Sett 2013
Il percorso maschile a Paestum
di Stefano Ciccone e Claudio Vedovati
Sul blog Paestum 2013, in vista del secondo incontro del femminismo italiano il primo fine settimana di ottobre, si è sviluppato un dibattito sulla presenza di uomini, proposta da un intervento di Sara Gandini e Laura Colombo. Sono intervenuti anche ALessio Miceli, Marco Cazzaniga e Alberto Leiss, e numerose femministe con opinioni diverse. Pubblichiamo l’intervento maschile più recente, di Stefano Ciccone e Claudio Vedovati. Segnaliamo anche lo scambio tra Alberto Leiss e Fulvia Bandoli sul sito DeA.
L’incontro nazionale promosso dalle donne a Paestum è un appuntamento che ci riguarda, come uomini. Ha già prodotto pensiero e ha affermato il carattere politico della relazione tra donne, spostando il discorso pubblico. Questa relazione non ci comprende, ma comunque ci trasforma e trasforma il mondo in cui viviamo, genera la necessità e la possibilità di un cambiamento nelle nostre vite. Se la libertà femminile ha cambiato il mondo, essa ha cambiato anche gli uomini: per noi è stata l’occasione per costruire anche un percorso di libertà maschile. Il nostro percorso individuale e collettivo come uomini è il frutto anche dalla relazione con il pensiero e la pratica delle donne, con il loro sapere e con il loro differente sguardo sul mondo.
Ma Paestum ci riguarda anche perché riguarda la relazioni politiche tra uomini e donne.
Questa relazione– la chiamiamo relazione di differenza – non è per noi il semplice incontrarsi neutrale di uomini e donne. Le relazioni di differenza sono una scommessa politica che nasce contemporaneamente dalla affermazione della soggettività, dell’autonomia e della libertà delle donne e dal percorso critico di uomini sulla propria appartenenza di genere. E’ una scommessa comune di uomini e donne che non fanno confusione sulla propria parzialità e sull’asimmetria dei propri percorsi politici. E’ una risorsa per il pensiero, la vita e le pratiche politiche. Ed è a partire da questa relazione di differenza che parliamo. Non sappiamo se sarà Paestum il luogo dove questo incontro, che consideriamo necessario e ricco per la sua potenzialità trasformativa, potrà realizzarsi. Sappiamo che ci impegneremo per costruire occasioni per far crescere e dare visibilità a questa relazione.
Paestum nasce come luogo che riprende il filo della relazione tra donne, mettendo in comunicazione storie, culture e generazioni di donne diverse. Non tutte le donne e non tutto il femminismo scelgono di costruire e valorizzare relazioni anche con gli uomini o hanno scommesso su questo orizzonte politico.
Ma non sta a noi giudicare o discutere in merito, perché conosciamo il valore della relazione tra donne, in presenza, e senza gli uomini.
Crediamo sarebbe al tempo stesso povero e poco generoso limitarci a una “sottrazione rispettosa”.
Non ci piace l’ossequio di maniera al femminismo e al valore delle donne, non ci convince una posizione maschile che, anziché mettere in gioco se stessa e la responsabilità e il desiderio di stare nel mondo in modo differente, si limiti a dire di “dare spazio alle donne”. Le donne il loro spazio hanno iniziato da tempo a prenderselo autonomamente. La domanda, per noi uomini, è cosa vogliamo delle nostre vite e cosa vogliamo che cambi.
Esiste anche una asimmetria nei percorsi politici di donne e uomini che non va ignorata. I “separatismi” non sono in nulla equivalenti: il gesto di separazione femminile svela una finzione e afferma una soggettività, le pratiche maschili monosessuate di esclusione delle donne nella politica, nella cultura, nel sapere, sono al tempo stesso atti di dominio e di dissimulazione della propria parzialità: in quelle pratiche maschili gli uomini esercitano un potere ma si nascondono a se stessi.
Allo stesso modo non sono in nulla comparabili il gesto di una donna che si afferma contro un’esclusione voluta da istituzioni e sistemi di potere maschili e la presenza di uomini in una occasione come Paestum contro la volontà di donne che considerino questa presenza un dato che ne muterebbe la qualità. Un gesto che rompe uno spazio frutto di un potere di esclusione non è equivalente al gesto che impone una presenza maschile in uno spazio costruito dalle donne. E’ per questo che pensiamo che non sia possibile per noi affermare una nostra presenza contro il desiderio delle donne presenti a Paestum.
