The Great Wall of Vagina‘ opera di Jamie McCartney
Gen 2011 “Rivoltoso Rolling Stone”
di Massimo M. Greco‘
23 gennaio 2011
Inizio riassumendo il percorso che mi ha portato a interrogarmi sull’immagine di pubi femminili, sulla foto di Piazza Loreto, sul senso del momento che stiamo vivendo, sull’attualità profetica della voce di Pasolini: pochi giorni fa inoltro alla mailing list di Maschile Plurale un appello della Casa delle Donne di Trieste contro l’ultima campagna pubblicitaria di Oliviero Toscani, un calendario commissionato dal Consorzio toscano “Pelle conciata al vegetale” che utilizza fotografie di pubi femminili.
Il calendario, distribuito in allegato dalla rivista “Rolling Stone”, è stato presentato ad un evento intitolato “La Forza della Femmina”, con la partecipazione di Oliviero Toscani, Vittorio Sgarbi, Marina Ripa di Meana, Carlo Antonelli (direttore di “Rolling Stone”) e altri uomini del mondo della moda e dell’imprenditoria. Si apre uno scambio tra me e altri della rete maschile: se e come reagire di fronte a questa iniziativa ed esprimere la nostra posizione critica di uomini contrari all’uso sessista e svilente dell’immagine della donna e dei corpi nella pubblicità? Si discute allora se intraprendere un’azione di Advertising busting, ossia di contro-pubblicità, creando un’immagine parodistica della pubblicità presa di mira, ad esempio utilizzando fotografie in prima persona delle nostre parti intime maschili. Più va avanti il confronto in mailing list, più sono perplesso. Intanto in un blog viene descritto l’evento di presentazione. Pare che alcune donne dell’Associazione Frida contro la violenza alle donne abbiano tentato di leggere un comunicato ma siano state aggredite verbalmente e testualmente da Sgarbi, tanto che hanno dovuto abbandonare il campo. Ora è domenica mattina. Compro “Rolling Stone”, a cui è effettivamente allegato il calendario.
Il calendario
Il formato è da tavolo ed è di ottima fattura. I mesi e i giorni della settimana sono scritti piccoli ed in inglese, forse si immagina un pubblico internazionale. La foto del mese occupa gran parte dello spazio, sobriamente incorniciata da una righetta dorata. Il logo del Consorzio (l’impronta di una mano) appare in uno spazio bianco alla destra dell’immagine. Da nessuna parte è presente una spiegazione sul linguaggio pubblicitario e sulle immagini scelte. L’unico testo dal titolo “La concia al vegetale: moderna tradizione toscana” descrive in meno di dieci righe come “nella Toscana del Rinascimento, tra le colline e i vigneti, la cultura e la tradizione, gli artisti e gli artigiani, c’è un luogo dove si mantiene viva un’arte antica e nobile: la concia al vegetale”. Vi è anche la versione inglese, che deve costituire un richiamo irresistibile per gli stranieri amanti del Chiantishire, con le sue “sweet hills and vineyards of Tuscany”. I pubi femminili, scelti immagino con un accurato casting, appartengono a giovani modelle e sono quasi tutti molto naturali, senza troppi ritocchi e depilature preoccupate dal bikini. Posiziono il calendario davanti a me, scegliendo “January” perché mi ricorda una ragazza con cui ero in intimità da giovane.
