Marcel Ducham 1919 L.H.O.O.Q.
[che si legge: Elle A Chaud Au Cul (è arrapata)]
Ago 2008 “Siamo tutti eterocliti”
di Massimo M. Greco – gruppo Maschile Plurale di Roma
pubblicato su Liberazione – venerdì 15 agosto 2008, pag. 12
nello Speciale curato dal laboratorio Smaschieramenti di Bologna
Io vado, tu vai, egli va; noi andiamo, voi andate, essi vanno. Dicesi “eteroclito” il termine che nel corso della sua declinazione alterna forme con diverso tema senza cambiare di significato, come nel caso appunto del verbo andare. L’eteroclito va imparato a memoria, non c’è una regola da capire. Una volta imparata la sua bizzarria, si diventa compaesani. Uno straniero normalizzerebbe dicendo io ando. Nel correggerlo, gli rimpalleremo lo straniamento da noi provato nel sentirlo sbagliare. Si potrebbe usare “eteroclito”, come indicano i vocabolari, anche per tipi non conformi e stravaganti. Nella gran parte dei testi dove oggi appare “eteroclito”, si preferisce per lo più il significato dispregiativo di “congerie illegittima e inservibile” e non quello di “mutamento di forma, ma non di senso, a seconda dei contesti”.
Il maschile è eteroclito, nel singolo soggetto come nell’insieme degli uomini, volenti o nolenti. Gli è che non tutte le declinazioni possibili del maschile hanno avuto uguale visibilità e dignità. Una di queste, il maschile mono-eterosessuale (ufficialmente) e patriarcale, è diventata egemone e ha reciso le corde vocali a tutte le altre possibilità. Ha imposto loro l’occultamento destinato ai fenomeni ambivalenti e meticci, come figli di un dio minore. I maschi in effetti, a seconda dei tempi, dei luoghi e delle culture, si comportano in modo differente, rivestono svariati ruoli e intrattengono relazioni fra di loro e con il sesso opposto le più variegate possibili, sempre sentendosi “uomini”. Anche la nostra esperienza individuale di uomini ci conferma, mi sembra, quanto siamo maschi eterocliti: diversi a seconda se siamo soli, a tu per tu, rispetto a un terzo soggetto, nel gruppo di un noi, nei confronti di un voi, alle prese con essi e con esse. Queste semplici verità si scontrano con l’ideologia della mascolinità tradizionale con cui finora siamo stati educati, che ci ha chiesto di mostrarci sempre “tutti d’un pezzo”, conformi ad un’idea utopica di Vero Uomo.
A partire dal corpo maschile: il segreto di tale pedagogia “per uomini tutti d’un pezzo” applicata al corpo è in effetti quello di sezionare il corpo maschile in varie parti e considerare quelle fragili e precarie come sacre, come tabù indicibili e impenetrabili. Quelle conformi invece dovrebbero essere sempre pronte per un uso strumentale. Che il corpo maschile e il maschile non sia “tutto d’un pezzo” diventa così un segreto, per cui non se ne può parlare, per lo meno in pubblico. Arrendersi nella propria penetrabilità non appartiene al Vero Uomo. Tanto meno nominare la propria precarietà. Tradizionalmente, se tu ne parli è perché ti manca qualcosa e perchè hai un bisogno illecito di parlarne: per alcuni sei meno uomo, per alcune sei un maschio in crisi. Nell’attimo in cui ti si può sospettare di essere un uomo parziale e penetrabile, sei subito fuori dalla comunità dei veri uomini. Non ne spartirai più il potere, a meno che non ti riscatti con qualche gesto scaramantico, come uno stupro ad esempio, ma basta anche un sopruso.
E’ una religione omertosa il maschile, a cui ci hanno educati sin da piccoli, che rimanda ad una meta astratta e non verificabile: essere un Vero Uomo. Essa protegge rendendole sacre le vulnerabilità maschili, è l’oppio che opprime e impoverisce il popolo maschile, il valore in forza del quale vengono fatte alcune moderne crociate. Il maschile tradizionale, come religione, come spazio confinato, come identità, richiede di essere difeso con la violenza.
L’invisibile parzialità dell’eterosessualità
E’ caduta con il femminismo una delle maggiore difese di questo Vero Uomo, l’invisibile parzialità del maschile nella storia, che ha costruito la sua predominanza sotto il manto di un linguaggio neutro ed universale. E’ stato così “scoperto” che i vari ordini discorsivi della Storia, della Scienza, della Medicina, della Politica, erano stati fissati dagli uomini in maniera solo apparentemente oggettiva e soprattutto a scapito delle donne. Ma se uno degli attributi di questo Vero Uomo trascendente è l’eterosessualità esclusiva, dogmatica, “naturale” e “normale”, allora diventa necessario discutere dell’invisibile parzialità dell’eterosessualità all’interno del discorso maschile. Altrimenti non si capirebbero certi revanscismi e certe impasse nella maturazione di un diverso atteggiamento nella relazione fra i generi, anche fra le forze politiche, sociali e culturali più avanzate.
Uno dei modi per verificare quanto è invisibile l’eterosessualità può essere quello di interrogare l’esperienza di alcuni gruppi maschili di discussione, in particolare quelli che riflettono sul maschile a partire da una critica al patriarcato e che ascoltano l’esperienza del femminismo come generativa di nuove opportunità. Sparsi un po’ per tutta Italia, questi gruppi sono accomunati da pratiche di discussione, di condivisione, di lavoro con il corpo e di autocoscienza.
