di Stefano Levi Della Torre*
“Declinano le libertà occidentali ponendosi in sintonia col loro limo maschilista, che è l’aspetto che sentono più famigliare. Se ne sentono incoraggiati, e incoraggiano i nostri stati culturali più bassi a riemergere. La questione è decisiva. La lotta per la libertà delle donne ha due fronti, verso il nostro maschilismo e verso quello degli altri.”
Gli spunti interessanti che si possono trarre dall’articolo di Donatella Di Cesare (“Corriere delle sera”, 11/1/16) sono che i crimini di massa a Colonia e altrove dipendono da un clima generale “culturalmente” favorevole allo spontaneismo e dunque all’affioramento spontaneo del limo antropologico del maschilismo. (Da qui, sembra, l’imbarazzo e la passività della polizia).
Non dico affatto che “loro” sono come “noi”, come se fosse politicamente corretto non fare distinzioni ed anzi risolvere tutto in auto-accusa: tutta colpa dell’Occidente, come se l’“altro” non avesse alcuna responsabilità, fosse al disotto della responsabilità (il che è una forma mascherata di razzismo). Qui si sono fatti decisivi passi avanti nella mentalità e nelle leggi. Penso che il senso comune nei paesi islamici e l’islam stesso, specie nella sua affermazione integralistica, è fortemente oppressivo nei confroni delle donne.
Dico però che quei fatti sollecitano il riemergere in Europa e in Italia mentalità antiche, così come sollecitano il riaffermarsi delle identità nazional religiose e fascistoidi in Europa. Un umorista ha detto: sono favorevole agli immigrati che rubano, perché sono i più integrati nella cultura italiana. Una battuta, certo, che però mi fa pensare che, analogamente, l’insulto e l’aggressione alle donne possa essere anche una forma di integrazione a partire dagli strati bassi della nostra stessa antropologia maschilista.
Dicono che all’October Fest, in Germania, erano già successe cose analoghe in anni passati, anche se forse non così gravi. L’ integrazione spontaneista e incolta è forse analoga all’islamizzazione incolta. Anni fa mi aveva colpito l’osservazione di un sociologo francese che diceva che l’integralismo islamista poggiava su un’istruzione a metà, si diffondeva cioè per la maggior diffusione dell’istruzione che faceva uscire, sì, dall’analfabetismo in modo che più gente potesse leggere il Corano, ma poi si leggeva il Corano senza cultura. E lo si assumeva alla lettera senza senso critico né elaborazione. Lo si assumeva in forma confessionale e fondamentalistica. Lo si assumeva come rispecchiamento e giustificazione delle proprie pulsioni. Così giovani maschi immigrati possono leggere le libertà europee nello stesso modo incolto con cui acquisiscono il Corano: libertà come libero affioramento e manifestazione delle proprie pulsioni impregnate della propria mentalità sedimentata come tradizione: si valgono delle libertà occidentali non per un complotto contro l’occidente, ma contro le donne e contro la libertà delle donne. Declinano le libertà occidentali ponendosi in sintonia col loro limo maschilista, che è l’aspetto che sentono più familiare. Se ne sentono incoraggiati, e incoraggiano i nostri strati culturali più bassi a riemergere. La questione è decisiva. La lotta per la libertà delle donne ha due fronti, verso il nostro maschilismo e verso quello degli altri.
Congiungerei quanto sopra con quello che ho già scritto circa la “la libertà assoluta di satira” di cui ho già scritto circa Charlie Hebdo. (Vedi sotto: “Satira e terrorismo”).
Una guerra mondiale contro le donne mi sembra in corso. Come scrivevo, Colonia fa vedere come ci sia un’ “integrazione” che si connette e rilancia gli strati più bassi delle nostre mentalità. Ubriachezze non propriamente “islamiche” e branchi di giovani maschi che ripropongono ( “in cervogia veritas”, cioè spontaneità pulsionali), repellenti sostrati, vivi tra loro e e tutt’altro che estinti tra noi, incoraggiando ogni spirito reazionario, politico e di genere.
Nel caso di Colonia, l’idea del complotto, non provato, mi sembra una forma di riparo, rispetto alla realtà ancora più grave: il fatto che certi strati dell’immigrazione si alleino spontaneamente con gli spiriti reazionari in Europa. Non solo ne fanno evidentemente il gioco politico, ma li confermino antropologicamente.
Come nota Vicky Franzinetti, certi ruoli tradizionali femminili, contro cui il femminismo si è battuto, sono rilanciati, in forza della necessità loro e nostre, dal fenomeno sociale delle badanti, che magari “liberano” le stesse donne occidentali, relativamente benestanti, da quelle funzioni, ma riconfermando ruoli in quanto “femminili”. Più gravemente, fatti come quelli in Germania, istigano alla difesa delle “nostre” donne, dove il “nostre”, ribadisce una concezione proprietaria. A parole comunque, perché a Colonia è brutto non aver notizia di nessuna difesa delle donne da parte di alcuno. (Certo, io non so come mi sarei comportato in una simile situazione, magari con la scusa di essere piccolo e vecchio).
Mi sembra da approfondire il rapporto tra neo-liberismo e maschilismo, tra liberismo e sostrato antropologico e tradizionale. Il nesso a me sembra l’esaltazione della forza, della gerarchia del più forte, della sottomissione del più debole. Del carattere selvaggio dell’istinto capitalistico che è di tipo animalesco, da jungla. Del tipo anche che “dietro a un grande uomo c’è magari una grande donna”, dietro appunto, a servirlo e ad approfittare dei suoi successi. Della donna che presiede con i suoi servizi al successo maschile, per valersi dei vantaggi che ricadono su di lei e sui suoi figli, come accade alle donne di mafia.
Ho sentito di donne e non solo di uomini, che hanno detto “se la sono cercata”, come avviene abitualmente in casi di stupro. Un nodo particolarmente complicato sta appunto nell’alleanza frequente tra molte donne e il maschilismo, quando prevale il bisogno di essere accettate e protette da una comunità tradizionalmente gerarchica, quando prevale il bisogno di un’identità prefissata e c’è la paura e la difficoltà di costruirsene una nuova e non protetta. Un’identità necessariamente trasgressiva. La decadenza della sinistra sta anche in questo: partita dalla positività e necessità del trasgredire gli stereotipi di tradizioni retrive, si è poi fissata nel culto quasi idolatrico del “diverso”; infine del diverso codificato, cioè delle identità culturali e religiose tradizionali, ossia auto-conservatrici e reazionarie. Sicché il “diverso” ha sostituito e soffocato il “trasgressivo”, la comunità del diverso è stata favorita rispetto alla singolarità di chi trasgredisce le tradizioni, i loro ruoli e gerarchie, abbandonandola/lo alla sua debolezza individuale.
Questo è l’equivoco tragico del multiculturalismo: identità comunitaria contro libertà e auto- determinazione della persona.
Quanto al multiculturalismo, è questione di intendersi: chiamo multiculturalismo l’accettazione delle “diversità” ciascuna per sé. L’alternativa non è ovviamente il monoculturalismo, ma un’interazione tra culture che implica, più che dialogo, confronto, polemica, lotta culturale interna ed esterna, ed anche leggi repressive di usi che sono per noi giustamente inaccettabili, che riguardano segnatamente le donne, nonché la laicità. Deteriore l’idea del nuovo dirigente del Labour, Jeremy Corbin, di sinistra, di istituire vagoni per sole donne per proteggerle. Ma questo ribadisce il negativo, quando è il momento dello scontro culturale.
*testo ripreso dalla pagina Facebook di Lea Melandri