Ripreso da La Bottega del Barbieri
Sabato 26 gennaio 2019 Angela Davis compie 75 anni. E la ricorrenza ha stimolato una riflessione molto personale di BENIGNO MOI…
Angela e noi (ragazzini nel 1970)
di Benigno Moi
Una delle piccole conseguenze derivanti dall’eccessiva personalizzazione di ideali e lotte politiche è quella, per chi ancora riesce a conservare memoria, di trovarsi costretti a rimettere in discussione miti decennali, “eroi” e “santini laici” della propria giovinezza, della propria formazione culturale e politica. Figure carismatiche di cui, anche a sinistra e ancora oggi, sembra non si riesca a fare a meno, e che talvolta siamo costretti a tirar giù dagli “altari”.
Anche sorvolando, per non farci troppo male, su alcuni fugaci miti degli ultimi decenni, cui molti ci siamo aggrappati nella disperazione data dai vuoti di senso e di riconoscimento che si venivano a creare (penso ai vari Zapatero, Tsipras e via elencando) sono numerosi i “modelli” – soprattutto se viventi – di cui si può scoprire non corrispondano esattamente a quanto inizialmente conosciuto o creduto.
A un’associazione antirazzista in cui lavoro è capitato di dover “buttare al macero” uno stock di T-shirt in cui, assieme ad altri personaggi simbolo, era rappresentata Aung San Suu Kyi, divenuta impresentabile dopo che si è scoperta la sua ignavia – quantomeno – nell’opera di pulizia etnica delle popolazioni Rohingya portata avanti dal suo governo in Myanmar. Da alcuni anni, in molti Paesi africani, viene contestata la figura del Mahatma Gandhi1), anche con rimozione delle statue erette in suo onore, dopo che sono stati resi noti alcuni scritti del profeta della nonviolenza contenenti giudizi razzisti.
Ovvio che la maniera migliore per evitare tali rischi rimane la “sacrosanta capacità di laicizzare” le ideologie. Di spersonalizzare quanto più possibile le battaglie politiche.
Ma non è semplice. Anche dal punto di vista simbolico i “grandi pensatori” e i “condottieri” hanno sempre funzionato e funzionano, ancor di più quando le scelte ideologiche e politiche vengono fatte di pancia, con un’infarinatura superficiale di ideologie e parole d’ordine. Non credo quindi che questi siano tempi in cui riusciremo a farne a meno facilmente.
Nonostante ciò – e benché senta calata enormemente la mia necessità di trovarmi figure carismatiche, leader capaci di essere punto di riferimento – devo confessare d’essere ancora oggi fieramente orgoglioso di aver cominciato a fare politica, a 16 anni, in un circolo dedicato ad Angela Davis.
Era l’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, e il circolo era la sezione di Sinnai (Cagliari) della FGCI, il movimento giovanile del PCI.
La Davis2)3) faceva parte del Communist Party USA ed anche in Italia il Partito Comunista fu in prima fila nella campagna per la sua liberazione. I suoi testi in italiano vennero pubblicati dagli Editori Riuniti.
Nei mesi in cui la Davis rimase latitante il FBI fece stampare dei manifesti che, raccomandavano la massima attenzione, descrivendola armata e pericolosa. Dopo alcuni anni Angela Davis fu scarcerata e scagionata, riprese i suoi studi e le sue battaglie, in particolare contro il sistema penitenziario americano, denunciando le origini prettamente razziste della percentuale altissima di detenuti di colore nelle carceri USA.
Oggi potrà sembrare strano che una militante, detenuta con accuse gravissime (dal sequestro all’omicidio), e comunque vicina a gruppi che non escludevano la rivolta armata nel cuore dell’Impero americano, potesse godere di un appoggio così vasto, anche da partiti istituzionali.
Eppure lo era. Il manifesto (gigantesco) più famoso della campagna italiana in suo favore –Salviamo Angela Davis – portava la firma dei movimenti giovanili di vari partiti, perfino quello della DC. Dopo il sessantotto i partiti della sinistra storica speravano di arginare il diffondersi dei movimenti extraparlamentari anche dando un po’ di autonomia ai loro apparati giovanili. Rimane il fatto che quel gruppo di ragazze e ragazzi, pur interni alla sinistra storica, in un piccolo centro del cagliaritano, ebbero l’intuizione e il coraggio di individuare in una donna “negra” (allora tutti usavano ancora quel termine) accusata di aiutare dei terroristi il proprio riferimento politico/culturale.
Oggi, nel 2019, dopo quasi 50 anni da quei giorni, mi rincuora constatare che Angela Davis non ha tradito le nostre tensioni giovanili ed è sempre lì, lucida, coerente, battagliera. Presente.
