, nella quale gli chiesi perchè a causa del mio corpo dovessi avere meno diritti dei maschi. Non rispose, quindi diventai femminista».
Un’altra domanda viene spontanea: per quanto ancora il Vaticano continuerà a provare a influenzare in modo sostanziale l’agenda politica e legislativa non solo del nostro Paese, ma anche dell’intero pianeta?
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