La discussione avviatasi sulla presenza degli uomini è controversa: da un lato rischia di focalizzare una discussione, dall’altro è rivelatrice di questioni più ampie e fertili, di nodi non esplicitati altrimenti. È un confronto che ci interessa ma che non ci può vedere partecipanti. A fronte del dubbio che la presenza maschile a Paestum avrebbe potuto essere uno strumento maschile per riconquistare centralità noi mettiamo la nostra consapevolezza che le donne che abbiamo incontrato nel femminismo non sono così subalterne a un presunto potere maschile di ordinare le relazioni tra loro e il loro pensiero.
Ciò che rende possibili le relazioni di differenza è che ogni soggetto agisce una pratica politica a partire da sé.
Sappiamo anche che a prescindere dalla presenza maschile, la relazione politica tra uomini e donne a Paestum c’è e la portano molte donne della differenza. Ha un grande valore per noi l’investimento fatto da donne di diverse generazioni nella ricerca di una relazione politica con il nostro percorso di uomini. Innanzitutto Sara Gandini e Laura Colombo che hanno aperto questa discussione.. In questi anni abbiamo costruito insieme, donne e uomini, luoghi di confronto, esperienze di ricerca comune e interrogazione reciproca, relazioni personali produttrici di pensiero e pratiche innovative. Vogliamo ricordare qui gli incontri di “Identità e differenza”, il sito internet “DeA”, il gruppo “Sui generi” che si incontra ad Anghiari, L’associazione “Femminile maschile plurale di Ravenna, Il gruppo “intercity/intersex”.
Come Maschile plurale abbiamo lavorato con i centri antiviolenza, promosso insieme a collettivi e associazioni di donne di incontri, manifestazioni pubbliche, contro la violenza maschile verso le donne. Abbiamo fatto incontri nelle scuole, laboratori, manifestazioni, laboratori, corsi di formazione, contro l’imposizione di modelli stereotipati di genere, contro l’imposizione di un modello normativo e binario di eterosessualità obbligatoria. Ognuna di queste esperienze ha spostato i rapporti tra i sessi nel mondo, ha modificato i nostri pensieri e le nostre storie, ha agito un conflitto nel mondo.
Esiste dunque già una pratica comune di donne e uomini che in forme diverse produce mondo, modifica la realtà in cui viviamo. Noi non vogliamo toglierle valore e riconoscimento.
Proprio perché pensiamo che un incontro politico tra donne e uomini sia un risultato prezioso ma ancora fragile vogliamo chiedere a tutte e tutti di non sovrapporre la discussione sull’incontro di Paestum con questa domanda più generale per evitare che le parole sull’inopportunità della presenza degli uomini in questa occasione rischino di portare con sé una negazione più generale. Questo, proprio perché crediamo che l’espressione di un desiderio per spazi e pratiche di relazione politica tra donne e uomini non debba esprimersi con la liquidazione di pratiche politiche separate che le donne hanno inventato e di cui riconosciamo il valore creativo e simbolico.
La discussione sull’eventualità di una presenza maschile a Paestum ha sollecitato un confronto e un conflitto tra donne che ha motivazioni e radici più ampie. Ci interessa come questo confronto ci ha rappresentato, come “uomini”. A prescindere dal fatto se saremo o no a Paestum e senza pensare che da questa discussione dipenda una nostra partecipazione ci pare interessante affrontare insieme le domande emerse.
Noi non siamo uomini solidali, di buona volontà, non vogliamo né sostenere le pratiche delle donne né intrometterci in esse, ma mettere in gioco la nostra domanda di libertà e di cambiamento.
Pensiamo quindi che la proposta di una presenza di uomini a Paestum non debba essere letta come “accoglienza” o riduzione di un conflitto. A noi parla piuttosto di un desiderio di confronto, di messa in gioco di differenze, dell’affermazione di un valore reciprocamente trasformativo di relazioni tra donne e uomini basate su un riconoscimento di differenza. Non ci sentiamo invece risucchiati in strategie maschili di potere, di intromissione.
Noi non siamo gli “Uomini”. C’è una dimensione dell’esperienza di tanti uomini che eccede il modello maschile dominante, e non vogliamo che la nostra soggettività collettiva e le nostre singolarità vengano schiacciate sotto una mascolinità dominante astratta. Non cerchiamo nessuna estraneità e innocenza: esprimiamo piuttosto un conflitto che afferma una differenza maschile che vuole sottrarsi alla seduzione del potere e costruire libertà. Come il femminismo ha infranto la finzione oppressiva della “Donna” affermando la molteplicità dei desideri femminili, noi non possiamo riconoscerci nella “comunità degli uomini” come comunità omogenea unita dal potere e dal riferimento a una identità condivisa. Noi tentiamo di esprimere la nostra esperienza di uomini, il nostro desiderio di libertà, il conflitto che ci attraversa tra il modello di mascolinità dominante e la nostra singolarità. Un conflitto mai banale e mai risolto.
