Mar 2012 “E poi è mia madre”
di Alessio Miceli,
già pubblicato sul sito
Zeroviolenzadonne il 27 marzo 2012
A pena di non poca fatica, ogni due settimane, Zeroviolenzadonne pubblica un “inserto” raccogliendo attorno a un tema almeno 7-8 articoli di amic* e collaborator*. Questo lavoro si accompagna al preziosissimo spoglio e alla restituzione degli articoli della stampa nazionale sulle tematiche di genere. L’ultimo “inserto” è dedicato al tema della madre.
Pubblichiamo l’editoriale, affidato al presiedente di Maschileplurale Alessio Miceli.
Ci sono due foto nella mia libreria, che mi fanno ancora e sempre una tenerezza struggente.
In una di queste foto, mia madre mi tiene, mi circonda nel suo abbraccio, io ho pochi mesi e mi curvo un po’ all’indietro come in una spinta. Nell’altra, mio padre mi fa volare sopra la sua testa, occhi negli occhi, e c’è luce nei nostri sorrisi.
In quelle foto, in quei gesti di contenimento della madre e di propulsione del padre, rispetto alla vita altra di un bambino, c’è scritto molto della mia vita ma credo anche delle relazioni fondamentali.
Se seguo il filo della relazione con mia madre, se riparto da quel suo abbraccio e da quella mia spinta nella foto, ritrovo anche quello che ho scritto un paio d’anni fa sulla giusta distanza nelle relazioni: “C’è una impronta oscura, nel mio fondo maschile, legata a mia madre. Riconosco nel mio percorso questo senso di pericolo, che avvertivo fin da bambino, come un rischio di invischiamento e di fagocitazione. All’opposto, la mia salvezza era nella strada, era la necessità di prendere distanza, di uscire di casa, partire lontano e quasi sparire (io da lei, lei da me).
E poi c’è il lavoro di una vita, di elaborazione della posizione di figlio e il ritiro di certe proiezioni dalla madre. Questo può significare il recupero della relazione proprio con quella donna, come un accompagnamento, e così pure il ripensamento del suo calco in noi stessi. E’ in gioco il nostro spazio vitale, la nostra giusta distanza nelle relazioni”.
Ma adesso, con tutto quello che è già stato detto e scritto sulle madri – la potenza, la fatica e anche l’ombra che le accompagna – vorrei riprendere invece l’idea di come un figlio elabora tutto questo.
A me sono passati molti anni per non parlare più di mia madre, ma della mia relazione con lei.
Vuol dire che adesso mi rimetto in gioco anch’io quando parlo di lei, del suo calco di madre in me figlio maschio, del senso che ho di lei come mia origine, abisso, terreno, linguaggio… non dico più che lei è così, ma che io l’ho pensata e sentita così nella relazione.
E poi ho imparato anche a mettermi fuori gioco, fuori dal suo campo, dal suo spazio vitale, per restituire anche a lei quella giusta distanza che ho voluto per me come figlio. Quello che poi, probabilmente, si riporta anche nelle successive relazioni intime, sessuali e affettive.
Adesso io so che prima di essere mia madre, prima di queste due parole che la riconducono a me, mia e madre, Aurora è se stessa ed è una donna non-tutta madre, come diceva Lacan.
Lei è proprio quella donna, rimasta al di qua della linea che non ha mai varcato della libertà femminile. Aurora figlia unica di Maria donna reggente, che mi diceva di lei: “Lasciala stare, a tua madre, che è fragile”. Aurora figlia di Mario padre all’antica tanto amato, tanto da farle confondere la legge del padre con la propria morale. Aurora custode del sacrificio della propria libertà sessuale, mai conosciuta né pensata da dentro lo schema familista. Aurora negata al proprio desiderio professionale, alla proposta del suo professore di restare a lavorare in facoltà di filosofia, scambiata con una cattedra di scuola media per seguire il marito. Aurora in una casa borghese, lontana dalla piazza, da una nuova politica…
Ma poi Aurora è tante altre cose, anche dentro quelle gabbie. E’ tutti i suoi slanci, assieme alle solitudini incolmabili. E’ la sua impronta in tutte le relazioni vissute. E’ l’amore che ha avuto per suo marito. E’ il suo racconto di tutto, di una padellata di pesce o degli autori che non dimentica. E’ un senso tribale di famiglia che non capirò mai fino in fondo, ma per lei è un valore. E’ riempirsi della linea della vita che l’ha attraversata, dei figli e dei nipoti. E’ il fuoco acceso e il freddo dei suoi morti.
E poi è mia madre.
E questo pensiero e questo pianto delle quattro di mattina hanno un sapore di libertà.
Allora, rispetto alla condizione originaria di venire tutti da un grembo, penso che poi venga il momento di lasciare andare le madri. Smettere la richiesta alle madri (e poi alle proprie compagne) di essere un tutto pieno, come dice Marco Deriu, capace di contenere tutto dell’altro… mentre contemporaneamente si chiede la propria autonomia. Come dire: “Tienimi tutto ma lasciami andare”. Sciogliere questo nodo, smettere questa richiesta originaria, può aiutare anche le madri a rinunciare al loro attaccamento, al potere legato alla cura. “Io so che nella relazione con mia figlia posso far fuori il mio compagno, sono io che devo decidere di fargli spazio nella relazione con la bambina”, diceva qualche tempo fa Sara Gandini.
Invece anche oggi, al tempo della libertà femminile da cui ormai non si torna indietro (anche se costa fatica mantenerla), non la pensano così molti figli e figlie e compagni e padri. La madre fa ancora problema, costituisce ancora un grande nodo della mente individuale e collettiva.
Per esempio, vengo invitato a Milano a parlare degli uomini autori di violenza contro le donne.
Intervengo sulla cultura maschile dominante e sulle trasformazioni della maschilità: non c’è dubbio che il discorso sia centrato sugli uomini. Ma durante il dibattito, due interventi di donne e due di uomini insistono tutti sulle responsabilità delle madri, rispetto all’educazione dei figli (oltre che sulla “accettazione femminile” della violenza, anziché denunciare). La mia voce è l’unica in sala a replicare: “Ma di che stiamo parlando? Adesso il problema è diventato la madre?”. Ci sono ancora molti conti in sospeso, dalla posizione di figli e figlie, con la cura e l’educazione materna.
Oppure, sul sito della associazione Maschile Plurale, un responsabile regionale di un’associazione di padri separati posta un testo sulle mogli separate e madri dei loro figli, accanto a delle enormi immagini di parassiti, di zecche e simili (come nella propaganda antisemita, nota Andrea Baglioni). E qui siamo al rivendicazionismo maschile, spesso legato alla “nostalgia del padre” come un argine perduto rispetto alla nuova libertà delle donne.
Ma anche in diversi spezzoni e attività del movimento delle donne, a volte il conflitto generazionale si fa duro. Autorità delle “madri simboliche”, capacità trasformativa della politica delle donne rispetto alla politica tutta e precariato delle donne più giovani, reciproco riconoscimento o disconoscimento tra diverse generazioni di donne… queste parole mi sono rimaste in mente come nodi di oggi tra le donne in movimento. Così mi torna in mente anche un ciclo di incontri di qualche anno fa, organizzato da Laura Colombo e Sara Gandini, intitolato: “Tra il matricidio e il monumento alla madre: la politica delle donne”.
Si vede, anche da queste tensioni, che le madri sono ancora al crocevia delle relazioni fondamentali. Ed è lì, nel cuore di una relazione, che possiamo darci libertà. Penso che quest’estate, con Aurora, faremo qualche bel giro al mare.
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