Mar 2012 “Vi racconto la mia”. Ovvero: come sono finito qui
di Andrea Baglioni aka Dersu Uzala
già pubblicato su Anobii il 30 Mar 2012
Su Anobii, che è un social network di amanti dei libri, in un gruppo che si chiama Di qualcosa di sinistra c’è una discussione dal titolo I diritti dei gay sono di sinistra?
Ecco quello che ciò scritto, sotto lo pseudonimo di Dersu Uzala.
Io vi racconto la mia.
E’ un’autobiografia in pillole: pesano, ognuna, circa dieci anni.
Figlio di militanti comunisti: mamma del ’30, papà del ’32, a tredici anni e a dispetto dello statuto mi iscrivo alla FGCI: l’organizzazione giovanile del PCI. Era il 1974.
Negli anni ’80 passo senza rotture alla militanza nel movimento pacifista e divento amico degli amici della nonviolenza: prima in un Comitato per la Pace e poi in una Cooperativa eco-pacifista.
Alla fine degli ’80, esco dal PCI. Meglio: mentre il grosso edificio slitta io, per caso, invece di impattare sulle pareti mi trovo sulla traiettoria di una porta -aperta. A dire il vero, più che uscirne, me ne trovo fuori. I compagni e le compagne coi quali faccio il sit-in contro la strage della Tien-an-men sono gli stessi coi quali ho fatto i blocchi nonviolenti contro i missili a Comiso e contro la Mostra Navale Bellica di Genova. Fanno una nuova occupazione, perché li hanno sfrattati da un vecchio cinema al centro.
Dall’inizio dei ’90 sto in un Centro Sociale Occupato e Autogestito che mette insieme ventenni e trentenni di sinistra con storie diverse. Dopo un assalto dei fascisti si sfascia, ma con tre o quattro compagn* continuo a portare in giro per Centri sociali uno spazio per raccontare storie: a viva voce, nella penombra delle diapositive proiettate su un muro.
L’inizio degli anni Zero è segnato dal Pride Intergalattico di Roma. Ci vado coi compagni che hanno fatto Comiso e tutte le manifestazioni contro le guerre. Mi hanno invitato ad Agape (il centro Valdese nelle valli sopra Pinerolo), dove si incontrano uomini: quelli che in vita loro si innamorano di donne e quelli che si innamorano di uomini (e quelli che si innamorano delle une e degli altri). E’ dal Pride di Roma che lavoro con loro.
Ed è, credo, perché in quel Pride ho visto un uomo, sulla sessantina su un autobus a due piani col tetto scoperto. Aggrappato alla balaustra come – mi immagino- un marinaio nel pieno di una battaglia: fra il vomito, i botti, le urla. Che non ha la voglia di mollare e resta esposto ai flutti di migliaia di persone. Delle quali ha più paura -mi immagino- che disgusto. Alla fine del corteo dal palco, dopo un prete, prima di un attore, parla una donna: la moglie – mi immagino- del marinaio. Parla dell’amore che ha per il figlio che non è – dicono- normale. Di cosa significhi per lei, per suo marito, per gli altri figli, essere oggi lì. In mezzo a tanta gente “strana”.
Se vi piace, potete dire che sono un militante di sinistra, o un attivista per i diritti umani. Io penso di fare, bene o male, la solita lotta per l’affermazione -collettiva e non solo- dell’autonomia e della vita.
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