Pensiamo che perché esista un confronto è necessario esistano delle soggettività.
Noi crediamo non esista una soggettività che viene prima della relazione. Nessuno, soggetto collettivo o individualità, è artefice di se stesso/a, autosufficiente. Per dire “io”, “noi” è necessario riconoscere la rete di relazioni, sguardi, proiezioni, bisogni e desideri che ci hanno costruiti/e, riconoscere la nostra vulnerabilità, il nostro limite, non come esperienza frustrante ma come condizione costitutiva della vita umana. Senza questo passaggio, non è possibile la relazione politica tra donne ed uomini. E certamente essa perde tutta la propria radicalità. Al tempo stesso il nostro percorso inizia prima di Paestum e proseguirà dopo.
Nel confronto che abbiamo avuto è trasversale una ricerca di radicalità. Radicalità intesa come capacità di andare alla radice delle cose e di non accontentarsi di risposte e soluzioni che non siano all’altezza dei nostri desideri e della nostra ricerca di libertà. Non crediamo che la radicalità si misuri sulla scelta di confronto tra donne e uomini, né in un caso né nell’altro. Questa radicalità può perdersi nella ricerca di un riconoscimento identitario, in un’accoglienza accomodante o nel desiderio di rompere con una storia percepita come segnata da un eccesso femminile. Abbiamo riconosciuto questa radicalità nelle pratiche e nelle elaborazioni prodotte dalle donne che ci hanno fornito strumenti per stare nel mondo in modo diverso, crediamo che sia possibile una radicalità, una capacità di trasformazione anche in una pratica di incontro non pacificato di donne e uomini, diversi per storie, orientamenti affettivi, politici ed esistenziali.
Ugualmente pensiamo che il valore e la radicalità politica delle esperienze non si misura in termini numerici: quanti sono gli uomini “critici”? Questa domanda sembra implicare una logica di prestazione che come uomini conosciamo bene : la forza, il numero, la politica di massa che conta e rimuove le singolarità. Piuttosto, a noi uomini questa domanda pone interrogativi su quanto abbiamo scelto, o quanto siamo stati capaci di agire un conflitto nello spazio pubblico, nei contesti sociali e politici che frequentiamo
C’è anche una radicalità delle relazioni politiche tra uomini e donne. Abbiamo cercato, come uomini, e con molte donne di sottoporre a critica i linguaggi e le pratiche della politica dei partiti o delle istituzioni ma anche dei movimenti che si vogliono antagonisti all’ordine esistente ma riproducono un immaginario gerarchico e di dominio. Incontriamo le donne nei movimenti, nei partiti, nei contesti sociali che abitiamo e vorremo che anche lì la politica che abbiamo visto espressa a Paestum fosse un continuo riferimento per donne e uomini per sottoporre a critica linguaggi, modelli gerarchici, riferimenti identitari, meccanismi di delega e di conformismo. Non si tratta di superare la mera “doppia militanza”, ma la frammentazione delle esperienze. Essere tutti interi e tutte intere nei luoghi che abitiamo e nella trasformazione che vogliamo produrre e senza rinvii.
Abbiamo imparato a capire che una politica che materialità delle vite è altro da una lettura che le riduca all’economico. Anche la sessualità, la cittadinanza dei corpi e dei desideri, anche la libertà di vivere le proprie relazioni affettivo, il proprio desiderio è parte della materialità delle nostre vite e terreno di conflitto e di messa in discussione di poteri consolidati sulle nostre vite. Non c’è un prima di emancipazione dalla precarietà a cui segue l’affermazione della propria libertà nella sessualità, nell’affermazione della propria soggettività non riducibile ai ruoli stereotipati di genere. Siamo tutti e tutte intere nelle nostre vite e vogliamo pensare una politica che corrisponda a questa vita.
Tra donne e uomini c’è necessità non di un generico dialogo ma di una relazione capace di trasformazione, che dia spazio anche a un possibile conflitto che non sia risucchiato dalla forma tradizionale di conflitto con il potere patriarcale ma che neanche lo rimuova.
In questa relazione il conflitto che ci sentiamo di mettere in gioco è quello per il riconoscimento della nostra soggettività e perché questa non venga schiacciata in una rappresentazione che liquida le differenze.
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