Comunque ormai è fatta. “Rolling Stone” ha una tiratura credo di più di 100.000 copie, 150 pagine di cui un quinto di pubblicità, lettori e lettrici di cui non conosco la distribuzione per genere e per età ma che immagino giovani adulti, ma non è detto. Per alcuni lettori e alcune lettrici abituali sarà stata una sorpresa. Altre e altri come me l’avranno comprato spinti dalla curiosità. Chissà se si saprà mai se e su quali scrivanie il calendario da tavolo verrà esposto e con quali conseguenze, magari imprevedibilmente rivoluzionarie. Bisognerà seguirne gli sviluppi. Penso di sfuggita a quanto riportato nelle cronache dei blog sull’evento di presentazione, con Sgarbi livoroso e astioso che dice che a Toscani “gli piacciono le fighe giovani”. Sono anch’io già senile come quei due? Berlusconi ha 74 anni, Toscani 68, Sgarbi 58, io 47. Forse c’è tempo per la sindrome del satiro … Le mie fantasie di Advertising busting, che erano arrivate a ipotizzare l’utilizzo di immagini di mutilazioni genitali femminili e come headline la frase “Vera pelle conciata in maniera tradizionale”, stanno scemando. Nella quiete solitaria della mia domenica, dal calendario il pube irradia una nostalgia struggente che non voglio rovinare. Peccato per quel logo con l’impronta della mano e la dicitura “Pelle conciata”, che mi ricorda alcune campagne contro la violenza sulle donne: ci appicco sopra malamente un pezzo di carta bianca per nasconderlo. Ecco, ora funziona meglio. Ogni tanto smetto di leggere e di scrivere e guardo il pube biondo e mi sembra che mi guardi.
La rivista
In copertina una foto in bianco e nero d’epoca di Robert Plant dei Led Zeppelin: il suo ampio decolleté appena villoso e il suo capezzolo sono fantastici e l’energia del suo volto tirato su un acuto è assordante. Sotto il titolo principale è scritto “Era il 1971. 40 anni dopo la rivolta sta tornando”. Sfoglio le prime pagine pubblicitarie e arrivo all’editoriale dove la foto di Piazzale Loreto mi colpisce allo stomaco: non la strage di partigiani e antifascisti del 1944, ma Mussolini, Claretta Petacci e altri appesi per le gambe l’anno successivo. E’ un’immagine a cui penso spesso, con la desolazione e lo sconforto con cui si guarda una violenza inutile. Il fatto di ritrovarlo a sostegno di un editoriale mi fa temere che non sia cambiato niente nella mentalità degli italiani. Non dovrebbe finire di nuovo così. Leggo l’editoriale. Un accenno di sfuggita al calendario che “va dritto all’essenziale,no?”, scrive Carlo Antonelli. Poi mi devo concentrare per seguire il discorso che vuole essere composto di “propositi limpidi, affermazioni secche” tipo “combattere l’affossamento di ogni desiderio di cambiamento provocato da 30 anni di sadica dittatura degli anziani sul resto del Paese” nei confronti di almeno tre generazioni, tra cui gli attuali 40enni (per un pelo sono salvo! Non sono tra gli anziani da abbattere! Ma Toscani e Sgarbi?). Lo stile è aggressivo ed esplicito: “Che dire dei martellanti godimenti ricavati da corpi giovanili a pagamento appartenenti almeno a tre sessi e a un paio di continenti (Africa e Sud America) che solo loro considerano ormai esotici e degni di colonizzazione erotica? E dei quali il presidente del consiglio, On. Silvio Berlusconi, è rappresentante supremo, brutale e fintamente giocherellone?”. Si continua citando le ricerche del Censis, la diagnosi per l’Italia di “egoismo autoreferenziale e narcisistico”, il crollo “della figura del padre, colui che regola e dosa la prorompenza dei desideri” . A questo punto “Padri e nonni devono una volta per tutte andare a casa, godersi la cazzo di pensione, imparare a morire piano piano di noia, togliersi dai coglioni. E visto che non vogliono, lo si farà comunque se occorre. Persino con l’internamento forzato, se è necessario. Utilizzando quel principio di eccezione che si apre nei sistemi legali più civili nei confronti di dittatori che affamano la maggior parte del popolo. Eliminare il despota è giusto in alcune occasioni” e la foto ne dà un esempio storico. Dunque “E’ tempo di rivolta. E’ l’ora. E’ tempo di abbattere le barriere che questi vegliardi cattivissimi ci hanno piazzato intorno senza pensare che un giorno avremmo trovato la forza di mandarli a casa, a calci in culo. Quel giorno sta arrivando”.