Presente in prima fila nelle battaglie delle donne contro violenza e discriminazioni di genere, come in occasione della Marcia delle donne di Washington del gennaio 20174); a fianco dei movimenti di liberazione della Palestina5)6) e delle detenute curde nelle carceri turche in sciopero della fame7); contro la barbarie delle istituzioni totali, e del carcere in particolare8).
Il Circolo Angela Davis
La mia formazione politica, come quella di tanti che in quegli anni si accostavano all’impegno nel sociale, avveniva dopo un’infanzia passata dentro o accanto ad ambienti cattolici. A quelli “più fortunati” capitava di incappare in Don Milani e nelle figure e nei testi della “teologia della liberazione”, Helder Camara e Camillo Torres innanzitutto. E da lì era facile il passo verso i movimenti internazionalisti e terzomondisti. Erano gli anni della guerra nel Vietnam, delle lotte di liberazione in Africa e dei fuochi di guerriglia guevariani in Sudamerica, di al-Fath e Arafat in Palestina, delle speranze nell’anomalia del Movimento dei Paesi non allineati.
E delle battaglie antisegregazione e antirazziste negli Stati Uniti.
Siamo cresciuti sentendo degli omicidi di Malcom X (1965) e Martin Luther King (1968); delle rivolte di Detroit e della nascita delle Pantere Nere; vedendo il gesto del pugno chiuso di John Carlos e Tommie Smith durante la premiazione alle Olimpiadi di Città del Messico.
Angela Davis, dopo il mandato di cattura nei suoi confronti, la latitanza e il carcere, divenne anche per noi un simbolo delle lotte di liberazione.
Aveva del resto tutte le caratteristiche per diventare “un simbolo”: figura di intellettuale brillante, che viene in Europa per approfondire i suoi studi con Marcuse, a Parigi e ad Amburgo; bella, inconfondibile con la sua chioma afro “perfetta” per poster e spille.
La campagna per la liberazione della Davis (passò 18 mesi in carcere) ebbe realmente un riscontro enorme a livello globale. Con appelli di famosi e influenti intellettuali9); canzoni in suo favore10), da quella scritta in Italia nel 1971 da Virgilio Savona, Angela, e incisa (addirittura cantata in RAI) dal Quartetto Cetra11); a quelle scritte e incise dai Rolling Stones, Sweet Black Angela12), e da John Lennon e Yoko Ono, Angela13).
Il Circolo di Sinnai a lei intitolato ebbe anche alcuni momenti poco ortodossi rispetto alla linea del partito, che già aveva poco apprezzato che il circolo fosse stato dedicato a una persona così scomoda e, oltretutto, ancora viva! Forse perché il nome scelto influenzava certe letture, forse perché si agiva in una comunità comunque vivace, con la contemporanea presenza di gruppi cattolici socialmente impegnati. Fatto è che si era comunque spinti al confronto, alla ricerca di risposte non sempre univoche ai propri dubbi.
Il clima che anche i giovani figiciotti respiravano, del resto, era quello delle lotte di liberazione in giro per il mondo, del mito crescente del Che, dei film di Pontecorvo sulle rivolte, vere o immaginate, in Algeria e America Latina. E noi, con quel nome, eravamo ufficialmente schierati con i movimenti afroamericani che stavano vivendo uno scontro molto cruento, con le macchinazioni contro il Black Panter Party; l’assassinio di George Jackson; la rivolta nel carcere di Attica, repressa nel sangue con 39 morti e oltre 200 feriti.
Era facile farsi trasportare. Tanto da ritrovarci sotto il palco di Berlinguer, il 28 aprile 1972 in Piazza Garibaldi a Cagliari, a urlare un improvvido «se Angela Davis ci dà il fucile / guerra civile guerra civile», nello stupore e sdegno del servizio d’ordine del PCI, e senza renderci neanche conto dell’assurdità di un simile slogan nella bocca di un gruppo di figiciotti! Forse l’insofferenza veniva anche da un rapporto non semplice con “i grandi” e con gli apparati centrali della stessa FGCI. Quando il Circolo aveva deciso di realizzare un proprio periodico, e lo portò a stampare nella Federazione a Cagliari, si ritrovò le pagine non corrispondenti ai manoscritti inviati. Piccole censure, neanche significative politicamente, ma quanto bastava ad alimentare la sfiducia e decidere di procurarci un ciclostile usato, e fare tutto da noi.
L’esperienza del Circolo andò avanti per alcuni anni, poi i suoi militanti, come suol dirsi, percorsero strade diverse. Chi continuando la militanza all’interno del PCI e nei suoi vari epigoni post scioglimento, con varie ed alterne fortune; o come amministratore nelle giunte comunali di centrosinistra che da allora governano il paese; chi nella lotta armata e chi in un suo “buen retiro”.
