L’incontro si svolgerà il giorno 8 novembre su ZOOM dividendo la discussione tra mattina h. 9-13 e pomeriggio h. 14-18
Negli ultimi mesi le nostre vite sono state profondamente sfidate dal diffondersi di un microscopico virus. Tutto il mondo ha dovuto adattarsi, rallentare, fermarsi, prendersi cura dei propri malati. Che significato diamo a quanto è successo?
Molti leader politici, amministratori, giornalisti, commentatori e perfino medici per interpretare la situazione che vivevamo hanno riproposto il tradizionale linguaggio bellico. Ci hanno raccontato che eravamo impegnati in una “guerra” senza quartiere contro un nemico invisibile. Che i medici erano in trincea e che dovevamo fare fronte comune per sconfiggere il virus. Queste metafore guerresche e machiste non segnalano solamente la povertà del nostro immaginario e del nostro linguaggio politico ma ci ostacolano nella nostra capacità di misurarci con la sofferenza, col lutto, col senso di impotenza, insomma con la nostra vulnerabilità e la nostra reciproca interdipendenza. Oggi, più ancora di ieri, non siamo chiamati ad armare gli eserciti, a imbracciare le armi e fare terra bruciata ma a promuovere la salute, educare alla responsabilità e all’igiene, a dare sollievo alla sofferenza, a promuovere la dignità dei malati ma anche degli operatori e delle operatrici medico sanitari che devono potere lavorare nelle migliori condizioni possibili e non essere obbligati ad atti eroici in una precarietà di risorse, dispositivi, protocolli, contratti e riconoscimenti.
Certamente in questo frangente tutti ci siamo scoperti vulnerabili. Tutti siamo stati spinti a riconoscere quanto dipendiamo dagli altri. Non solo coloro che si sono ammalati e sono stati presi in carico dal personale medico-sanitario. Ma anche coloro che sono stati fermi e in quarantena. In un caso o nell’altro non abbiamo smesso di dipendere da un’infinità di persone, soggetti, servizi, organizzazioni, tecnologie. Quante cose hanno dovuto continuare a funzionare affinché potessimo trascorrere in sicurezza la nostra quarantena o la nostra convalescenza: il cibo, l’acqua, le medicine, l’assistenza, le mascherine, l’informazione, le pulizie, la raccolta dei rifiuti, le poste, le banche, gli ospedali, l’energia. Normalmente non ci pensiamo perché tutto questo ci appare sicuro e lo diamo per scontato. Ma nell’emergenza tutto il tessuto di relazioni e scambi, normalmente invisibile si è rivelato ancora di più nella sua importanza fondamentale.
Certamente pur nella comune vulnerabilità, sappiamo che le diseguaglianze non sono sparite. Diseguaglianze di risorse, di relazioni, di lavoro, di contratti, di diritti, di riconoscimento. Si pensi ai precari, agli stagionali, ai turnisti. Si pensi anche al riproporsi della violenza domestica. D’altra parte, forse per la prima volta, è emersa con forza la straordinaria importanza del lavoro di cura: infermieri/e, operatori e operatrici socio-sanitarie (OSS), addetti/e alla pulizia improvvisamente sono uscite dal cono di invisibilità e hanno ricevuto da più parti un riconoscimento pubblico.
E dentro le mura di casa? Sono state le donne italiane anche questa volta a fare il lavoro educativo, in maniera ancora più estesa che nel periodo normale? Sono le donne che hanno dovuto gestire l’aumento delle ore dei lavori di cura, domestici e relazionali, determinato dal lockdown, contemporaneamente al lavoro che continuava in modalità Smart Working? Probabilmente in questo momento, tra le tante altre problematicità, il lavoro “a distanza” apre anche trasformazioni e conflitti nuovi da indagare, compresi quelli riguardanti i luoghi di produzione e di servizio, quelli sulla qualità e le relazioni tra le persone, sulle gerarchie, sul controllo. I servizi fermi, le scuole chiuse e quello che ne è conseguito. In che misura come uomini, come compagni di donne o di altri uomini, come figli o come padri, siamo riusciti a condividere veramente questo lavoro di cura? Abbiamo approfittato di questo spazio per dedicarci alle relazioni?
Insomma, cosa è stato questo momento per noi? Per noi occidentali (maschi e bianchi), abituati a vite frenetiche, a impegni senza sosta? Da produttori di ricchezza e consumatori compulsivi, siamo stati costretti a casa alle prese con tempi vuoti, attese, forse anche noia, ascoltando l’eco potente del silenzio che ci raggiungeva dalle nostre città semideserte. Abbiamo sperimentato, da uomini e donne da tempo immersi nel gioco virtuale degli smartphones e delle reti telematiche, l’urgenza dei corpi, dei contatti, degli abbracci e dei baci anche solo delle conversazioni in presenza. E nell’obbligo di distanziamento sociale abbiamo fatto i conti con le distanze, i silenzi, le nostalgie, i desideri irrealizzabili o i commiati mancati.