Sono solo all’editoriale e sono già senza fiato. Sono anche disorientato, giacché nel 2009 la rivista aveva messo in copertina come “Rockstar dell’anno” proprio Silvio Berlusconi. L’immagine scelta era stata realizzata da Shepard Farey, quello che ha disegnato la campagna elettorale di Obama, e ritraeva un Berlusconi con un ghigno mentre strappa una bandierina dell’Italia. Per l’occasione, Farey aveva detto “A volte nel mio lavoro cerco di mettere in dubbio personaggi autorevoli, specialmente quando questi sembrano avere ragioni ambigue alla base delle loro azioni. Tutto quello che ho sentito e letto su Berlusconi mi porta a credere che lui si adatti a questa descrizione”, mentre Antonelli aveva dichiarato che il titolo di Rockstar dell’anno era stato attribuito “per evidenti meriti dovuti a uno stile di vita per il quale la definizione di rock&roll va persino stretta”, giacché “i Rod Stewart, i Brian Jones, i Keith Richards dei tempi d’oro sono pivellini in confronto. La ‘Neverland’ di Michael Jackson è una mansardina in confronto a Villa Certosa”. Tornando al calendario poi, mi sembra una forma di alienazione sostenere la necessità di una rivoluzione e poi distribuire un calendario, , promosso da un vecchio critico d’arte e politico, con la partecipazione di una quasi 70enne signora del bel mondo, progettato da un vecchio pubblicitario che utilizza a scopi commerciali fotografie di ragazze giovani, pagate per mostrare i loro pubi. Vorrei fermarmi a riposare un attimo, accoccolandomi come bisognerebbe fare la domenica mattina su un pube pacifico e accogliente.
Giro la pagina e trovo la lista degli ospiti di rilievo della rivista tra i quali riconosco: Ozzy Osborne (“lo zio dei metallari”, 62 anni), che darà consigli nella sua rubrica di posta anche su come interagire se scoprite che vostro figlio visita siti pornografici; Maurizio Cattelan (50 anni), l’artista dei manichini impiccati, che intervista lo scrittore Michel Houellebecq (52 anni), quello del libro, poi bellissimo film “Le particelle elementari”; Christian Raimo, che ha scritto sul Domenicale de “Il Sole 24 ore” la recensione al libro di Stefano Ciccone “Essere Maschi”; Umberto Galimberti, che pur avendo 68 anni è “miracolosamente non trombone”. Nel sommario poche pagine più avanti, riconosco Julian Assange, quello di Wikileaks, sottotitolato come “rockstar dell’anno” e come “l’ultimo cowboy del Cyberspazio”; la posta del cuore di Aldo Busi (62 anni); Paul Giamatti, l’attore del recente film “La versione di Barney”; Bill Gates (55 anni); Eminem appena disintossicato; un articolo su una delle serie TV americane più interessanti sul mondo pubblicitario newyorchese degli anni ’60, “Mad Men”; Roberta Bruzzone, la very fashion criminologa da me incontrata in svariati corsi e congressi sulla violenza contro le donne, che qui si presta a fare da modella a dei capi di abbigliamento, ma che durante l’intervista dirà cose tipo “nel nostro Paese si muore più di famiglia che di mafia”; la recensione del “Libro Rosso” di Carl Gustav Jung, recentemente pubblicato dopo decenni di mistero, nel quale Jung ha anche indicato una modo per prendersi cura di sé attraverso la costruzione di un libro di immagini da rintracciare nella propria interiorità e da custodire come una chiesa “il luogo dello spirito dove ritrovare se stessi”; una rubrica di Serena Dandini (56 anni), che si limita ad accennare alle virtù psicoterapeutiche del giardinaggio. Ovviamente ci sono articoli sulla musica, che a me interessano pochissimo.
