Febbraio 2011
Siamo un gruppo di uomini (cinque, al momento) di Milano, che sta dando vita – dall’inizio dell’ottobre scorso – ad una esperienza di incontri (attualmente ogni due settimane; all’inizio con scadenza settimanale) nei quali ci si confronta su tematiche di interesse comune, che hanno un senso e una importanza personale per ciascuno di noi. Esperienze non necessariamente collegate ad un ambito specificamente maschile, ma che sembrano attualmente (per le più diverse ragioni) meglio condivisibili in un tale tipo di contesto.
L’esperienza non nasce dal nulla: punto di riferimento comune ad alcuni di noi (non a tutti) è stata la conoscenza delle iniziative del “Cerchio degli uomini” di Torino, ed anche –in qualche caso- un’esperienza precedente di tali gruppi od altri analoghi.
Del resto, i nostri rapporti reciproci erano i più diversi: da esperienze di questo tipo appunto, ad amicizie profonde e prolungate, a comuni esperienze di lavoro, fino ad una totale ‘non conoscenza’ reciproca di alcun tipo.
Gli incontri si sviluppano su un piano pressoché totalmente ‘paritario’ ; non vi è cioè un ‘organizzatore’ che ne decida per tutti tempi e tematiche, ed è appena accennata e discretissima la figura di un ‘conduttore’ degli incontri stessi.
Piuttosto abbiamo avuto modo nel corso del tempo (soprattutto all’inizio) di confrontarci – talora al di là della consueta scansione degli incontri- con chi ha messo in piedi l’esperienza del “Cerchio degli uomini” di Torino, ed ha avuto per noi in un paio di incontri un ruolo non saprei dire se di sostegno, di guida…
L’attività si è svolta di fatto quasi esclusivamente sul piano verbale, ma non sono stati esclusi del tutto momenti di movimento e attività corporea.
Credo di poter dire l’esperienza comune fosse e sia quella di condividere con altri situazioni, esperienze, tematiche, cui è spesso difficile dar voce persino nei rapporti di affetto e di amicizia, sulla base di mille remore, che -in un contesto come questo- hanno meno ragione di esistere.
Le “regole” che esistono nello sviluppo del dialogo e della interazione hanno proprio lo scopo di creare appunto un contesto il più possibile facilitante in questo senso.
Vediamo innanzitutto alcune decisioni –come dire- ‘di cornice’: la frequenza è ‘fissata’ ma non rigida (di fatto –come accennato- si è già modificata) ; la presenza di ciascuno è totalmente libera e non ‘forzata’ in alcun modo ; gli incontri –della durata di due ore circa ciascuno- avvengono a casa di uno dei partecipanti.(possibile e probabilmente opportuno prevedere una ‘rotazione’ fra se case)
E’ stata anche più volte ventilata la possibilità –che resta- di una qualche collocazione ‘esterna’ alle case, purché si trovi un ambiente adatto ; tranquillo ed accogliente.
Il numero dei partecipanti finora è stato di cinque, ma il gruppo si allargherà presto –molto probabilmente- a sei o anche a sette persone.
Fra le altre “regole” forse una sola può considerarsi in senso stretto come tale (da rispettare cioè rigidamente): la riservatezza rispetto a quanto viene detto accade nel gruppo, o meglio ancora, il fatto che se si desidera in qualche modo metterlo in comune con altri (persone o gruppi), la cosa vada detta in anticipo, e fatta soltanto se nessuno ha nulla in contrario.
Per il resto si tratta soprattutto di indicazioni di massima. Riferirsi ad esse –nel lavoro insieme- (senza per forza doverle rispettare rigidamente ad una ad una) contribuisce appunto a creare un’atmosfera in cui ci si sente a proprio agio e in cui fluisce un discorso significativo per ciascuno.
Ci si accorda sulla tematica in modo che tutti vi si sentano coinvolti personalmente. Infatti il discorso non si svilupperà ad un livello puramente mentale intellettuale, o generale ed astratto.
Un’attenzione non formale all’altro non è solo una norma di ‘bon ton’ o di rispetto, ma fa parte del piacere di questa esperienza.
Tale atteggiamento di ascolto e di attenzione non si orienterà tendenzialmente (ma la cosa –direi- viene abbastanza da sè, dato il tipo di rapporti esistenti) verso un ‘consiglio’ all’altra persona (che non sarà rigidamente escluso o ‘censurato’), ma non verrà mai posto come fine prioritario dell’attenzione e dell’ascolto.
L’atmosfera favorisce appunto il massimo della spontaneità e il minimo dell’auto-censura, grazie anche e soprattutto alla sicurezza che non si verrà giudicati dicendo qualcosa di sè che ci imbarazza o non ci colloca al vertice dell’auto-stima.
Infatti il ‘non giudicare’ è l’ultima (ma non ultima!) di queste indicazioni. Che ciascuno si possa fare un suo giudizio sugli altri è ovvio e inevitabile, ma si tratta di non dover subire –subito e ‘preventivamente- un atteggiamento giudicante.
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