Feb 2012 “Custodia cautelare obbligatoria per i sospetti di stupro di gruppo.
Due posizioni diverse sulla sentenza della Cassazione”
Cecilia d’Elia e Chiara Saraceno
La recente sentenza della Cassazione sull’obligatorietà della custodia in carcere per quanti siano gravemente sospettati di aver compiuto uno stupro di gruppo e la reazione di rigetto che questa sentenza ha suscitato sono oggetto di una discussione, anche fra di noi. Riportiamo, assieme ai link ad altri interventi, due fra i contributi più interessanti: quello di Chiara Saraceno pubblicato su La Repubblica, molto critico nei confronti della sentenza e quello di Cecilia D’Elia dal Blog Italia 2013 che attribusce a cattiva informazione la reazione negativa di tante donne (e non solo) di fronte alla sentenza.
Feb 2012 “Stupro di gruppo, salta il carcere”
di Chiara Saraceno
pubblicato il 3/2/2012 da La Repubblica “
Lo stupro di gruppo è un atto particolarmente odioso, che moltiplica la violenza subita dalla donna che ne è vittima. La moltiplica materialmente, aggravando il danno fisico, psicologico, emotivo che infligge. Lo stupro viola l´intimità della donna, il suo senso di integrità e di controllo su di sé. Quando è più di uno a compierlo l´esperienza di perdita di sé diventa estrema.
Lo stupro di gruppo esplicita anche, enfatizzandola, l´oggettivazione della vittima e del suo corpo, reso puro oggetto delle pulsioni dello stupratore e insieme trofeo di gruppo, documentazione reciproca del proprio potere di maschi, strumento di consolidamento del rapporto di gruppo. Infine, è un atto ancora più vigliacco dello stupro individuale, dato che i singoli usano la forza del gruppo per sopraffare la loro vittima.
È difficile comprendere come la Corte di Cassazione abbia potuto equiparare lo stupro di gruppo allo stupro individuale, con l´argomento che il primo «presenta caratteristiche essenziali non difformi» dal secondo.
Come se si trattasse di tanti atti individuali senza collegamento tra loro, ignorando proprio il contenuto di gruppo dell´atto e le sue conseguenze per la vittima. Eppure, per altri reati, l´essersi organizzati con altri per compierli è un´aggravante che in qualche modo cambia il tipo di reato. Se il farlo in gruppo è un´aggravante quando si distruggono cose e si aggrediscono (non sessualmente) persone, o si partecipa a forme di protesta non autorizzate, perché se si stupra una donna invece diviene irrilevante?
Perché uno stupro è solo uno stupro, a prescindere che a compierlo sia uno solo, due o, perché no, cinquanta, dato che l´atto materiale è compiuto sempre da uno per volta? Si può discutere di carcerazione preventiva e di forme di custodia cautelare alternative. Ma in questione qui è l’equiparazione di due reati, gravissimi entrambi ma non identici né nelle motivazioni né nelle conseguenze, dal punto di vista della vittima, ma anche di chi li compie.
La pronuncia della Corte riguarda solo le misure di custodia cautelari. Ma non è difficile ipotizzare che gli avvocati difensori degli stupratori la utilizzeranno in sede di giudizio, per alleggerire la posizione dei loro clienti.
Non è la prima volta, purtroppo, che la terza sezione della Corte di Cassazione sottovaluta la violenza sulle donne. Rimane indimenticabile la sentenza del 1999 che dichiarò l´insussistenza dello stupro, perché incompatibile con il fatto che la vittima indossava i jeans. Anche se successivamente, in un altro caso, la stessa Corte corresse il tiro, probabilmente resa più avvertita dalle proteste seguite a quella ridicola sentenza.
Il fatto che ripetutamente incorra in questo tipo di infortuni valutativi induce al sospetto che molti giudici della Corte non considerino poi così grave lo stupro, individuale o di gruppo che sia, e siano disposti a concedere molte attenuanti agli stupratori.
