Verso il Roma Euro Pride 2011 varianti di genere
del gruppo romano “ORGOGLIOSAMENTE”,
pubblicato il 25 Dic 2010 su http://orgogliosamentelgbtiq.blogspot.com/
Questo documento nasce da un percorso assembleare, costituitosi a ridosso del Pride romano del 2010, esploso con l’appello “Noi non ci saremo”.
Come gruppo romano “Orgogliosamente LGBTIQ” abbiamo iniziato a costruire il percorso politico verso l’EuroPride, su una tematica che per noi riveste un importante ruolo sociale e politico, cioè la depatologizzazione del transessualismo. Sul questo ci siamo già confrontati con altre realtà a livello nazionale: questo documento vuole essere un contributo per una riflessione più ampia e partecipata, da tenersi in una due giorni nel mese di Gennaio, aperta a tutte le realtà\singoli\gruppi che vogliono fare dell’EuroPride un reale momento di confronto e di crescita collettiva.
Da sempre, l’essere umano ha cercato di classificare qualsiasi forma di vita e non, al fine di rendere riconsocibile l’inconoscibile. La paura rivolta verso il “diverso” si manifesta in tutti gli aspetti della nostra vita, conducendo noi stessi a rappresentarci e a rappresentare tutto ciò che vediamo e che viviamo sotto forma di etichette e/o categorie.
Questo processo di “classificazione” non è solo individuale, ma è supportato e alimentato dalla scienza, la quale riconosce l’esistente solo categorizzandolo. Creando etichette, si agisce una determinata forma di controllo, quella sociale, atta al mantenimento della “normalità”.
Conosciamo molto bene l’azione di controllo sui nostri corpi, che passa attraverso la medicalizzazione e l’impedimento fisico e mentale della libertà di scelta e la classificazione degli orientamenti non eterosessuali come patologici.
Le persone lesbiche, gay, trans*, intersex, bi, hanno da sempre subito questo processo, ma nella storia dei movimenti si rilegge richiesto un autentico bisogno di soggettivazione più che di categorizzazione.
Il bisogno di vedere riconosciuta la propria identità passa per la visibilità, per l’essere ciò che si vuole a prescindere da quanto questo si discosti dalla norma vigente.
Noi rivendichiamo questo processo di soggettivazione, e lo vogliamo condividere con l’intenzione ferma e decisa però che sia estraneo alla visione della “minoranza” come soggetto esclusivo di un’oppressione, che ci descrive solo come vittime.
Ognun@ vive sulla propria pelle una personale oppressione, che agisce trasversalmente rispetto a ciò che noi siamo, quindi come donne, migranti, trans*, lesbiche, gay, precari*, etc… Questo non significa però doversi riconoscere solo attraverso la figura di vittima. Per questo sono necessari, ma non bastano i “numeri di aiuto” o delle pubblicità progresso a sconfiggere lo stigma legato all’omosessualità e al transessualismo, bensì quello di cui abbiamo bisogno è un reale cambiamento sociale e culturale.
Il processo di soggettivazione ci porta a definirci in molteplici modi, arrivando ad un acronimo che tutt* conosciamo, “glbt”. Vogliamo ripartire dalle parole e dai significati, per questo quell’acronimo non ci basta più, e non ci basta in quella forma. In questo documento, nelle assemblee e nella comunità vorremo che si usasse TLGBIQ perchè pensiamo che in questa fase storica dobbiamo ridare centralità alla questione trans, inserire l’intersessualismo e consolidare una “Q” che ci faccia intravedere il superamento del genere (maschile e femminile) così come dato dalla società eteronormata.
Per questo motivo parliamo anche di transessualismi, perchè non esiste un “solo modo di transitare” e perchè ognung@ dovrebbe essere liber@ di scegliere come farlo e come viverlo.
Inoltre ci preme sottolineare come il termine transessualismo sia errato, poichè sposta una questione di “genere” in un’ottica “sessuale”. Per questo preferiamo il termine transgender, o, come stiamo utilizzando ora, la parola trans*, pensando che essa sia maggiormente rappresentativa e inclusiva della realtà del mondo transessuale\transgender, etc..
Il termine identità di genere viene usato per descrivere il senso soggettivo di appartenenza alle categorie maschio\femmina, l’espressione ruolo di genere connota invece l’espressione esteriore, sociale e culturale dell’identità di genere. Quando questi due concetti non sono sovrapponibili, ovvero quando la propria identità di genere non rispecchia il proprio ruolo o viceversa, si viene a delineare un’identità che si pone “fuori” o “fra” le due categorie di genere pre-imposte (Wilchins, 2002).
L’identità di genere è stata troppo spesso confinata alla dicotomia maschio femmina, anche quando la realtà ci dimostra altro.