C’è veramente di tutto e di qualsiasi tipo. Leggo che il cantante dei Marlene Kuntz invita alla ponderatezza citando Aristotele e poco dopo noto un trafiletto sulle poesie di Emily Dickinson, da leggere se ci si “sente soli davanti alla morte”. Nella rubrica “National Affair” un articolo dal titolo “Ieri la pantera, oggi cani arrabbiati”, in cui Marco, che aveva partecipato alla contestazione della Pantera, dice che nell’attuale movimento sente mancare la “formazione umanistica”. Su Julian Assange non si dice niente di nuovo, però mi si chiariscono alcune assonanze estetiche nel suo look a cui non riuscivo a dare un nome, un po’ Kraftwerk un po’ David Bowie di Heroes, ma anche qualcosa dell’albino comandante Straker della amatissima serie TV di fantascienza “U.F.O.”. L’articolo successivo invece su un collaboratore di Assange, Jacob Appelbaum, è molto ricco ed interessante. Sobbalzo di nuovo nel trovare il termine “queer” quando leggo: “Appelbaum è da sempre un outsider. Da ragazzo faceva colletta nei centri commerciali; travestito, con i capelli viola, scatenava risse con i fondamentalisti cristiani e rimorchiava altri ragazzi all’uscita di scuola (si definisce queer, anche se dice si avere donne in tutti i Paesi che visita)”.
Figli abbandonati vittime di padri cattivissimi
Finalmente arrivo al nucleo rivoltoso antigeriatrico della rivista, che a questo punto è ciò che mi interessa. La sezione si chiama “Linea Maginot”, ospita diversi interventi e inizia con un montaggio fotografico: bunker in bianco e nero da cui spuntano le canne dei fucili e foto di manifestazione con al centro una ragazza con il volto dipinto e la felpa con il logo della birra Carlsberg. Il sottotitolo: “E’ tempo di alzare una barriera generazionale contro la sanguinaria dittatura dei vecchi nei confronti di intere classi giovanili ridotte allo stremo. Non è più il momento per trattative o gentilezze. Il futuro va riconquistato con ogni mezzo possibile, abbattendo il nemico gerontocratico, che tutto opprime e ammoscia”. Si vuole far saltare quel “dannato tappo rappresentato dai 50/60enni attaccati con le unghie ai loro privilegi economici e agli spazi di potere”. All’interno dello speciale, che proseguirà con altre puntate, sono messe accanto opinioni e voci contrastanti. Christian Raimo ad esempio dice che non si tratta di “rivendicare il futuro” per rendere dinamica questa gioventù ma di “rivendicare piuttosto il passato, farsi carico della storia che ci ha portato fin qui e restituirle senso”. Un altro articolo parla di “Sesso e superuomini. Feticismo di stato” al centro di una scena che è come una “sorta di rito sacrificale” che ha sull’altare della vittima la gioventù, che però “conserva la spinta vitale per tagliare la testa al drago, ai padri troppo oppressivi ma anche ai Papi divoratori”. Poi c’è spazio per un testo, corredato da foto di giovani uomini e donne sbracati su divani e letti, moralmente resi privi di nerbo dalla mancanza di prospettive. Il discorso su di loro si articolerà da vari punti di vista. Quello sociologico della “modificazione della tabella di marcia verso l’età adulta”. Quello neurobiologico , con le tesi sullo sviluppo continuo del sistema nervoso, nell’interazione plastica e dinamica tra esperienze, sistema cognitivo (corteccia cerebrale) e sistema limbico (emozioni). Quello biografico, con alcuni cenni di vita vissuta.
L’articolo di Umberto Galimberti sul nichilismo giovanile lo salto e invece mi soffermo su quello dedicato ad un giovane modello francese morto suicida a Milano in giugno, Tom Nicon. Lo spazio dato a questa storia non è una cosa banale, visto che, come scrive l’autore Tommaso Toma, “Non è facile parlare con chi lavora nella moda di questo argomento (…). In un contesto dove l’esaltazione della bellezza è di rigore, pare comprensibile sfuggire di fronte a discorsi sulla morte”. Mi fermo finalmente all’ultimo pagina, per leggere la rubrica di Filippo Timi, l’attore che ha impersonato Mussolini da giovane nel film “Vincere” di Bellocchio, che mi riporta alla memoria le emozioni di vergogna e attrazione che anch’io provavo per le performance visivo-canore di Ivan Cattaneo.