Feb 2012 “I giudici e la verità sulla violenza“
di Cecilia D’Elia
pubblicato il 4/2/2012 sul Blog Italia 2013
La verità è che viviamo in un paese in cui è in atto una vera e propria guerra contro i corpi e la vita della donne. Nel 2011 sono state 97 le donne uccise dai partner, mariti, compagni, congiunti e nei primi 15 giorni del 2012 eravamo già arrivate a contarne 12. La verità è che il discorso pubblico sembra indifferente a quella che si mostra come una vera e propria emergenza, anche se il termine non mi piace e rischia di offuscare le radici antiche e il carattere quotidiano della violenza contro le donne.
La verità è che servirebbero, soprattutto da parte maschile, gesti e parole di responsabilità e di cambiamento. La violenza contro le donne e’ un reato sempre maschile frutto di una sessualità predatoria e di una cultura della sopraffazione che non sa fare i conti con i sentimenti e con il rispetto dell’ altro. La verità è che in questo paese la rappresentazione delle donne urla vendetta, la mercificazione del nostro corpo è pane quotidiano. E questo c’entra con la continua violazione dell’inviolabilità del nostro corpo.
La verità è che in questo paese ci sono voluti anni e anni per riconoscere che la violenza è un reato contro la persona e non contro la morale e per cambiare la cultura patriarcale e complice dei tribunali, dei pronto soccorso e dei commissariati. La verità è che ogni tanto le sentenze della cassazione ci hanno fatto veramente arrabbiare, come quando nel 1999 dichiarò insussistente lo stupro per via del fatto che la vittima indossava i jeans. La verità è che la violenza contro le donne si consuma soprattutto tra le mura domestiche e resta in gran parte sommersa. Per sconfiggerla alla radice abbiamo bisogno di una grande rivoluzione culturale che coinvolga indistintamente tutti, donne e uomini, istituzioni, media, mondo della scuola.
Tutto questo c’entra con il modo in cui si è parlato della sentenza della corte di Cassazione. Troppa confusione, troppi fraintendimenti e troppa cattiva informazione hanno scatenato la comprensibile reazione di tante donne. Ho letto di carcere negato agli stupratori, di possibili pene alternative, ma la pena si commina a chi è stato giudicato e la sentenza parla invece di custodia e di misure cautelari, misure che interessano gli indagati, per cui dovrebbe valere sempre la presunzione d’innocenza.
Proviamo a capirci qualcosa: nel 2009 il governo Berlusconi, in seguito al clamore provocato dal rilascio in attesa del giudizio di alcuni imputati di stupro inserì l’obbligatorietà della carcerazione in caso di misure cautelari. Ed è di questo che si è occupata la Cassazione, è intervenuta in tema di applicazione di misure cautelari durante il procedimento e prima della condanna, tenendo conto della sentenza della Corte Costituzionale n.265/2010 che ha dichiarato incostituzionali quelle disposizioni introdotte dal governo Berlusconi. Anche allora si disse che i giudici avevano fatto una legge a favore degli stupratori. Ma in realtà la Corte costituzionale si limitava a rimettere il reato di stupro sullo stesso livello degli altri reati, restituendo ai magistrati la libertà di scelta e di valutazione su ogni singolo caso. La Corte aveva adottato quella sentenza in riferimento al caso di un singolo individuo accusato di stupro, la Cassazione è intervenuta invece in un caso in cui si parla di stupro di gruppo. L’oggetto però non è il tipo di reato, ma le misure cautelari. In sostanza vengono messe in discussioni disposizioni che ad alcune sono sempre sembrate demagogiche e strumentali, oltre che illiberali.
Come ancora ieri mi ha ripetuto Maria Teresa Manente, un’amica avvocata che collabora con i centri antiviolenza la violenza sessuale non è una questione di allarme sociale o sicurezza da affrontare con leggi speciali che violano lo stato di diritto. Considerare la violenza sessuale un reato diverso dagli altri reati gravi contro la persona significa avvalorare la legittimità di un diritto penale speciale, tipico dei regimi autoritari. Alle donne vittime di violenza sessuale o di qualsiasi altra violenza maschile interessa un immediato ed efficace intervento giudiziario sin dal momento della querela, l’applicazione di una misura cautelare adeguata al caso concreto, un processo che accerti la responsabilità e commini la giusta pena in tempi brevi.
Altri interventi in rete:
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