Mi piace pensare che, nonostante scelte successive molto differenti, ancora oggi siamo fieri di aver militato in un circolo che portava quel nome. Che tutti conserviamo un buon ricordo di quelle due stanzette in centro, con la piccola biblioteca costruita anche grazie a un appello pubblicato sull’Unità, con le riviste, il bigliardino e i dischi delle canzoni di lotta.
E del suo giornalino, con la chioma afro di Angela Davis stampata in alto a sinistra sulla copertina. Forse miserino, ma per molti di noi palestra di confronto e dialettica.
Fieri della figura cui era stato dedicato il Circolo. Di quel volto disegnato anche sulla maglietta che, la sorellina di due compagne, indossò per partecipare a una sorta di Zecchino d’oro paesano cantando una canzone di De André. Quel volto che, gigantesco, arredava le nostre stanze, nello sconcerto dei genitori, sostituendo magari “sacre famiglie” e affiancando il poster del Cagliari dello scudetto.
Del resto anche “giggirriva” rimane, per nostra fortuna, un mito di cui andiamo fieri.
NOTE
- https://www.huffingtonpost.it/2015/09/30/gandhi-razzista-libro_n_8221348.html
- http://www.bibliotecamarxista.org/davis%20angela/biografia%20politica.htm
- https://en.wikipedia.org/wiki/Angela_Davis
- https://www.youtube.com/watch?v=TTB-m2NxWzA
- https://bdsitalia.org/index.php/la-campagna-bds/ultime-notizie-bds/2003-angela-davis-italia
- http://contropiano.org/news/cultura-news/2019/01/10/sostiene-il-bds-revocato-un-premio-ad-angela-davis-simbolo-della-lotta-per-diritti-civili-0111305
- https://27esimaora.corriere.it/19_gennaio_18/angela-davis-turchia-liberi-leyla-guven-sciopero-fame-8822f286-1b08-11e9-a392-0b2e66f10fec.shtml?refresh_ce-cp
- http://www.minimaetmoralia.it/wp/aboliamo-le-prigioni-angela-davis/
- https://gyorgylukacs.wordpress.com/2014/07/09/appello-di-lukacs-contro-il-processo-ad-angela-davis/
- https://www.youtube.com/playlist?list=PLQXF2Ac0rsewth2OZmkJUBdI22ZTx6vjC
- https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=46283&lang=it
- https://www.youtube.com/watch?v=v8M8f9x435I
- https://www.youtube.com/watch?v=09VU5gR-paw
Bibliografia essenziale:
- «I fratelli di Soledad Lettere dal carcere» di George Jackson, Einaudi 1970.
- «Col sangue agli occhi Il “fascismo americano” e altri scritti» di George L. Jackson, Einaudi 1972.
- Angela Davis, «Nel ventre del mostro», Editori riuniti, Roma, 1971.
- Angela Davis, «La rivolta nera», Editori riuniti, Roma, 1972
- Angela Davis, «Autobiografia di una rivoluzionaria», Garzanti, Milano, 1975 (riedito da Minimum Fax, 2007).
- Angela Davis, «Bianche e nere», Editori riuniti, Roma, 1985 (riedito da Edizioni Alegre, 2018, col titolo originale «Donne, razza e classe»)
- Angela Davis, «Aboliamo le prigioni? Contro il carcere, la discriminazione, la violenza del capitale», Minimum Fax, Roma, 2009.
Altri materiali
Un radiodramma in forma di soul su Angela Davis:
Qui un capitolo dal libro di Angela Davis «Bianche e nere» (rieditato col titolo «Donne, razza e classe») con intervista alla traduttrice del volume
https://www.micciacorta.it/2018/03/donne-razza-classe-lassedio-al-razzismo-comincia-banchi/
https://www.sinistrainrete.info/societa/12512-cinzia-arruzza-donne-razza-e-classe.html
Alcune canzoni dedicate alle lotte degli afroamericani degli anni ’70
Bob Dylan, «George Jackson» https://www.youtube.com/watch?v=y2WfzlskjYc
John Lennon, «Attica State» https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=3722&lang=it
PICCOLA AGGIUNTA DELLA REDAZIONE
E per chi ama il jazz:
Archie Shepp – Attica Blues (1972)
Charles Mingus – “Remember Rockefeller at Attica” (Studio Version …
E sempre di Archie Shepp i versi che potete ascoltare qui : Archie Shepp – Malcolm, Malcolm – Semper Malcolm – YouTube o qui Archie Shepp – Poem For Malcom | Releases | Discogs
Prima ancora: We Insist! Max Roach’s Freedom Now Suite e CHARLES MINGUS: ORIGINAL FAUBUS FABLES.
E ai giorni nostri: Sons of Kemet – “My Queen is angela Davis” – Live @ Festival Sons D’hiver 2018