Dal 2006, con un appello pubblico contro la violenza alle donne, hanno dato vita ad una “Rete degli Uomini contro la violenza di genere”. Sono in numero maggiore i gruppi omogenei per quanto riguarda l’orientamento etero ma, considerando la storia della presenza gay in alcuni di questi gruppi e a giudicare dalla adesione e partecipazione al Pride nazionale di Bologna del 2009, si può affermare che la riflessione a partire da un’esperienza omosessuale abbia un posto importante nella vita e negli impegni di questi gruppi. La motivazione che viene spesso ribadita è che, in forza di questo confronto, si può attuare non tanto l’elaborazione di un paradigma unitario, quanto un ripensamento che affronti la sfida della complessità dell’esperienza maschile.
Negli incontri di gruppo, se non fosse esplicito e noto da che esperienze e vissuti parte chi ha preso parola, l’attribuzione di eterosessualità al discorso sarebbe quasi automatica tranne che su due temi: il proprio corpo e la donna e non solo, come si potrebbe pensare, per una mera differenza di contenuti. Nel primo caso sembra venire in luce una censura quasi insuperabile di parti del corpo da parte degli etero e un’idealistica libertà del corpo propagandata dai non-etero. La competitività e la bulimia sessuale, solo per citare qualche esempio, invece abitano entrambe le sponde e riportano tutti a confrontarsi con paradigmi comuni di prestazione, di accumulo, di consumo.
Sul tema della relazione e della conflittualità fra uomini e donne, i “non-etero” godono della presunzione di innocuità e immunità attribuita alle vittime e agli oppressi: diventano laconici oppure sarcastici, comunque spesso superficiali, propensi a minimizzare la scelta eterosessuale a una questione di figa da conquistare, meno pronti ad interrogarsi. Ciò non consente di esplorare la complicità e la pericolosità, come supporto alla maschilità tradizionale, che un certo modo di vivere l’omosessualità può avere avuto e potrebbe avere tuttora, ad esempio, nei confronti dell’oppressione delle donne.
Spaesati e felici
Quindi appare e scompare e poi riappare l’esigenza di specificare, con la conseguenza che le molteplici articolazioni affettive e sessuali possibili vengono ridotte inconsapevolmente in un sistema binario. Quando si ragiona per sponde binarie, non solo si dà per scontato il carattere di normalità al proprio comportamento e di eccezionalità a quello dell’altro (operazione comune a tutti gli orientamenti), ma soprattutto si rappresenta come plurale la propria sponda, mentre l’altra appare avere un contenuto uniforme.
Le narrazioni potrebbero ridefinire e ampliare per ciascuno il significato di “che cosa è un uomo” e lo spaesamento viene rassicurato rappresentandosi come “gli uni rispetto agli altri”: reciprocamente alieni; su due sponde diverse; noi e voi. Si presenta ricorsivamente la difficoltà di applicare la decostruzione del paradigma maschile tradizionale. Le regole di declinazione normalizzante dei codici linguistici e dei modelli concettuali appaiono profondamente incorporati in tutti. A meno che non si accetti lo spaesamento come condizione felice e l’essere eterocliti, tutti e ciascuno, come una esperienza di libertà.
Come scritto nel testo di adesione della Rete degli Uomini al Pride nazionale 2008, «Per entrambe le “sponde”, l’insegnamento del patriarcato e del maschilismo egemone è diventato parte della propria carne: per alcuni con il godimento di un “dividendo”, per altri con la sofferenza dello stigma di una devianza, ma tutti paghiamo il costo di un impoverimento delle nostre emozioni e delle nostre relazioni. Abbiamo capito invece che per essere più liberi, bisogna lavorare per de-costruire non solo i modelli di relazione con le donne, ma anche quelli più sottili e più profondi che abbiamo incorporato e che stabiliscono i confini fra “I Veri Uomini” e gli esclusi».
In questi gruppi, nella Rete degli Uomini, c’è curiosità, affetto e voglia di stare insieme, di conoscersi e di chiamarsi ognuno a pieno titolo “uomini”, che declinano il proprio maschile in forme eteroclite. «I gay tra di noi esprimono oggi con gioia l’orgoglio di essere se stessi. Gli etero tra di noi dicono pubblicamente: Siamo orgogliosi di voi! Siete una parte preziosa dell’universo maschile!!». Un componente del gruppo Maschile Plurale romano, sapendo che questa frase messa nel testo di adesione era farina del sacco di un non-etero, ha commentato: «Sembra un bigliettino amoroso che una moglie trascurata si scrive da sola!». In effetti la frase è un po’ partita così, apparentemente come un’attesa di riconoscimento ma è stata poi accettata da tutta la Rete degli Uomini come testimonianza di una ricerca comune. Durante gli abbracci finali, esausti ma soddisfatti al termine della manifestazione bolognese, ce la siamo ripetuta convinti e ridenti l’uno all’altro. Il testo di adesione chiude con una frase retorica, sottoscritta con la sfrontatezza di pensare che sia forse solo un po’ precoce ma non irrealistica : «Pensiamo come uomini sia necessario combattere uno dei regimi totalitari più potenti della storia dell’umanità: la “religione maschile”! Il maschile tradizionale che fino ad oggi è stato egemone… è morto! Possiamo finalmente tutti de-generarci!!».
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