I QUADERNI DEL VENERDI’ N. 51
Se gli uomini si parlano
di Giancarlo Viganò
La guardavo stordito mentre esemplificava la mia inadeguatezza e i miei torti nei suoi confronti e la sua capacità dialettica mi sovrastava perché seguiva linee logiche ineccepibili, schiaccianti… Cercavo l’opposizione ma sentivo le mie argomentazioni non sufficienti, troppo aeree, troppo distanti dalla sua rigorosità e allora diventavano una difesa perplessa, confusa, forse aggressiva. Non possedevo, e nonostante l’allenamento ancora mi è straniera, quella capacità che si chiama con un sostantivo che non mi ricordo mai, che mi è ostico: assertività. Viene definita come un insieme delle abilità cognitive e comportamentali che consentono a un soggetto di affermare la propria personalità senza cadere in comportamenti passivi o aggressivi. Invece io, me ne sono reso conto dopo tanto tempo, fatica e dolore, inconsciamente addossavo alla mia compagna le mie incapacità; i miei occhi interiori non sapevano guardarsi dentro. Sicuramente non soltanto con lei. Ora mi pare di non farlo più. Mi pare.
Ho sempre avuto un rapporto intellettuale intenso con le donne potendo comunicare sull’onda di una reciproca sensibilità. Forse ero attirato dall’universo femminile che mi sembrava più incline all’introspezione che all’azione, forse avevo un’anima che privilegiava questo aspetto. Non che non avessi amici maschi, anzi. Ma il rapporto e il dialogo con loro erano diversi; dovevo indossare stereotipi maschili: forza, virilità ostentata, decisione, razionalità. Lo facevo, ma opprimendo la sfera emotiva che comunque tracimava dal vaso di Pandora nella quale era chiusa. Quell’abito pesante mi dava forma e sostanzialmente mi stava anche comodo. Era un abbigliamento di privilegio e mi apparteneva, con tutte le contraddizioni e difficoltà che mi procurava nei rapporti col mondo femminile. Non capivo che oltre ad un abito era una pesante corazza. Inoltre, ulteriore difficoltà, fin da ragazzo sono sempre stato incline ad una marcata individualità e a un liberatorio senso di autonomia, pagato talvolta con un faticoso isolamento e quindi la mia relazione coi gruppi e la loro energia era guardinga e laterale.
E ancora, più tardi nel tempo, ho constatato che il mio mondo maschile cozzava, era altro, era in conflitto con il mondo femminile che in quel momento era in relazione intima con me. Le pulsioni erano diverse, le fantasie, le modalità relazionali erano altra cosa; insomma constatai che essere in armonia di coppia non è semplice, non lo è stato, ora non so. In un certo senso me ne sono fatta una ragione, cerco di mantenere un atteggiamento più limpido ma ho un’anima vacillante, che si distrae troppo facilmente. L’assertività è un frutto di cui sento il profumo ma che non riesco a cogliere.
Fu allora che mi imbattei nel primo gruppo maschile, un gruppo di pensiero, ricerca e autocoscienza. Fu ossigeno, fu una scuola di relazione e di apprendimento. Questa prima esperienza mi ha aperto mondi e temi inesplorati: mi ha aiutato a pormi in una modalità di riflessione più introspettiva, più spirituale. Soprattutto di confronto. Devo loro molto, anche se in seguito a profonde divergenze ideologiche che nel tempo si sono rese evidenti, mi sono allontanato da questi amici, perché la loro strada non collimava più con la mia ricerca.
E’ seguito un lungo periodo durante il quale la morsa della solitudine mi aveva afferrato nuovamente e mi sono avvicinato a questo nostro gruppo con desiderio anzi con la necessità di trovare un respiro più ampio, un respiro comune, un respiro maschile. Quando dico più ampio non intendo fare il paragone col respiro femminile che rispetto, ammiro e talvolta invidio. Intendo di aria che i miei polmoni di maschio potessero inalare fino in fondo, con giuste dosi di ossigeno, anidride carbonica, azoto, umidità e devo dire che con il nostro gruppo ho trovata questa mescola adatta, fatta di ascolto, rispetto, attenzione, etica. Una miscela che mi ha proposto ed insegnato atteggiamenti e qualità che mi erano latitanti. E’ come se mi trovassi in un bosco che assorbe anidride carbonica e cede ossigeno.
Azzardo il pensiero che i maschi vivano in terreni fortemente inquinati e in buona parte desertici nei quali ciascuna pianta deve prevalere sull’altro per accaparrarsi le quantità di acqua e sostanze necessarie alla sua sopravvivenza. In solitudine. Penso sia il dramma del maschile: la solitudine, la non condivisione di quella linfa vitale delle emozioni e dei sentimenti per educazione patriarcale, stereotipia di modelli culturali che dirigono i comportamenti. Al contrario mi pare che la solidarietà tra donne sia di altro colore, comprenda tante sfumature, tra cui la sensibilità dell’anima e delle sue emozioni, un respiro ampio che sa però soffermarsi anche e soprattutto sul momento che sta vivendo, gustandolo pienamente, mentre i maschi siano, al contrario, meno capaci di abbracciare totalmente quell’attimo, annacquandolo e stemperandone l’intensità, fuggendolo, oltrepassandolo, in definitiva sentendo come insostenibile la possibilità di abbandonarsi all’emozione.
Ma se incontri il bosco o l’alpeggio o il mare, persino il deserto che è quel luogo vuoto dell’anima che induce all’incontro con se stessi e alla meditazione, ecco, lì ti ci senti bene.
E voi cari uomini del mio gruppo siete il mio bosco, il mio alpeggio, il mio mare e il mio deserto.
Lacrime maschili
Ho visto un uomo
piangere nascosto al buio
che il sole è vergogna.
Solo un momento
di abbandono
di alimento.
Domani ricomincerà la fatica
Bellissima riflessione… Grazie, Giancarlo. Mi autorizzi a farla circolare su Uomini in Cammino?
Certo Beppe, mi fa piacere il tuo apprezzamento.
Un abbraccio.
Giancarlo