Mag 2012 Donde vengono le emozioni
(Un altro frammento di filosofia biografica)
di Gian Andrea Franchi
Altri frammenti di una sua “filosofia biografica” sono “Vulnerabilità” e “Ore trascorse con la madre che muore“
Dopo la morte di mia madre è venuto alla luce un foglietto – un frammento di diario intimo – in cui esprime un’autentica angoscia alla vigilia delle sue nozze.
Mi sono riconosciuto in questa pagina della giovane donna che sarebbe stata mia madre, apparsa ai miei occhi di uomo anziano come un grido d’aiuto postumo, lanciato probabilmente per tutta la vita, giunto infine dopo la sua morte a chi allora non esisteva. In questo foglietto riconosciuto la matrice delle mie tonalità affettive fondamentali. Ho percepito qualcosa delle emozioni profonde in cui mi sarei trovato avvolto alla nascita, come in un bozzolo, e che hanno in larga misura condizionato la mia storia.
Nasciamo dall’incontro fra una donna e un uomo che si portano dietro le loro storie in cui gettano i figli. L’infanzia si sconta vivendo [1].
Il matrimonio è un dispositivo complesso, con valenze diverse e anche contrastanti, la cui funzione varia storicamente. Una determinata valenza sociale dell’essere moglie, madre, marito, padre, condiziona ovviamente le singole persone che assumono quelle fondamentali funzioni sociali. L’incrocio e il contrasto tra la funzione e il singolo, tra imposizione sociale e desideri singolari, animano tutta una storia sotterranea che si mescola profondamente con la storia monumentale e che più di quella condiziona il processo di formazione dell’essere umano.
Le emozioni, dunque, sono tramandate, dense di storia. Circostanziate, situate in un tempo e in uno spazio, in una certa fase di una cultura. Ci sono emozioni collettive, diffuse, prevalenti in un determinato periodo storico, che vengono filtrate dall’ambiente familiare, in cui il nuovo essere non ancora umano è gettato. Ma portatrice primaria di questa storicità sotterranea è indubbiamente la madre, attraverso la sua storia singolare, così come è portatrice del linguaggio e del nesso fra emozioni e linguaggio [2].
L’emozione materna, rin-tracciata nel foglietto, implica uno specifico contesto storico e familiare, segnato anche da una madre dominante, colta ma rigidamente cattolica. Il contesto culturale e sociale non era privo tuttavia di elementi emancipativi tali da consentire a mia madre, negli anni trenta del Novecento, di laurearsi e avviarsi a una professione. Questo le darà autonomia economica e sociale, condizione ricca di conseguenze per i figli, quando sarà costretta a svolgere una funzione di supplenza nei confronti di un’autorità e di un’economia paterna debole o assente. Quest’assunzione materna d’autorità e di responsabilità – un peso sofferto, subito ma anche accettato – fu vissuta dal bambino che ero come mancanza d’amore. Ciò ha determinato il mio rapporto con l’autorità e quindi con la figura maschile, che era storicamente e socialmente la più autorevole ma familiarmente la meno autorevole – e quindi anche con il potere: una contraddizione, dunque, una difficoltà, ma anche un’apertura.
Ha condizionato anche il mio rifiuto della paternità e della famiglia.
Le emozioni non sono separabili dal corpo, così come il linguaggio che nella primissima infanzia è articolazione di suono odore calore: prende forma in un ambiente semantico che comincia ancora nel grembo. Le emozioni dei genitori avvolgono i figli come un’atmosfera che può anche essere avvelenata. Questo carattere avvolgente delle emozioni primarie è prima di tutto legato al corpo materno, al suo carattere di contenitore che dà vita.
Non bisogna dimenticare però il contrasto fra il corpo materno e il non-ancora-nato, il quale non è parte della madre, ma una energia vitale estranea che può provocare forme di rigetto a livello biologico e psichico. Lo psichiatra Marcel Soulé parla in proposito di “inquietante estraneità” [3]. Nella condizione fetale e in quella postnatale e nei primi tempi dell’infanzia, agiscono dono di vita e rischio di rigetto (e di morte): inizio e fine sono sempre due momenti inscindibili dell’oscura essenziale potenza che chiamiamo tempo. In questa condizione inerme e vulnerabile, s’installano i dispositivi di soggettivazione e identificazione, a cominciare dal dispositivo paterno che storicamente agiva come terzo a impedire la fusione tra madre e figli.
