Mar 2012 “8 marzo. Uomini, la violenza sulle donne ci riguarda”
di Stefano Ciccone
pubblicato su Paese Sera Giovedì, 08 Marzo 2012
L’otto marzo arriva preceduto da una scia di omicidi di donne ad opera dei propri compagni, vicini di casa, mariti. Una scena di violenza di cui le uccisioni sono solo il dato più estremo e che sembra riportare indietro anche il confronto possibile tra donne e uomini su come costruire relazioni nuove e più libere nel lavoro, nella sessualità, nella politica. Nonostante le iniziative di contrasto si siano moltiplicate, la violenza maschile contro le donne non appare diminuire. La difficoltà a contrastare la violenza di genere è una conferma del suo radicamento nella nostra società e della sua diffusione in ogni strato sociale e culturale.
UOMINI: O FOLLI O STRANIERI – La comunicazione pubblica offre spesso una rappresentazione distorta della violenza, proponendola come una minaccia proveniente dall’esterno della nostra “normalità”, opera di stranieri, devianti, frutto di patologia o espressione di culture diverse e arretrate. L’enfasi sui casi di cronaca più efferati accentua l’allarme sociale ma, al tempo stesso, tende a rappresentare la violenza come un fenomeno estremo, e dunque marginalizzandolo. Se è opera di criminali, maniaci o stranieri noi non siamo chiamati in causa, non dobbiamo interrogarci sulle sue cause ma semplicemente delegare alle forze dell’ordine un intervento repressivo adeguato.
Altrimenti i telegiornali ci presentano la violenza maschile contro le donne come “dramma della gelosia”, “follia omicida” o il più asettico “delitto passionale”. Le dinamiche di relazione tra i sessi, i modelli culturali che strutturano ruoli e modelli comportamentali di donne e uomini raramente vengono chiamati in causa per quelli che sono rappresentati come casi individuali di follia o eccesso passionale.
Davanti alla rappresentazione pubblica della violenza di genere come frutto di un disordine prodotto o dall’ingresso nel nostro paese di uomini portatori di culture arretrate e oppressive o all’”impazzimento” di individui che perdono ogni capacità di autocontrollo, siamo portati a dirci: non mi riguarda, non ha a che fare con la mia normalità. Non mi chiede di mettere in discussione il mio immaginario, la mia idea delle relazioni tra i sessi, le mie aspettative su ruoli e attitudini di donne e uomini. E invece proprio lì c’è il substrato di cui la violenza si nutre e da cui emerge.
DONNE: CONDANNATE A ESSERE VITTIME – La rappresentazione della violenza contro le donne, inoltre, ci fa vedere quasi sempre solo le vittime. Raramente nei manifesti delle campagne di contrasto al fenomeno si rendono visibili gli autori della violenza, che restano entità in ombra; raramente ci si rivolge ad amici, parenti, colleghi di lavoro per contrastare l’omertà o l’indifferenza che spesso fa da contorno a maltrattamenti e abusi. Le campagne rendono visibili solo le donne che subiscono violenza, invitandole a denunciarla. Questo invito è, in genere, associato all’immagine di una donna coperta di lividi, stretta in un angolo, ripiegata su se stessa o rinchiusa in una gabbia. All’invisibilità maschile si associa la rappresentazione di un’immagine delle donne come soggetti deboli, associate ai minori, schiacciate nella categoria delle vittime. Questa debolezza femminile, in realtà, riconferma uno stereotipo nei rapporti tra i sessi che è connesso ad una delle forme di relazioni oppressive da contrastare: una asimmetria tra i due sessi che attribuisce agli uomini il compito di proteggere e pone le donne sotto la loro tutela, una tutela non solo fisica ma morale e psicologica.
MASCHILE PLURALE – L’esperienza di Maschile plurale, un’associazione di uomini nata nel 2007, tenta di indagare le radici culturali diffuse della violenza di genere nella convinzione che questa sia la forma più efficace per contrastarla.
Assumere la consapevolezza che, come recitava il titolo dell’appello nazionale promosso nel 2007, “la violenza contro le donne ci riguarda” non vuol dire assumere una posizione di colpevolizzazione degli uomini, ma affrontare la violenza di genere come parte di uno scenario culturale diffuso e condiviso, che struttura le relazioni tra i sessi, ma anche la percezione che hanno di se stessi donne e uomini, le loro aspettative reciproche.
Maschile plurale cerca di indagare i nessi tra il comportamento violento o oppressivo e un immaginario condiviso, facendo di questa riflessione anche un’occasione per rimettere in discussione modelli stereotipati di genere, forme relazionali tra i sessi, modelli di socialità, rappresentazioni del corpo e della sessualità maschile. Siamo convinti che i comportamenti maschili oppressivi e violenti siano figli di una cultura che vincola anche le nostre vite e riduce la nostra libertà come uomini.
GLI UOMINI PRENDANO LA PAROLA – Contro la violenza serve dunque un cambiamento culturale. Ma cosa fare? L’intervento principale in questi anni è stato portato avanti dai centri antiviolenza gestiti da donne. Si tratta di esperienze che intervengono principalmente, a violenze avvenute, a sostegno delle vittime, pur avendo un ruolo importante anche nella prevenzione della violenza. Negli ultimi anni è però emersa la necessità di un intervento più mirato sugli uomini. Come intervenire? La nostra scelta è stata quella di costruire un lavoro culturale, un dialogo con altri uomini di diverse generazioni, nelle scuole e nella comunicazione pubblica.
Negli ultimi anni sono cresciute nel nostro paese alcune esperienze di intervento specifico verso gli uomini autori di violenze: dal telefono di ascolto uomini gestito dal Cerchio degli uomini di Torino, al Centro uomini maltrattanti di Firenze, all’intervento in carcere a Milano o le attività di formazione specifica per gli operatori dei servizi in Emilia Romagna. Oggi anche a Roma sono in fase di avvio e progettazione interventi indirizzati a uomini autori di violenza, che vedono un’associazione di uomini come “Maschile plurale” collaborare con le due principali realtà femminili attive su questo terreno, “Differenza donna” e “Be free”.
Ovviamente la creazione di questi interventi non può entrare in competizione per la disponibilità di risorse con i centri antiviolenza, già sotto attacco, ma deve piuttosto mirare a realizzare un’azione integrata e coordinata. Il dialogo tra donne e uomini nel contrasto alla violenza può e deve diventare visibile nella società, cambiare modelli consolidati, luoghi comuni e ruoli stereotipati. Ma perché ciò accada è necessario che anche gli uomini prendano la parola in prima persona.
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