IL DIALOGO TRA ISTITUZIONI E ASSOCIAZIONI E GRUPPI MASCHILI
Resoconto sintetico a cura di Alessio Miceli
Pinerolo, 28 novembre 2008 –
Laura Zoggia, sindaca del Comune di Porte e presidente dello sportello “Svolta Donna”, ha tenuto il suo intervento partendo dalle diverse forme di violenza sulle donne, per poi descrivere cosa fanno gli Enti pubblici:
– ha parlato della regione Piemonte con il suo piano regionale (strumento di indirizzo e di coordinamento), con un forum degli enti locali, con la collaborazione delle questure, con un fondo dedicato ai centri antiviolenza…
– ha citato la provincia di Torino, attiva sul versante della parità in ambito di lavoro con i suoi “piani di azioni positive” (PAP)…
– ha nominato poi il suo stesso Comune e le azioni su quel territorio, in una logica di interlocuzione con le donne in difficoltà: dalla prima lettera ai cittadini e alle cittadine e agli altri sindaci, fino alla recente apertura dello sportello “Svolta donna”.
In chiusura del suo intervento Laura ha posto alcune questioni.
Alle istituzioni ha chiesto come si possa articolare concretamente la prevenzione, nell’ambito della violenza maschile sulle donne.
Agli uomini ha posto alcune richieste, tra cui:
– l’apertura di discussioni pubbliche – nelle scuole, nei luoghi di lavoro, in politica…- , in modo da veicolare messaggi positivi contro la violenza
– la disponibilità a dare supporto ai maltrattanti
– la presa in carico, insieme alle donne, della conciliazione di lavoro e famiglia.
Il dr. Farina, per la Asl competente, ha individuato i luoghi socio-sanitari del territorio che possono trattare la prevenzione della violenza sulle donne:
– ha nominato tre ospedali in diversi distretti pinerolesi (Pomaretto, Pinerolo, Torre Pellice)
– ha indicato undici consultori familiari con personale formato e dove già vigono diversi servizi (per donne in gravidanza, per la gestione dei bambini, gruppi di auto-mutuo aiuto, ore di mediazione culturale, ecc)
– ha ricordato anche i consorzi socio-sanitari.
Il dottore ha discusso anche dei soggetti e dei provvedimenti normativi che possono integrare la prevenzione della violenza sulle donne come un obiettivo di salute. Vi sono vari livelli di pianificazione:
– Vi è un piano socio-sanitario regionale; l’ultima delibera della Giunta regionale (DGR) nomina in particolare la violenza e il maltrattamento delle donne (e dei minori) come oggetto di prevenzione.
– Il Comitato dei sindaci del distretto approva il “profilo e piano di salute” (PEPS), che pone gli obiettivi di salute e quindi le linee di indirizzo delle politiche del territorio. Le Asl forniscono l’assistenza necessaria alla gestione di questo piano. Anche a questo livello è dunque possibile definire il contrasto alla violenza sulle donne come un obiettivo di salute e le relative azioni di prevenzione.
Io (Alessio) ho ripreso le richieste di Laura agli uomini contro la violenza maschile sulle donne, intrecciando il mio percorso individuale alla esperienza collettiva dell’associazione Maschile Plurale.
Ho detto brevemente della nascita dell’Associazione nel 2006 e, come sua prima azione pubblica, ho citato l’Appello “La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola come uomini”. Peraltro alcuni gruppi della rete Maschile Plurale erano nati anche 20 anni prima. In particolare ho ricordato la nascita del gruppo di Roma, a fronte dello stupro di una donna nel centro città da parte di un gruppo di “ragazzi perbene”. Dunque la domanda, aperta da alcuni gruppi-uomini già negli anni ’80 e oggi rilanciata dall’Associazione su scala nazionale, riguarda la sessualità e la responsabilità maschili rispetto alla violenza sulle donne.
A partire da questi presupposti sono entrato nel merito delle richieste di Laura agli uomini, in particolare riguardo alle discussioni pubbliche e alle attività nei confronti degli uomini maltrattanti. Ho riportato i possibili interventi che proprio in questi mesi si stanno elaborando tra alcuni uomini di Maschile Plurale. E’ ancora una traccia, una ipotesi di lavoro in discussione al nostro interno e con alcuni Centri antiviolenza.
1 – Il territorio.
C’è un livello socio-culturale ed educativo, di discussioni pubbliche sul territorio. Qui c’è la possibilità di divulgare il tema della violenza sulle donne e, più ampiamente, di trattare delle relazioni tra donne e uomini nei vari luoghi di vita (affettività, sessualità, famiglia, lavoro, politica…), spesso intrecciate alle varie forme della violenza.