Cosa abbiamo imparato da questa esperienza? O meglio cosa vogliamo imparare mentre ci auguriamo che man mano la vita e le relazioni possano ritrovare la loro pienezza di espressione? Riusciremo a riprendere in mano le nostre esistenze in un’accettabile dimensione di comunità, ad approfittare per ripensare almeno in parte le nostre abitudini e stili di vita, a praticare accoglienza, a dare valore alle relazioni e alla cura, di sé, degli altri, dell’ambiente, a dare senso e spessore differenti al nostro uso del tempo?
Che cosa pensiamo dei tanti casi di violenza narrati dalla cronaca, in cui spesso al centro c’è una concezione della maschilità schiacciata dall’aggressività, dal possesso, dall’odio per il diverso?
Affrontare e misurarsi con le reali difficoltà e disagi che emergono nelle nostre relazioni ed esperienze quotidiane, costituisce per noi uomini anche un’opportunità di cambiamento, di maturazione e di libertà.
Come possiamo immaginare la nostra vita e le nostre relazioni al di fuori di un’ottica e di un modello sessista? Che gioco possono avere le nostre aspirazioni, i nostri desideri, se iniziamo a misurarci liberamente con le diverse soggettività? Con prossimità e distanze, con somiglianze e differenze? Riusciamo a prefigurare questo passaggio di civiltà a partire dal nostro quotidiano?
Cosa significa per noi testimoniare che la violenza non è un destino né per le donne né per gli uomini e che mettere al mondo nuovi modi di essere uomini e padri è il più grande dono che possiamo fare agli altri, a noi stessi e alle generazioni future?
Cosa cambia se come uomini e come padri mettiamo al centro delle nostre relazioni il riconoscimento della vulnerabilità, dei bisogni e dei desideri di ciascuno, anziché l’ossessione per il controllo e l’autocontrollo?
Se ripensiamo il nostro corpo e il nostro sesso non come un’arma da scaricare ma come una soglia che si sporge a incontrare un altro desiderio?
Se proviamo a metterci in ascolto dei nostri diversi vissuti e bisogni, accettando la fatica del confronto e del conflitto anziché delegare ad “uomini forti” e ad esperti per trovare una via d’uscita?
Se testimoniamo un’idea di politica fondata sull’incontro e la convivenza tra diversi, anziché sulla chiusura e l’odio verso le alterità prossime e distanti?
Se ripensiamo l’economia e il lavoro in termini di cura, condivisione, manutenzione e benvivere quotidiano anziché in termini di crescita dei profitti e di sviluppo illimitato?
In questo contesto e in questo momento la riflessione tra persone e gruppi di uomini e di donne impegnati nei territori per le trasformazioni della maschilità e delle relazioni tra i sessi, deve alzare lo sguardo e fare un salto di qualità per riportare al centro dello spazio pubblico idee e principi differenti come il rispetto della vulnerabilità, il riconoscimento dell’interdipendenza, la valorizzazione delle soggettività, l’importanza della cura.
Con questo obiettivo vogliamo organizzare per l’intera giornata di DOMENICA 8 NOVEMBRE online un incontro pubblico nazionale sulle trasformazioni del maschile e delle relazioni tra sessi ed identità sessuali, nel contesto della crisi multiforme che stiamo vivendo. Ci piacerebbe che questo appuntamento divenisse permanente: una scadenza annuale pensata e progettata insieme a quante e quanti vorranno condividere e arricchire l’iniziativa.
Indichiamo quattro aree tematiche di discussione che tratteremo nella giornata (dividendo la discussione tra mattina h. 9-13 e pomeriggio h. 14-18):
1) Il clima delle relazioni: uomini e donne nella crisi del nostro tempo;
2) Corpo e desideri maschili tra libertà, colonizzazione e consumo;
3) Linguaggi e forme della violenza: nella politica, nei media, in casa e nella vita quotidiana;
4) L’impegno di cura e il desiderio di nuove paternità.
L’incontro si svolgerà il giorno 8 novembre su ZOOM
https://us02web.zoom.us/j/83782379704?pwd=SjZBMU1tTmJxSCtucnlXcGtqaVEyUT09
ID riunione: 837 8237 9704
Passcode: 897778
Invitiamo i gruppi, le associazioni e le realtà locali a diffondere l’informazione e a inviarci idee e suggestioni per costruire una convocazione ampia e condivisa. Rimaniamo in contatto e in ascolto….
Marco Deriu, Stefano Ciccone, Alessio Miceli, Domenico Matarozzo, Alberto Leiss, Mario Simoncini, Pietro Buscicchio, Francesco Seminara, Jacopo Piampiani, Gabriele Lessi, Gianluca Ricciato, Beppe Pavan, Giacomo Mambriani, Angelo Albero, Mario Castiglioni, Riccardo Corrieri, Mario Gritti, Antonio Canova, Ermanno Porro, Alberto Villa, Marco Cazzaniga, Sandro Casanova, Fabrizio Roncarati, Lino Ceccarelli, Danilo Villa, Maurizio Cardillo, Michele Poli, Michele Restuccia, Fabrizio Bonfiglio, Fabio Bonacina, Paolo Piazza, Antonio Romeo, Olivier Malcor, Roberto Poggi, Luca Battaglia, Orazio Leggiero, Nino De Giosa.