Non esiste con purezza il maschile e il femminile, bensì quello che realmente rappresenta tutt* è un continuum, dove agli estremi è posto il femminile e il maschile, e dove ognun@ di noi si può collocare in forme e in modi diversi. La sessualità nella cultura, generalmente confusa con l’identità di genere, viene definita in maniera statica, basata su un ordine di genere dicotomico che fonda le proprie radici in un terreno biologico: una dimensione che identifica due generi sessuali, quello femminile e quello maschile, su cui fonda un ordine amoroso immodificabile e sacro, quello dell’eterosessualità.
Non possiamo pensare il transito come un intervento per riporre la propria identità da una parte o dall’altra del binarismo. Quello che la società, che la destra, che le culture reazionarie vogliono è il far rientrare qualsiasi forma di “genere” nel modello dicotomico maschio\femmina.
Noi non vogliamo questo, vogliamo pensare ai transessualismi come forme di identità e di genere variabili, che si pongono come esperienze reali indirizzate al superamento stesso del genere così come lo conosciamo.
Non vogliamo riprodurre la logica della riproposizione forzata di stereotipi di maschio e femmina, uomo e donna. Occorre smantellare questo dispositivo di controllo in tutte le sue ramificazioni psichiatriche, mediche, giuridiche e bioetiche.
Le lotte per l’autodeterminazione dei soggetti che si trovano in posizione di ineguaglianza nell’organizzazione sociale ed economica dei due sessi, quello maschile e quello femminile, testimoniano che il percorso che tende a scardinare questo sistema di oppressione attraverso la liberazione dei soggetti oppressi è lunga ma, fortunatamente, inesorabile.
La campagna che stiamo sostenendo per la depatologizzazione del transessualismo è solo l’inizio di un percorso di cambiamento nella percezione sociale delle persone trans*. Il suo successo non metterà fine all’esclusione sociale ma sarà un primo atto perché tale esclusione cessi di esistere e affinché, attraverso la depatologizzazione, lo Stato e le istituzioni mediche e sanitarie, riconoscano l’autonomia delle persone trans*, nella costruzione del proprio sé non come patologia ma come libertà di transitare la propria esperienza umana in accordo col proprio sentire, pensare e agire.
Pur nelle specificità dei diversi percorsi esistenziali ed antropologici di donne, lesbiche e persone trans*, appare evidente che siamo di fronte comuni forme di oppressione e violenza riconducibili ad una comune matrice, e cioè la strutturazione etero-patriarcale e sessista della società.
Per questo la lotta di liberazione delle donne, il movimento di liberazione gay, il riconoscimento dell’esistenza delle lesbiche e ora la campagna per la depatologizzazione del transessualismo sono lotte, che nel rispetto delle specifiche differenze, hanno una comune origine nel sistema del dominio maschile e del controllo dei corpi.
E’ qui che bisognerebbe ad esempio agire una lotta per sconfiggere le discriminazioni a cui sono soggette le persone che praticano BDSM, feticismo e travestitismo, attività che spesso sono male interpretate dalle società moderne, come si può vedere anche dalle leggi presenti in stati come USA o Regno Unito. Tali pratiche sono spesso accostate erroneamente alle violenze sessuali causando evidenti danni di immagine ed isolamento e rendendo difficile la libera espressione della propria sessualità. Oggi sappiamo che all’interno dei movimenti lgbt le realtà fetish/bdsm hanno dato un grande supporto nelle lotte per i diritti grazie alla loro visibilità e mettendo in luce nuove diversità.
Lo spostamento avvenuto da parte di alcune realtà del panorama lgbt durante il Romapride del 2010 ha, a nostro avviso, permesso un’apertura verso la riscoperta delle diversità e in sintonia con questo percorso vogliamo sostenere i temi che interessano la comunità lgbt, chiedendo che non vengano trascurati, per combattere il pregiudizio che con sorpresa emerge anche all’interno degli stessi ambienti gay. Pensiamo che i temi della comunità fetish o bdsm costituiscano una base di rispetto e di arricchimento per tutti e tutte.
Con questo documento vogliamo sostenere la richiesta di eliminazione delle diagnosi di Feticismo, Travestitismo e Sadomasochismo dalla versione corrente dell’ICD (ICD-10) (International Classification of Diseases) pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO), poichè crediamo che questi temi non siano solo qualcosa di marginale, legati a una nicchia di poche persone, ma rappresentano una spinta ulteriore verso la sperimentazione di nuovi modelli di sessualità, affettività, vita sociale e realtà associative, elementi che possono costituire un patrimonio per tutti e tutte coloro che fanno parte della comunità lgbt così come per gli eterosessuali che non vogliano sottostare a degli schemi tradizionali.