La voce di Pasolini
Sono quattro ore che leggo Rolling Stone e che prendo appunti, sotto lo sguardo sereno di un pube femminile biondo in fotografia. Sono frastornato da quello che mi sembra un viaggio caotico e ambiguo. Mi sembra di essere intronato come dopo un concerto rock in cui hanno tentato di compensare l’acustica pessima con il volume altissimo del suono. Eppure ho ritrovato in forma leggibile e visibile i miei pensieri più recenti e le cose di cui mi interesso, insieme ad altre voci che mi lasciano perplesso. Ho il sospetto che vista la percentuale di risonanze, io faccia parte del target della rivista e ne sono sconcertato. Comunque, anche se alcuni articoli sono condivisibili, la tenuta dell’insieme mi sembra instabile, per quanto è priva di coerenza. Temo che il direttore Carlo Antonelli abbia dato sfogo alla sua voglia di strillare un suo generico “abbasso la dittatura”, “viva il rinnovamento”, senza interrogarsi troppo sul suo stesso linguaggio e sulle scelte editoriali. Prova dell’atteggiamento irriflessivo e velleitario è proprio l’allegato calendario dove di nuovo la freschezza della gioventù è fatta oggetto di mercimonio. L’impressione però è che la rivista parli un linguaggio che rimanda a culture e saperi complessi. Non è possibile che lettori e lettrici di tali esplorazioni culturali siano sprovveduti, ci vuole preparazione per comprendere alcuni articoli. Insomma, non la definirei una rivista superficiale culturalmente. Come dire che non è la somma delle parti pregevoli che rende il tutto della rivista accettabile. E’ l’insieme composito che mi disturba. E mi fa sorridere come al di qua della “barriera generazionale” oltre la quale ci sono i “vegliardi assassini”, ci siano comunque degli ultracinquantenni ascoltati e riveriti. E che la critica feroce all’immobilismo senile nei posti di potere non sia articolata, come mi sarei aspettato da una rivista che si occupa di musica, anche nei sistemi di produzione musicale e dello spettacolo, di cui non so nulla ma che, a questo punto, dovrei pensare siano assolutamente esenti dalle dinamiche gerontocratiche che riguardano il resto della società. Si sa, l’arte… la musica … sono oasi felici in cui si rimane un po’ bambini… Il discorso che porta avanti Carlo Antonelli ha uno slancio incredibile, mette insieme molte energie, ma niente di più. Il bisogno che io sento presente per fronteggiare questo momento di cambiamento e di crisi è un altro. Non può essere l’età il problema e ho paura del fatto che certi confronti siano ridotti a un conflitto generazionale, tracciando una linea netta tra chi ha più di 50 anni e chi ne ha meno, come se non ci fossero complicità e virtù un po’ dappertutto. Anche l’età è una categoria, in base alla quale non si può stabilire chi va bene e chi no.
Allora ripenso alle parole di Pasolini che avevo ascoltato nel film “La Rabbia” e me le faccio, per il momento, bastare per trovare un senso per la pubblicità sessista, per il calendario di Toscani, per l’esposizione del cadavere di Mussolini, per i testi rivoltosi di Rolling Stone, per le manifestazioni di contestazione di questi ultimi tempi.
Voi, figli dei figli gridate con disprezzo,con rabbia, con odio, evviva la libertà.
Perciò non gridate evviva la libertà.
Se non si grida viva la libertà umilmente
non si grida evviva la libertà.
Se non si grida evviva la libertà ridendo
non si grida evviva la libertà.
Se non si grida viva la libertà con amore
non si grida evviva la libertà.
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