Giu 2011 “Tra donne e uomini a Milano un lavoro diverso sulla violenza”
di Alessio Miceli,
pubblicato in Via Dogana n° 97,giugno 2011
Milano città aperta, laboratorio politico? Sì, e non soltanto in cadenza di elezioni come quelle prossime, ma a un livello di tensione civile diffusa nella società. Parlo della violenza maschile sulle donne e della possibilità che su questo tema enorme si promuova un cambiamento dal basso.
L’esperienza inizia oltre un anno fa da un desiderio condiviso tra me e Marisa Guarneri, amica e donna di riferimento a Milano per il contrasto alla violenza sulle donne, e si apre con questa lettera: “Care donne (tante) e uomini (pochi) attivi contro la violenza maschile sulle donne, con questa lettera esprimo un forte desiderio nei vostri confronti (…) Siete donne e uomini consapevoli e vi spendete contro la violenza sulle donne con passione e cultura del vostro lavoro, all’interno delle associazioni, delle professioni, delle istituzioni (…).
Però manca un salto politico su questo tema. Nonostante i numeri delle violenze riconosciute siano quelli di una guerra civile ed il sommerso dieci volte tanto, ogni violenza su una donna rimane un fatto a sé: non diventa mai un problema dell’intera comunità e ancor meno, mai e poi mai, una responsabilità della nostra cultura maschile.
Per questo, il desiderio e l’invito che vi rivolgo è quello di incontrarci, con l’idea di costituire un gruppo aperto, una comunità di esperienze da restituire (…) Significa arrivare a tanti luoghi della città e della socialità, dove far circolare pensiero autorevole fondato sulle esperienze di chi davvero le fa, a beneficio di tutte/i: donne mai più violate, uomini mai più violenti. Significa infine orientare dal basso le istituzioni, ad uscire dalla cultura del sommerso, della rimozione e infine della legittimazione della normale violenza maschile contro le donne”.
Ecco l’inizio di una proposta politica che ha preso forma in questa città, a cui Marisa di getto ha dato il nome di Un tavolo vero.
Questa esperienza è nata, dunque, dal nostro desiderio e dalla reciproca fiducia di potere parlare e pensare insieme, tra alcune donne e uomini: a partire da sé e dai percorsi di accoglienza e di relazione tra donne alla Casa delle donne maltrattate di Milano, e dal lavoro su sé stessi e sulla maschilità dell’associazione nazionale Maschile Plurale. Ci siamo detti che già questa è una novità. Ovvero c’è stato un riconoscimento reciproco dei nostri percorsi di provenienza. Questi uomini conoscevano i percorsi di relazione tra donne per uscire dalla violenza subita da un uomo, questa metodologia dell’accoglienza nata dal femminismo per ricostruire l’identità, il senso di sé di una donna violata.. E queste donne riconoscevano, in alcuni uomini, i percorsi di ripensamento del maschile dominante e dei suoi nessi con la violenza sulle donne per decostruirlo, per fare la propria differenza in un nuovo ordine di relazioni nonviolente con gli altri uomini e con le donne.
E poi abbiamo aperto il nostro tavolo ad altre donne e uomini che avessero un’attività, un ruolo nell’ambito del contrasto alla violenza sulle donne (giudici, sindacalisti, sociologi, formatori, insegnanti…), ma che abbiamo invitato sempre per via di relazioni personali e non in rappresentanza di sigle come accade di solito nelle reti istituzionali contro la violenza. Anche questa misura delle relazioni nelle reti è forse una novità, se è vera la “interdipendenza competitiva nelle reti dei servizi” di cui parla la sociologa Sonia Stefanizzi nella ricerca Irer La violenza sulle donne, del 2009.
Così questo tavolo è diventato la scommessa di un nuovo intreccio di discorso tra donne e uomini: per questo è importante vedere, a partire dai nostri percorsi di provenienza, quale nuovo orientamento comune ci siamo dati; e poi su quali contenuti della violenza ci siamo parlati in profondità, abbiamo tessuto i nostri racconti; infine come abbiamo pensato di allargare questa esperienza in diversi contesti, per farne discorso politico.
Fermi restando i diversi percorsi separati di uomini e donne, e in particolare dei Centri antiviolenza, abbiamo parlato molto di altri percorsi da mettere in comune. Ovvero, se alcune donne si curano tra donne dalla violenza subita, e se alcuni uomini si accompagnano con uomini al di fuori del paradigma della violenza agita o simbolica, invece uomini e donne possono darsi una nuova fiducia per raccontarsi, per lavorare a togliere i semi della violenza dalla nostra cultura post-patriarcale delle relazioni.
Qui non sono in gioco soltanto dei casi di violenza esplosa e dei percorsi terapeutici, ma la stessa aria che respiriamo, l’immersione in una cultura violenta delle relazioni e la possibilità di prenderci cura di questa cultura, di una intera società. Come la possibilità, anche per chi ha subito violenza, di tornare a una immagine intera dell’umanità non necessariamente violenta.
