un racconto di Giancarlo Viganò
Non sono un uomo violento, non ho mai alzato le mani contro una donna, no.
Certo qualche litigio, qualche parola forte, troppo forte, è stata detta, ma mi appello al fatto che di parole forti ne ho anche ricevute, dalle donne. Secondo me siamo pari.
Dicono che noi maschi siamo privilegiati. Può essere, d’altro canto così andava e va il mondo, che ci posso fare io? Poi, dire che i maschi hanno privilegi… insomma forse è esagerazione. Dicono che abbiamo un linguaggio sprezzante verso le donne? Solo per qualche battuta sessuale? Insomma, mi sento abbastanza innocente e dunque tutta questa violenza di cui si parla contro le donne non è affar mio, almeno non più di tanto.
Certo tutti questi femminicidi, questi strangolamenti, questi incendiamenti con la benzina, mamma mia mi fanno tristezza, anche angoscia. Che uomini sono quelli? Non sono uomini, sono bestie e meriterebbero una gogna pubblica, appesi in piazza fino a sentirli pregare e piangere e poi…una pena esemplare: l’evirazione!
Ringraziando il cielo non sono così, è vero che sono geloso ma la mia donna è libera, può fare quello che desidera e andiamo d’accordo anche se mi rimprovera di darle poco aiuto in casa e di seguire poco i figli. D’altro canto lei ha un lavoro meno impegnativo del mio.
Bah, comunque io non sono un uomo violento, mi dispiace per quelle povere donne e metterei in galera per sempre i violentatori, stupratori o assassini che fossero.
PRIMA STORIA
Ho una figlia adolescente,13 anni. È una ragazzina tranquilla, normale. Mi sembra che abbiamo un buon dialogo. Certo che i fatti di oggi, tutto questo parlare di violenza, queste storie del cybersex, delle ragazze ricattate su facebook, dei siti porno accessibili dai ragazzini di qualsiasi età, ci spaventa come genitori, anche se, secondo me, c’è molta montatura e poi le brutte cose capitano a ragazze… diciamo non troppo serie. Ho chiesto a mia figlia cosa ne pensasse ma mi ha risposto “ma dai papà” ed ha glissato sull’argomento. Ho pensato che la questione proprio non la toccasse, è ancora una bambina. Un pomeriggio l’ho sentita parlare con sua madre di una storia capitata ad una sua compagna di classe su facebook, circa un suo fidanzato che aveva pubblicato delle foto, ma non ho capito bene. So che mia figlia, nei giorni seguenti, era come in trance, rispondeva a monosillabi alle mie domande – per altro innocue: la scuola, i professori – e andava a chiudersi nella sua stanza. Ho chiesto a sua madre, mia moglie, ma mi ha risposto che sono le solite storie di infatuazioni non ricambiate, insomma, cose normali. Mi sono tranquillizzato. Dopo una settimana abbiamo ricevuto una convocazione dal Preside della scuola che ci informa che nostra figlia è stata vittima di sexting. Cado dalle nuvole e chiedo cosa sia. Il Preside, un po’ imbarazzato, dice che alcune foto di mia figlia sono state rese pubbliche su Facebook e non sono propriamente fotografie per ritratto. Continua dicendo che è stata sporta denuncia alla Polizia Postale contro alcuni ragazzi che sono stati sospesi. Ci fa vedere le foto: sbianco, mi sento vuoto, stupido come un pupazzo di cartapesta.
SECONDA STORIA
Ho un figlio adolescente, 14 anni. Un bel ragazzo alto,sportivo, molto riservato e silenzioso, senza problemi particolari ed un genio del computer, ne siamo orgogliosi. Passa ore e ore a studiare e fare ricerche sul web. Da grande farà cose importanti. Ha tre o quattro amici storici, insomma un ragazzo tranquillo, forse un pò taciturno e a scuola ha la sufficienza. Io ho difficoltà a parlare con lui, talvolta mi pare che che non abbia molta stima di me. Per ora le ragazzine non sembra che gli interessino.
Ieri sono arrivati due agenti di Polizia a casa nostra con una convocazione presso il Tribunale dei Minori. Nel documento c’era scritto che nostro figlio ha fatto parte di un gruppo di ragazzi che ha violentato una ragazza di quindici anni nell’appartamento di uno di loro.
Mi sono messo ad urlare e li ho minacciati. Sono stati bravi: non mi hanno denunciato. Non so più chi sia mio figlio, chi sia mia moglie, chi sono io.
TERZA STORIA
Siamo rimasti in due, non sono arrivati figli. Ne abbiamo sofferto ma meglio così, meno problemi. La nostra è una vita tranquilla, qualche amico, un bell’appartamento al secondo piano di un condominio signorile, che sarebbe tranquillo se non fosse per i nostri dirimpettai, una coppia di stimati professionisti, avvocato e medico. Litigano spesso urlando e con epiteti indecorosi. Si sa l’amore non è bello se non é litigarello. Ci sembra però che talvolta esagerino. Una sera mia moglie voleva intervenire ma io le ho ricordato il proverbio: tra moglie e marito non mettere il dito. Però quando li incontriamo sono sorridenti e affabili. Lei soffre di labirintite e ogni tanto picchia contro qualche spigolo e si fa male. Poveretta, ha sempre qualche livido e addirittura, cadendo, si è rotta un braccio. Brutta bestia la labirintite!
Ieri notte lei ha urlato come un’ossessa, qualche ora dopo è arrivata una pattuglia di Carabinieri e ha fatto irruzione nel loro appartamento. Hanno portato via lui, ammanettato. Poi sono arrivate ambulanze e tanta gente. Lui l’ha ammazzata con venti coltellate. Io e mia moglie abbiamo quasi vergogna a parlarci. Continuiamo a guardare nel vuoto, verso il loro appartamento.
CONCLUSIONI
Ma dove cazzo ero? Dove sono stato in tutto questo tempo? Ad insegnare quello che si fa e quello che non si fa, l’attenzione alla strada, al freddo, al caldo, agli orari, al cibo, ai voti, attenti a tutte le buone fottutissime maniere, a non chiedere, a non intervenire, pensando che il tempo aggiusti tutto. Dovevo capire, forse se fossi intervenuto non sarebbe successo quello che è successo. Non ho vigilato, non ho fatto sforzi, con l’anima, col cuore, con l’amore. Ho aspettato, come Godot. Dentro ho qualcosa che mi corrode, un acido caustico che ha messo a nudo la mia sterilità di uomo. Ho capito ora, in colpevole ritardo, che la violenza sulle donne riguarda anche me.