Gen 2006 Anche noi uomini in piazza. E non per solidarietà
di Stefano Ciccone
da “Liberazione” del 14 Gen 2006
(in coincidenza con la manifestazione indetta dalle donne di “Usciamo dal silenzio” in difesa della legge 194)
Non c’è sostegno da dare alla lotta delle donne; c’è da costruire insieme lo spazio per una comune e differente libertà. A partire dalla nostra esperienza
Oggi, a Milano, non saranno solo le donne a manifestare contro gli attacchi alla legge 194.
Ci saranno anche molti uomini che parteciperanno individualmente, a partire dalla consapevolezza che in gioco con la libertà delle donne a decidere del proprio corpo è anche qualcosa che riguarda la loro vita, le loro relazioni e la loro libertà. Questa consapevolezza cresciuta ormai nelle storie individuali di molti di noi, è anche diventata nel nostro paese una pratica collettiva di uomini che hanno scelto di farne politica, relazione. A Milano ci sarà anche questa esperienza.
La manifestazione è intitolata uscire dal silenzio. In questi anni io non ho conosciuto il silenzio femminile ma, al contrario, la parola delle donne che ha permesso anche a me e molti uomini di trovare spazi e strumenti per avviare una ricerca sulla nostra identità, sulle nostre relazioni con le donne e con gli altri uomini, sul nostro stare al mondo, sulla percezione che abbiamo ereditato del nostro corpo, sulla nostra sessualità.
E’ vero, però, che questo sguardo critico delle donne sul mondo, sui nostri linguaggi, sui fili che paiono segnare come immutabili i nostri destini e sugli invisibili meccanismi di riproduzione del potere , ho stentato a incontrarlo nei luoghi della politica, nei movimenti. Non so se si tratti più di rimozione, da parte della politica maschile o di non sufficiente consapevolezza che ciò avveniva nella politica mista, (le pratiche subalterne dei movimenti, l’avvizzirsi dei partiti come comunità di donne e uomini), interrogava e sfidava la politica delle donne e che non d’altro si trattava se non di terreni su cui giocare la partita sul nodo del potere e della libertà. So che ciò ha prodotto un reciproco impoverimento che è anche all’origine di questa nuova offensiva che tende a mettere in discussione libertà e spazi di autodeterminazione delle persone.
C’è un altro silenzio, però. Ed è quello maschile, nascosto sotto l’eccesso di parola di vescovi, medici, giuristi, tutori della morale pubblica, esperti.
Una parola che paradossalmente cela gli uomini anche a se stessi. Se dunque è, come certamente è, strumento di potere. È al tempo stesso gabbia che impoverisce l’esperienza di ogni uomo e le possibili relazioni tra noi e con le donne. Impedisce di costruire la libertà per pensarsi e pensare il proprio differire. Non c’è solidarietà o sostegno da dare alla lotta delle donne, c’è da costruire insieme lo spazio per una comune e differente libertà. La riproduzione di un’idea di sostegno alle rivendicazioni delle donne intese come soggetto debole, rischia paradossalmente la contiguità con quell?idea di minorità femminile che ne propone la tutela, il conforto morale ed etico a fronte della incapacità a decidere con responsabilità e autonomia sulla scelta di portare avanti o meno una gravidanza.
Per questo gruppi ancora troppo limitati e isolati di uomini hanno avviato una riflessione e una presa di parola pubblica sulle relazioni tra i sessi e sulla costruzione sociale delle identità di genere. Questa ricerca chiede di essere ascoltata e di essere assunta in un?interlocuzione politica con le donne nello spazio pubblico del conflitto.
Per questo saremo alla manifestazione non come singoli che solidarizzano con la battaglia delle proprie compagne o come militanti della sinistra che difendono principi condivisibili ma astratti come la lacità dello stato o diritti di individui neutri, senza corpo (quei diritti che proprio nella propria astrattezza portano a contrapporre il diritto del nascituro a nascere e a farlo in una famiglia “normale”, il diritto a essere padre, il diritto a decidere cosa avverrà nel/del proprio corpo da parte della donna). Ci saremo a partire dal nostro percorso. Questo percorso ci dice che la nostra libertà ha bisogno della libertà delle donne.
Ci dice che l’esperienza della paternità, un’esperienza che per molti di noi è una preziosa realtà, per altri un desiderio che non vogliamo negare, per altri una prospettiva impraticabile per le leggi di questo stato, è soprattutto fondata nella relazione e non può trovare fondamento in una legge che affermi il nostro diritto contro quello della donna a decidere del proprio corpo.
Come abbiamo detto molti anni fa non ci interessano protesi giuridiche, tecnologiche, morali per superare i limiti del nostro corpo nei processi procreativi. Al contrario vogliamo fare esperienza di questi limiti come opportunità per farne occasione di reinvenzione del nostro corpo e come terreno per una relazione di senso con le donne.
Sappiamo che la prima parola e l’ultima sul nascere o non nascere spetta alla donna. Al tempo stesso crediamo che tra quella prima e ultima parola non ci sia il vuoto della reciproca indifferenza ma lo spazio per una relazione.
Forse anche di un conflitto da aprire fuori dagli schemi patriarcali del dominio e del controllo.
E chiediamo al movimento politico delle donne nella sua pluralità di interloquire con questo percorso non come fenomeno ma come interlocutore che ha tentato di costruire un proprio punto di vista.
Vogliamo sgombrare il campo da pretese di normazione del corpo femminile, da rivincite maschili per liberare lo spazio per questa relazione dove agire anche un conflitto tra donne e uomini. Per risignificare insieme cosa è desiderio, cosa è libertà, cosa è autonomia. Il confronto con la storia del maschile ci ha fatto vedere quanto il desiderio non sia necessariamente terreno di libertà e autenticità e di quanto l’immaginario sia spesso colonizzato e segnato da modelli imposti.
Vogliamo stare in questa mobilitazione anche ascoltando desideri e bisogni di altri uomini che oggi trovano risposta in reazioni revanchiste o subiscono la seduzione di prospettive identitarie, di ritorno a un ordine perduto.
Saremo dunque alla manifestazione sperando in un miracolo a Milano: che segni cioè il ritorno nella politica della vita e di una politica capace di incontrare le domande di senso delle persone, a fronte dei troppi uomini della sinistra che la vedono come un grande risiko, poco importa se si tratti di un risiko bancario o delle correnti interne a un partito o delle simulazioni di piazza con la polizia.
Potremmo provare a farne di nuovo il luogo in cui le domande di libertà di ognuna e ognuno, la costruzione di potere su se stessi/e, diventano pratica collettiva, relazione, nuovi saperi, capacità di trasformare il mondo.
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