E’ un percorso a ritroso, a rispecchiarci nelle situazioni di possibile violenza, quelle che possono degenerare o creare nuove risorse, e parlare delle relazioni sottostanti a queste situazioni. Abbiamo imparato, in questo modo, quanto conta la capacità di ascoltare e integrare il punto di vista dell’altro con il proprio per comprendere la complessità e le ambivalenze delle relazioni tra uomini e donne, anche per entrare nei tabù delle relazioni, nelle zone d’ombra. Sentire, capire e raccontare l’intreccio di cui siamo parte.
Ma con questa metodologia del discorso, che si faceva nel farsi senza che nessuno l’avesse prestabilita e che ogni tanto commentavamo, di cosa abbiamo parlato? Di quali contenuti? Anche qui, non c’era un ordine del giorno, si partiva in fiducia soltanto dalla traccia della violenza e delle relazioni tra uomini e donne, e da quell’input per un salto politico nella lettera d’invito che ho riportato all’inizio.
Così abbiamo iniziato a parlare del quadro della violenza maschile sulle donne, delle norme e delle istituzioni collegate, delle donne maltrattate e degli uomini maltrattanti.
Poco dopo, già al secondo incontro, siamo arrivati a parlare delle nostre esperienze e vissuti di nodi relazionali, a partire da sé: quindi un parlare di sé non strettamente autobiografico, ma per cogliere delle proprie dimensioni che potessero incrociare anche quelle di altri. E così abbiamo parlato di tutto quello che ciascuno normalmente tiene sotto chiave nella propria vita, come strettamente privato, e che invece oltre ad un versante intimo ha anche un grande significato politico: le separazioni, il conflitto spesso per il controllo nella relazione, l’inizio e la costruzione della relazione stessa, il riferimento alle esperienze passate e a volte originarie, i legami alla madre o al padre o ai figli e alle figlie, i bisogni e la dipendenza dall’altro/a, il nodo della dipendenza insieme all’autonomia, il riconoscimento dell’alterità, la responsabilità, il rispetto, eccetera…
E naturalmente non si può riportare qui la ricchezza di tutto quello che ci siamo detti, ma si può riportare la scoperta di quello che d’altra parte è già noto: che parlare delle “cose segrete” suscita davvero nuove risorse esistenziali. Sono sempre tornato a casa “con le mani piene” e un senso di gratitudine per queste donne e uomini compagni di strada.
Ora però rimane da dire come allargare questo discorso nella città e possibilmente in diverse città, a partire da dove viviamo. In questo senso, abbiamo parlato spesso di diversi contesti per queste discussioni tra donne e uomini.
L’idea è semplice e parte dalla presentazione pubblica del nostro discorso a Milano (il 23 maggio 2011, alla Camera del lavoro). La proposta è quella di attivare le proprie relazioni di fiducia tra uomini e donne e servirsi di una pratica come quella che mostriamo, in tutti i luoghi associativi e istituzionali che abbiano una minima sensibilità a questi temi, in tutti i luoghi di vita e di lavoro dove questo è possibile. Perché il discorso pubblico sulla violenza e le relazioni diventi una pratica politica, capace di suscitare nuove risorse sociali e culturali.
Come dice Johan Galtung nel contesto dei grandi conflitti internazionali, e a me sembra vero anche per la violenza maschile sulle donne, la violenza strutturale di una società va discussa a tutti i livelli della società stessa, per avere delle possibilità di trasformazione (Johan Galtung, La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici, Centro Studi Sereno Regis, Torino 2006). Poi probabilmente ci vuole una visione di quadro, una capacità di raccolta e di coordinamento di queste esperienze (non è poca cosa, ma nel sociale ci sono intelligenze e sensibilità capaci di questo).
Così, da questo percorso di partecipazione di donne e uomini potrebbe nascere un salto politico, che immagino sia nella coscienza collettiva che nel rapporto con il potere.
Penso allo svelamento delle profonde radici relazionali e culturali della violenza maschile sulle donne, superando quelle strategie di occultamento di cui parlano in profondità Patrizia Romito e altri (Patrizia Romito, Un silenzio assordante, Franco Angeli 2005).
E immagino, assieme a questa operazione di svelamento, la promozione di una nuova civiltà delle relazioni tra uomini e donne.
E infine penso a questa modalità di confronto con il potere: che dall’assumere su di noi, donne e uomini interessati, la questione della violenza sulle donne, possa venire una nostra richiesta autorevole di scelte politiche e istituzionali conseguenti. Fuori dalle derive securitarie o di solo inasprimento delle pene o di tutela paternalistica delle donne, come succede nel nostro sistema attuale, che non sfiorano nemmeno la realtà delle cose. E invece c’è una realtà, c’è un mondo da riprenderci, a partire dalla città in cui viviamo.
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