Nella società patriarcale, se la madre inevitabilmente era alla base delle emozioni primarie – possiamo dire la materia emotiva nel senso aristotelico di hùle -, il padre, che dava la legge, era colui che, aristotelicamente la metteva in forma (éidos), nella forma socialmente accettabile, era colui che sanciva l’identità. Nella filosofia aristotelica, come un po’ diversamente in quella platonica, è evidente il rapporto del maschile (dominante) e del femminile.
Le emozioni sono un movimento situato, un ‘qui-ora’ – un presente e un luogo – e, insieme, un ‘donde’ (come indica il termine ‘e-mozione’) e spingono sempre oltre, verso un altrove, pre-occupano il futuro, che appare come questa preoccupazione.
Indicano un’origine inesperibile da cui ci si allontana, da cui si è costretti ad allontanarsi e da cui ci si deve allontanare, ma che si porta anche sempre con sé. Le emozioni fondamentali, le tonalità emotive di base, sono questo movimento via dall’origine, che insieme se la porta dietro come un quasi-destino. Rimandano alla condizione fetale, alla nascita e contengono intrinsecamente un duplice movimento, un duplice desiderio, ben presente nella sessualità, il desiderio di andare avanti, di vivere, e il desiderio di tornare indietro, come ci ricorda anche Freud con la sua concezione delle due ‘pulsioni’, di vita e di morte.
Le emozioni, infatti, sono il nostro rapporto più intimo con il tempo. Sono il tempo esistenziale al cui ritmo si scandisce la nostra storia: rapporto con il passato, con l’origine, da cui provengono ereditariamente, in cui siamo avvolti come nella placenta già prima di nascere. Ma fondamentale è il rapporto con il futuro, che è prima di tutto un rapporto emotivo e immaginario, cui attiene la nostra capacità d’immaginare, desiderare, sperare, temere. Se il rapporto emotivo-immaginale con il futuro si attenua, l’esistenza ristagna e può arrestarsi. Il desiderio – tensione costitutiva, movimento dell’esistenza – è il rapporto fondamentale con il tempo. Le e-mozioni, nella loro ondosa diversità sono il concreto cangiante moto del desiderio. Ma le emozioni non sono separabili da immaginario e pensiero/linguaggio. Implicano, come sostiene Martha Nussbaum [4], un atto di pensiero, un giudizio non concettuale, sulla situazione in cui ci troviamo e puntano all’immagine che, a sua volta, punta al concetto, attraverso metafora e metonimia.
Se le emozioni sono, intrinsecamente, emanazione corporea, sono dunque sessuate: diverse per la donna e per l’uomo. La donna con ogni evidenza è stata storicamente molto più importante per la formazione dell’humus emotivo dell’essere umano.
La sessualità maschile tradizionale, che vive il rapporto sessuale come dominio sulla femmina (assumendo culturalmente il fenomeno biologico del maschio dominante, ben visibile in molti animali di branco), può essere – lo è stato detto più volte – anche una lotta intima, irrisolvibile, contro questo specifico ‘potere’ originario femminile, che in una utopica società a venire potrebbe essere assolta normalmente, anche dall’uomo (già oggi, qua e là, viene assolta da uomini).
Il film di Pasolini Salò Sade mostra il nesso fra potere e sessualità, con rabbia e disperazione, in modo tanto più stringente quanto meno appare legato soltanto all’eterosessualità. Il rapporto fra sessualità e potere discende dall’essere, entrambi, intrinsecamente legati alla costituzione della soggettività e dell’identità.
1 Parafrasi di un verso di Ungaretti: ‘la morte si sconta vivendo’.
2 Secondo la psicoterapia transgenerazionale, il bambino comincia a sognare nell’utero dal settimo mese e sognerebbe i sogni della madre. Cfr. Anne Ancelin Schützenberger, La sindrome degli antenati (Di Renzo ed., Roma 2004), che a sua volta riprende l’osservazione dalla rivista “Somatothérapie”.
3 Cfr. M-J. Soubieux, M. Soulé, La psichiatria fetale, Angeli, Milano 2007.
4 Cfr. M. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni, Il mulino, Bologna 2004.
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