La ragazza di Benin City alla Rete degli Uomini”
Pubblichiamo l’intervento che Claudio Magnabosco ha inviato a nome del progetto “La ragazza di Benin City” all’assemblea della rete degli uomini convocata a Roma per il 15-16 dicembre.
[…] Cari amici dei vari gruppi
Vi rispondo in occasione del nostro Congresso e considero la risposta un atto del nostro Congresso.
La […vostra… ndr] lettera mostra con quanto interesse guardate alla nostra esperienza, interesse che è pari a quello che noi proviamo per la vostra.
Nelle differenze che ci caratterizzano e che sono la ricchezza di questo complesso movimento maschile che tutti insieme costituiamo, noi rappresentiamo… “un problema”…
Rappresentiamo, infatti, una consapevolezza sofferta e vissuta e non intellettualistica, rappresentiamo una criticità.
Quelli fra noi che accettano di operare a viso aperto non sono moltissimi e tutti hanno subito gravissime conseguenze personali per il loro “outing” come ex clienti, cioè come … responsabili di violenze sulle donne…poiché avvicinare una prostituta schiava è una forma di violenza, visto e considerato che le stesse vittime della tratta definiscono i comportamenti maschili “stupri a pagamento”.
Subiscono conseguenze di questo genere anche quelli che operano con noi senza esser mai stati clienti, eppure condividono la gogna alla quale talora ci costringono.
Le conseguenze quei maschi le pagano in famiglia, sul posto di lavoro e chi raggiunge la necessaria consapevolezza si trova a disagio nel dover reiterare una immagine pubblica negativa di se, pur di esser utile ad un progetto comune…
Quelli fra noi i cui comportamenti si sono trasformati al punto da esser diventati concretamente “risorsa” per una donna, appena ottengono il risultato sperato, tendono a chiudersi nel privato, a negare di esser stati parte di quel mondo.
In buona sostanza, più siamo in crisi e più vuol dire che stiamo crescendo.
E crescere per noi non vuol dire avere un numero sempre maggiore di persone che collabora o si propone di collaborare, ma vuol dire constatare che cambia la cultura, che noi cambiamo la cultura, che il maschilismo e l’egoismo maschile si trasformano non per effetto di un ragionamento, ma di esperienze e di testimonianze.
Gli incontri dei nostri amici del gruppo ristretto – cioè dei più forti e consapevoli – sono, proprio per questa ragione, sempre operativi e concreti.
Nella nostra piccola dimensione, ovviamente…, siamo impegnati a sostenere il percorso di alcune donne che non hanno diritti e del cui sfruttamento siamo stati complici.
Vorremmo alzare uno scudo di difesa ed evidenziare che le nostre responsabilità non ci hanno resi insensibili, ma lo abbassiamo perché è necessario chiarire che qualunque uomo può diventare responsabile del mancato rispetto di diritti e dignità delle donne, qualunque uomo può diventare violento, ecc. ecc. e che la lezione di quella università che è la strada, ci insegna che esser violenti è più facile di quel che si possa credere, soprattutto perché la violenza maschile non è caratterizzata solo dalle botte, ma è insita nella mentalità che attribuisce all’uomo una supremazia di genere.
Non è necessario essere fuori di testa, beceri maschilisti, fascisti, malati per esser maschi violenti…basta allentare alcuni …freni inibitori e ci si ritrova immediatamente dalla parte dei maschi violenti…basta pensare, considerare o anche solo egoisticamente accettare che il corpo di una donna possa essere l’oggetto passivo dei nostri voleri per pochi soldi e per pochi momenti, per cancellare anni di coscienza maschile acquisita a fatica ed affermata come nuova cultura.
Basta pensare che nella quotidianità siamo persone per bene e la notte diventiamo stupratori a pagamento, per capire che può esistere anche una doppia dimensione della nostra vita: i freni inibitori, quindi non la consapevolezza, ci rendono corretti nella nostra quotidianità emersa, e violentatori nella realtà nascosta che viviamo in relazione con non-persone quali sono le trafficate, le schiave, le clandestine.
Il problema è, quindi, che i freni si bruciano, la consapevolezza, la coscienza no.
Certo non siamo altrettanto esperti sul tema delle violenze domestiche, ma quel che siamo ci basta, è già un carico terribile…
Noi siamo depositari di una inevitabile sofferenza che il processo di coscienza maschile provoca in quei maschi che non crescono nella nuova dimensione di una vita basata su pari diritti, pari opportunità, pari dignità, ma in una diversa dimensione, nella quale anche gli atteggiamenti protettivi e paternalistici nei confronti delle donne, nascondono o possono nascondere un residuo di presunta superiorità maschile, sì che perfino il buonismo – cioè il contrario della violenza – diventa …violenza!
E’, in buona sostanza, ciò che rende impossibile fare quel che molti uomini dicono di voler fare nei confronti di una ragazza vittima della tratta: aiutarla.
La stessa logica che spiega l’inutilità della maggior parte delle nostre azioni di solidarietà nel terzo mondo.
Con la scusa di aiutare, in realtà sosteniamo noi stessi ed affermiamo una forma di superiorità: l’esser in posizione privilegiata e invece di accompagnare una libera crescita dell’altra persona (o, al limite di un popolo intero), spingerla a raggiungere quelli che si rivelano essere i nostri obiettivi, non i suoi.
Mi sto dilungando e lo faccio solo perché devo declinare l’invito che mi [ …fate… ndr] proprio nei giorni dell’incontro a Roma che oso definire “nostro” perché me ne sento parte, noi completiamo la nostra fase congressuale ed il nostro lavoro del 2007.
Non sono moltissime le persone che potrebbero degnamente rappresentarci in una occasione congressuale; i più si sentirebbero dei pesci fuor d’acqua e la maggior parte di noi è composta da maschi con problemi più o meno gravi di carattere affettivo, sentimentale, relazione, sessuale dei quali non discutono accademicamente e pubblicamente, ma a volte faticano a farlo perfino in dinamiche anonime di auto-mutuo aiuto…quindi quasi terapeutiche.
Siamo tutti dei volontari, abbiamo il carico di portar avanti non tanto un Progetto formale (non ci siamo mai dati una struttura vera e propria), ma la vita di circa duecento vittime della tratta che hanno cercato il sostegno di Isoke, la “nostra Isoke”, voce tenue eppur fortissima delle vittime, e che alla loro situazione di schiave aggiungono una molteplicità di problemi: fra questi la gestione di una relazione non sempre facile con un “bianco”.
Lorenza Maluccelli, come ricorderai, ha studiato la nostra esperienza e l’ha descritta in uno studio nel quale evidenzia che rappresentiamo una concreta sperimentazione di nuove forme di relazioni di coppia, partendo dalla multiculturalità e dalla differenza, partendo dalla contrapposizione vittima/cliente, partendo da una relazione/scontro nella quale la violenza è stata regola di un gioco di potere che – in fondo – è l’emblema della realtà diffusa nella quale i rapporti di genere sono spesso malati e violenti.
[Vogliate ndr] … considerare questa mia lettera come un saluto […] a tutti i partecipanti e se accetterete che questa lettera rappresenti –formalmente – la nostra partecipazione all’incontro, ne sarò, ne saremo lieti e grati.
A nome di Coscienza maschile, quindi, sottoscrivo i vostri documenti, partecipo da lontano ai lavori, attendo le decisioni e le indicazioni che produrrete e vi saluto con calore.
Claudio Magnabosco
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