Queste occasioni (incontri pubblici, attività nelle scuole, cineforum, ecc…), molto visibili intorno alla giornata dedicata del 25 novembre, sono spesso organizzate da donne, attive nelle istituzioni e nelle associazioni. Il nostro impegno organizzativo, in quanto uomini, potrebbe coinvolgere maggiormente altri uomini ad esprimersi. La novità, oltre la ritualità di una giornata particolare come il 25 novembre, starebbe nel sollevare ordinariamente queste discussioni tra donne e uomini, con il presupposto che il cambiamento di una intera società e della sua cultura passi da tutte le sue componenti.
2 – Gli operatori.
C’è poi un livello, laterale ai Centri antiviolenza, rivolto agli operatori maschi delle istituzioni e dei servizi che trattano la violenza sulle donne: medici, infermieri, forze dell’ordine, giudici, assistenti sociali…
I Centri antiviolenza, penso alla Casa delle donne maltrattate di Milano o alla neonata Associazione nazionale D.i.Re “Donne in rete contro la violenza Onlus”, partono dalla relazione tra donne come principio di cura delle donne maltrattate.
Il nostro contributo come uomini si darebbe in gruppi di discussione con gli operatori maschi, per la sensibilizzazione al sostegno di donne in difficoltà e al supporto di uomini maltrattanti.
Gli uomini maltrattanti, normalmente, non si espongono a farsi riconoscere come violenti nella loro vita ordinaria, complice una (in)cultura generale o addirittura un clima di accettazione sociale per cui la violenza sulle donne non diventa mai un problema politico. Quindi questi uomini violenti verranno trattati da operatori purtroppo solo dopo aver commesso violenza, quando saranno in stato di detenzione o di affidamento ai servizi sociali: è molto raro riuscire a contattarli prima.
D’altra parte gli operatori tengono il loro ruolo professionale, ma spesso questo non basta nel trattamento della violenza: delle donne che la subiscono e degli uomini che la agiscono. Vi sono molti casi reali che mostrano la necessità di un’assunzione “più che professionale” di questi problemi. E questo implica il ripensamento e la discussione del nostro essere uomini, sotto qualsiasi abito professionale.
Per esempio, quando in pronto soccorso una donna si presenta con certi segni e dice di essere caduta, l’infermiere o il medico può limitarsi a seguire il suo protocollo (di moduli e di cure…), ma può anche dire altre cose, dare altri segnali a quella donna…
Altri esempi, in ambito giudiziario, sono alcuni processi per stupro che sembrano segnati da un disprezzo maschile di fondo nei confronti di donne che forse “ci stavano” e, comunque, da un margine di giustificazione di quei fatti. In questo senso si può rivedere facilmente, anche in rete, quel primo “Processo per stupro” trasmesso dalla Rai nel 1979, in cui “la giustizia era violenta tanto quanto gli stupratori per una donna in un’aula di tribunale” (avvocata Tina Lagostena Bassi). E così sembrano altri casi attuali, come quel processo ad un “branco” di sedicenni per lo stupro di una ragazzina tredicenne, riportato nel libro Amorosi Assassini (Laterza, 2008).
Ancora, presso alcuni servizi sociali succede che alla voce “conflitti familiari” si lascino correre determinate situazioni di violenza sulle donne che poi esploderanno, ma a volte sarebbero riconoscibili anche prima. Così ogni anno, in Italia, circa 100 donne muoiono negli “omicidi di coppia”, cioè per mano dei loro uomini, ma il senso comune continua a dire che “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
3 – Gli uomini maltrattanti.
C’è ancora il livello dei gruppi di auto-aiuto per il trattamento degli uomini maltrattanti, che si potrebbe praticare presso i servizi (la Spagna sembra offrire alcuni spunti in questo senso).
I dati dimostrano una forte correlazione tra la violenza agita e quella a cui si è stati esposti (a subirla o ad assistervi), quindi una dimensione di “violenza appresa” che in parte condiziona i comportamenti. Questa situazione è, per certi aspetti, confrontabile con altre situazioni riconosciute come dipendenze, per esempio da alcool o da droghe, che condizionano la persona e che trovano la loro cura in gruppi di auto-aiuto.
In tal caso, la scommessa è quella di offrire questa risorsa all’interno dei servizi territoriali, per verificare se gli uomini che agiscono violenza la useranno anche come prevenzione e non solo in quanto condannati e detenuti.
4 – L’orizzonte della politica (nel senso “alto”, delle relazioni trasformative di noi stessi e del mondo).
In conclusione, nel dibattito seguito alle tre relazioni ho portato ancora una indicazione:
che noi possiamo inscrivere il tema della violenza maschile sulle donne nell’orizzonte della politica, come un problema sociale che va deciso politicamente a tutti i livelli (cultura, educazione, comunicazione, legge, servizi…), in una gestazione il più possibile partecipata, com’è proprio delle grandi riforme e delle grandi svolte culturali che le consentono. O altrimenti mi sembra che non se ne esce.
Alessio Miceli
Commenti recenti