Il DSM (Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali) edito per la prima volta dall’APA (America Psichiatric Association) nel 1950 (DSM I) rappresenta lo strumento che la psichiatria, in particolare quella americana, utilizza per stabilire un confine tra normale e patologico, tra sanità e malattia. Uno strumento che, pur non avendo il carattere di unicità (esistono infatti altri manuali diagnostici, come l’ICD 10, il PDM, etc..) nel suo campo ha comunque un’influenza notevole nel panorama scientifico. Oggi, nel 2010, siamo giunti alla quarta edizione rivista (DSM IV-TR) ed è già in preparazione la quinta edizione, all’interno della quale il “transessualismo” cambia nuovamente forma e significato.
Ciò che ci pare interessante sottolineare sono due aspetti. Il primo riguarda il superamento (ancora ipotetico, da parte del DSM V) della sovrapposizione del concetto di genere a quello di sessualità, confusione che aveva causato la patologizzazione di determinati comportamenti considerandoli come veri e propri disturbi mentali.
Molti clinici che lavorano regolarmente con questo tipo di persone sono arrivati a pensare a questo fenomeno non come una patologia ma come una variazione naturale alla concezione binaria maschio/femmina del genere.
Il secondo è che per la prima volta viene introdotto il concetto di non dualità dei generi. Si parla infatti, all’interno dei criteri diagnostici, di “altri generi”, dichiarando implicitamente l’esistenza di identificazioni di genere “miste” o “altre” incluse nell’incongruenza di genere e non più considerate patologie psichiatriche.
Nonostante questi aspetti rappresentino un passo avanti, siamo fermamente convint* che per agire una lotta contro la discriminazione delle persone trans* , qualsiasi diagnosi psichiatrica debba scomparire da tutti i manuali diagnostici esistenti, supportata da una campagna concreta di sensibilizzazione, rivolta sia verso i clinici sia verso l’intera popolazione.
Condividiamo e sosteniamo la campagna europea “-stop 2012-” per la depatologizzazione e l’eliminazione del transessualismo dal DSM (e da tutti i manuali diagnostici) che etichetta e stigmatizza le persone trans* come malate mentali, condizionandone l’accesso agli interventi necessari per la riattribuzione chirurgica del sesso ed impendendone di fatto l’autodeterminazione e la libertà di espressione.
Questo percorso si inscrive nell’ambito di tutte le lotte culturali e politiche che mirano a decostruire il sistema di norme che, in nome di una presunta oggettività scientifica e psichiatrica, viene imposto generando sofferenza, inclusione ed esclusione nelle misura in cui tale ordine normativo viene accettato.
Siamo di fronte ad una sfida molto importante per l’intera comunità tlgbiq: ridare centralità al soggetto trans*, pensare al binarismo di genere come uno stereotipo da distruggere al fine di affermare una reale variabilità di genere, ponendoci in prima persona come soggetti attivi della politica.
In un momento di crisi economica e culturale così manifesta rivendichiamo servizi sanitari pubblici accessibili e gratuiti, apertura di spazi di discussione relativi al tema della famiglia -non solo quella eterosessuale bianca e cattolica-, sulle discriminazioni sul lavoro, sulla politica securitaria e del sul concetto di migrazione.
Questi e altri temi vorremmo che siano nell’agenda politica di chi, come noi, vuole creare un terreno fertile di costruzione condivisa verso il Roma Euro Pride. Per questo siete tutt* invitati alla due giorni di analisi e approfondimento su questi e altri temi, che si terrà a Roma il 15 e 16 Gennaio 2011.
Siamo fermamente convint* che questa battaglia coinvolga tutt*, anche la popolazione lgbtiq sorda, che quasi sempre per ostacoli sormontabili è stata tagliata fuori.
Per questo proponiamo che alle prossime assemblee di movimento ci sia la figura dell’interprete per garantirne la partecipazione.
In conclusione proponiamo, perchè pensiamo che sia necessario, un intervento legislativo al fine di ampliare e meglio garantire i diritti delle persone trans*; nello specifico: il diritto all’identità di genere nel rispetto del diritto all’autodeterminazione dell’individuo.
In sintesi, al legislatore si richiede:
a) Una legge che permetta la rettificazione anagrafica del sesso e del nome – in accordo con il genere e il nome scelto – sulla base di una dichiarazione giurata della persona trans* interessata senza dover ricorrere necessariamente e preventivamente ad interventi medico chirurgici demolitivi-ricostruttivi sugli organi sessuali primari e/o secondari; che non obblighi la persona trans* ad un monitoraggio medico e giudiziario, né alla presentazione di una certificazione o perizia di diagnosi di disturbo di identità di genere come condizione di procedibilità e accoglimento della domanda che deve poter essere proposta in carta libera e senza l’assistenza di un legale;
b) Una legge che garantisca nel programma di assistenza del Servizio Sanitario Nazionale i trattamenti ormonali, le operazioni di riassegnazione genitale e/o di collocazione di protesi e tutti gli altri interventi medici che le persone trans* possono eventualmente richiedere per la costruzione della loro identità senza che sia necessaria una diagnosi di disturbo di identità di genere.
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