FAUSTO E ASIA (*)
di Mario Simoncini
Doppio colpo per la credibilità del movimento Metoo, nato sull’onda della denuncia fatta qualche mese fa da Asia Argento, che accusava il potente produttore della Miramax, Harvey Weinstein, di averla violentata alcuni anni fa?
Prima la richiesta di archiviazione per Fausto Brizzi, accusato da alcune ragazze di averle invitate nel suo appartamento con la scusa di un provino e poi fatte spogliare e sottoposte a tentativi di violenza sessuale, ora il caso di Asia Argento, che avrebbe aggredito e violentato il giovane attore Jeremy Bennett dopo averlo fatto ubriacare, e poi tacitato con la corresponsione di 380.000 dollari. Quel Bennett che, allora bambino di otto anni, aveva partecipato a un film diretto dalla stessa Argento nel ruolo di suo figlio, e che dunque si ipotizza l’avesse vissuta e ancora la vivesse come una figura materna.
Già al suo apparire il movimento era stato investito di critiche pesanti:
– siete un movimento elitario, di donne ricche, affermate, attrici famose o star della tv, che magari avete fatto carriera passando, senza alcuna costrizione, da letti “importanti”;
– da che mondo è mondo così vanno le cose nel vostro ambiente, cosa denunciate a fare?
– e Asia Argento, la vostra paladina, una che passa da un letto all’altro!
– ben altra la situazione di donne che fanno lavori più umili, impiegate, operaie, commesse, loro sì che vivono spesso situazioni di ricatto sessuale… ma voi????
Sul caso di Brizzi va precisato che deve ancora pronunciarsi al riguardo il GIP che, come sappiamo, può accogliere l’istanza del PM oppure disporre un supplemento d’indagine, mentre è notizia fresca la smentita di Asia Argento, che ha negato decisamente il fatto addebitatole, laddove il New York Times, che per primo aveva pubblicato la notizia, ribadisce la fondatezza dei fatti riportati nel suo articolo, cui si aggiunge la pubblicazione, da parte del sito TMZ, di suoi presunti sms che li confermerebbero.
Ora, è principio sacrosanto quello di accogliere col beneficio del dubbio ogni accusa, da qualunque parte venga. I fatti che hanno coinvolto Brizzi sono del tutto infondati o effettivamente le ragazze hanno equivocato gli atteggiamenti del regista, o ancora, ci sono stati rapporti in cambio di promesse, ma consenzienti? E nel caso di Asia Argento, che fin dall’inizio aveva assunto margini di ambiguità (una denuncia fatta vent’anni dopo l’accaduto, e qualche tempo dopo una sua foto sorridente al fianco dello stesso Weinstein), che peso dare oggi alle sue parole di smentita e che peso dare invece all’autorevolezza del NYT (il NYT, mica Libero o Il Fatto Quotidiano)?
Che peso dare poi, e non mi pare fatto secondario, alla vita sessualmente libera e fuori dai canoni della morale comune dell’attrice, marchiata quasi come una specie di prostituta, i cui comportamenti, se attuati da un uomo, sarebbero invece oggetto di ammirazione e di tentativi di emulazione?
E tuttavia degna, Asia Argento, di un ritratto quasi iperrealista: una donna tragica e infelice, divoratrice di sé stessa, una donna che attrae e uccide simbolicamente come una mantide, una donna da cui tutti, in un modo o nell’altro, fuggono. E così oggi, in tutta evidenza.
Credo però che farsi prigionieri della notizia del giorno, accanirsi sui singoli episodi, tentare di sviscerarli col compiacimento di chi si nutre di fatti di cronaca come un avvoltoio che si precipita ad abbrancare la sua preda, o peggio ancora affastellare giudizi col linguaggio semplificatore dei social, che riduce la complessità del reale al gioco sterile e spesso crudele di alzare o abbassare il pollice, una sorta di metafora dell’arena gladiatoria contratta e rimpicciolita nella dimensione rassicurante delle pareti domestiche, sia del tutto fuorviante, come fuorvianti, nello stesso tempo, mi sono sembrate fin dall’inizio le critiche al movimento che ho provato più sopra a sintetizzare: con tutti i suoi limiti e ambiguità, ha finalmente provato a squarciare un velo immaginario, a entrare nella carne viva di un problema che, pur abbondantemente noto fin dalla notte dei tempi, era sempre stato liquidato come una necessaria, “naturale” corvée, o nel migliore dei casi come una più prosaica variante dell’eterno gioco della seduzione. Ha provato a fare parola sulla terribile asimmetria dei rapporti tra uomo e donna, laddove il patriarcato, che peraltro oggi vive una crisi forse irreversibile, ha esercitato il suo potere sul corpo delle donne, per assoggettarle, esibirle, ricattarle. (**)
Ma per tornare al tema, Natalia Aspesi – che rischia di avere centrato il nocciolo della questione quando accenna alle tempeste ormonali di un diciassettenne forse in preda a fantasie di incesto, che si siano realizzate o meno – ha scritto che il metoo è morto: forse è così, forse i colpi assestati alla sua credibilità sono stati letali, o forse no, ma il cuore del problema, quello delle relazioni fra i sessi, giocato in chiave di potere, quello rimane. E allora poco importa che la pubblica denuncia, la pubblica presa di parola, parta dall’attrice famosa o dalla commessa del supermercato sotto casa: se la prima ha risorse più consistenti e una rete di relazioni che possono proteggerla (ma fino a che punto?) e la seconda vive il ricatto nella solitudine e nel deserto di reti sociali, le accomuna comunque un vissuto storico, legato a un modello che, per dirla con Luce Irigaray, partecipa di valori della società e della cultura patriarcale, inscritti nell’ordine esclusivo del discorso maschile, dove “donne, segni, merci, rimandano sempre per la loro produzione e il loro scambio all’uomo” (***)
(*) Titolo ispirato al romanzo Fausto e Anna di Carlo Cassola
(**) Non va però sottovalutato il tema, pur largamente minoritario, del rapporto di potere laddove siano le donne a esibire comportamenti predatori e ricattatori che sono tradizionalmente prerogativa degli uomini, in una dimensione che in definitiva, al di là delle apparenze, le fa complici e vittime del dominio simbolico maschile.
(***) Luce Irigaray, Questo sesso che non è un sesso, Feltrinelli, Milano, 1978, p.142 (corsivo mio)