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Mar 2008 “Gli uomini e l’ 8 Marzo” di S.Ciccone e C.Vedovati

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Mar 2008 “Gli uomini e l’ 8 Marzo”
di Stefano Ciccone e Claudio Vedovati
Già pubblicato su Liberazione

Care amiche e compagne di liberazione e del forum delle donne di rifondazione,

il manifesto del forum per l’otto marzo ci intimava come uomini: “per una volta sta’ zitto!”, come se non fosse possibile altra parola maschile oltre quella finalizzata a limitare l’autonomia e la libertà delle donne. Ma anche i silenzi maschili sono parte di una lunga storia di discriminazioni e di oppressione.
Noi abbiamo sperimentato quanto l’eccesso di parola maschile – di medici, teologi, politici, giuristi, scienziati, moralisti – sia un silenzio degli uomini su se stessi, il silenzio di uomini che si nascondono dietro il ruolo di esperti e dietro astratte teorie sulla “Vita” per non mettersi in gioco. Un’invasione che è al tempo stesso una sottrazione maschile alla propria responsabilità e parzialità, come dice Angela Azzaro nel suo editoriale, sulle responsabilità degli uomini, sulla condizione maschile, sulle loro fortune che durano da millenni.

C’è anche un’altra parola, ancora molto limitata, che è quella degli uomini che scelgono  di fare un lavoro su noi stessi contro un sistema di dominio tra i sessi. Con questo non cerchiamo né un riconoscimento né una pacificazione dei rapporti tra i sessi. Vorremmo però cercare insieme una pratica di conflitto che non si da valore riducendo l’interlocutore ad un’immagine rassicurante e semplificata di alterità.

Il vostro manifesto non propone un mondo di uomini senza parola: chiede agli uomini di stare zitti “per una volta” quasi che l’otto marzo fosse un giorno di “libera uscita” durante il quale per una volta gli uomini lasciano che le donne facciano sentire la loro voce. Noi abbiamo conosciuto la forza della politica delle donne e non crediamo abbia bisogno che gli altri  tacciano perché questa acquisti visibilità.

Dobbiamo confessare che anche in questo 8 marzo, come già negli anni passati, non ci siamo attenuti all’ingiunzione e abbiamo scelto di parlare; cercando di non pontificare sul mondo ma mettendoci in relazione con donne che hanno scelto una relazione basata sul reciproco riconoscimento di parzialità e la disponibilità a mettersi in discussione.

Molti uomini ritengono che nella pratica e nella politica delle donne non ci sia una minaccia ma uno spazio per la propria libertà da un destino segnato dai ruoli e gli stereotipi di genere. Tra il potere detenuto dagli uomini e la nostra libertà pensiamo sia possibile scegliere. In questa scelta la relazione con le donne e con la politica delle donne è per noi una risorsa.
La nostra presa di parola come uomini ha trovato nella scelta delle donne di darsi luoghi separati di parola ed elaborazione in relazione tra loro, una risorsa di pratiche saperi e parole.
Quella separazione ha rappresentato una risorsa per la nostra ricerca e la possibilità di uno sguardo diverso sul nostro mondo di uomini.

Abbiamo così scelto di tentare la costruzione di una politica che non miri a produrre norme e interdizioni che controllino i corpi delle donne, le loro scelte, ma che serva a conquistare una comune e differente libertà.

Diciamo questo in conflitto con quella parte del revanchismo maschile secondo cui il femminismo avrebbe castrato, più o meno simbolicamente, gli uomini.
Poi abbiamo letto l’articolo in prima pagina di Liberazione in cui Angela Azzaro dice, sicuramente con ironia: “facciamo la festa agli uomini!”

Non vogliamo certo esercitarci in un vittimismo fuori luogo: le donne di rifondazione non vogliono ridurci al silenzio, tanto meno farci la festa. Si tratta di un modo per dare il senso di una radicale conflittualità. Ma è proprio questo che ci dispiace: la scelta di un linguaggio che “esibisce” la radicalità, semplificando i soggetti in conflitto.
Ci piacerebbe produrre, insieme, in reciproca autonomia ma anche, interrogandoci e confliggendo, una politica di donne e uomini capace di produrre libertà per tutti e tutte, che non chieda a nessuno di restare in silenzio o di temere che la liberazione dell’altra rappresenti una minaccia.

Maschile Plurale11/03/2008

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