Corpo (e linguaggio)
Alberto Leiss
(pubblicato sul quotidiano “Il Manifesto” del 6 ottobre 2015)
Ho partecipato a un incontro tra uomini in cui si sono sperimentate metodologie non solo verbali per comunicare, conoscersi, affrontare problemi anche di natura politica. Ho avuto poche altre esperienze di questo tipo, sempre con qualche prevenzione verso una certa retorica dell’idea che attraverso il corpo e il suo linguaggio si raggiunga una conoscenza sicuramente superiore a quella che si produce negli scambi discorsivi usuali.
Naturalmente ognuna delle parole appena scritte meriterebbe un approfondimento (che cos’è uno scambio, che cos’è un discorso, che cosa è usuale…). Ed è anche vero che, a parte la comunicazione scritta, disincarnata, quando ci si parla in presenza entra in circolo comunque una comunicazione non verbale. Il suono e il tono della voce, lo sguardo e l’espressione del volto, la postura del corpo, certi gesti soprattutto delle mani…
Altra cosa è però immettere espressamente e consapevolmente il corpo, i corpi, in un contesto comunicativo. Mi è rimasto impresso uno degli “esercizi” e “giochi” fatti. Ci si dispone in due file contrapposte, e a turno si avanza verso l’uomo che si ha di fronte, cercando di concentrarsi sulle emozioni interiori e su ciò che si desidera comunicare in questo avvicinamento. Chi attende l’avvicinamento del suo dirimpettaio può fare un passo indietro se la vicinanza raggiunta alla fine sarà avvertita come troppo intensa (nessuno lo ha fatto: tutti sinceri?).
La cosa più difficile – per me ma anche per altri – è stato come dirigere e sostenere lo sguardo. Guardarsi negli occhi per qualche secondo di seguito è un impegno complesso. Spesso lo sguardo fisso è avvertito come una sfida. Oppure si vuole comunicare un’apertura, o si tenta di leggere nello sguardo dell’altro qualcosa di più profondo sul suo essere. Mi è capitato di “confrontarmi” prima con un uomo che conosco da tempo, ma non bene, e poi con uno appena incontrato. La prima prova è stata più complicata: mi sono reso conto che si affacciava il timore di scoprire improvvisamente lati oscuri, soprattutto nel senso di imperscrutabili, in una persona conosciuta superficialmente, con la quale però istintivamente simpatizzo e provo curiosità. Lo sconosciuto mi sembrava aperto, sorridente, e avvicinarlo è stato un primo passo semplice e positivo. Ho anche sentito il bisogno di un contatto fisico al termine dell’avvicinamento, posare una mano sulla spalla, oppure stringere la mano dell’altro. Forse è stato il desiderio di una conferma, di una rassicurazione.
Tra maschi – me lo dice l’esperienza – è abbastanza difficile e inconsueto esprimersi consapevolmente con il corpo, aprendosi a qualche forma di intimità. Pratichiamo tutti, più o meno, la stretta di mano. E in effetti non poca comunicazione passa attraverso questo semplice gesto. Basta pensare a quanto ci irrita (mi irrita) avvertire una mano molle, non reattiva, o al contrario quelle strette di mano vigorose che quasi ti stritolano le ossa. Sembrano segnali del tipo: non voglio (o non posso) avere a che fare per nulla con te.
Mi chiedo se la differenza sessuale passi anche da qui. Molti anni fa sono rimasto affascinato dal modo diverso di parlarsi nelle riunioni femministe. La capacità di esprimersi e di affrontare la politica senza rimuovere nelle stesse parole il proprio corpo e il proprio sé. Un’amica mi ha detto, senza nascondere scetticismo al riguardo, che anche tra donne ci sono e ci sono state esperienze di comunicazione non verbale.
Mi resta il sospetto che per noi uomini questo passaggio sia più importante per migliorare parole e pensieri.
tra me e le mie amiche, quando c’è o c’è stata grande condivisione, l’abbraccio forte e prolungato, avvolgente, significa un tenero “ti voglio bene”, un “ti riconosco”, ma anche tra donne il contatto fisico non è sempre semplice nè scontato.
in molti incontri tra donne, ne ricordo alcuni a torino, sul tema della dea\madre, darsi la mano era nell’esperienza dell’accogliersi. eppure alcune avevano difficoltà a dare la mano a me o a trattenere la stretta, un motivo sicuro era che non ci conoscevamo personalmente. ebbene posso dire che è stata veramente poco rassicurante questa senzazione mi è sembrato di percepire poca benevolenza. quindi il contatto tra corpi ha un suo linguaggio, un suo significato, non so se ci entra la diffidenza verso l’altro.
di mio posso dire che in tutte le riunioni collettive “politiche” non prendo mai l’iniziativa di toccare una/uno sconosciuto, mi limito a parlare o ascoltare, ma il corpo rimane distante, come se si dovesse comunicare il rispetto allo spazio fisico degli altri, ma questa è sicuramente una mia visione contraddittoria.
Comunicare con l’altro è bellissimo, ma spesso mi ritrovo nella condizione di far fronte a messaggi impliciti o espliciti che riguardano: l’argomento del sesso , della divisione dei generi e dei ruoli. mi sembra che l’approccio immediato dell’uomo sia del tipo: mi piaci allora comunico….
Quest’approccio sessista, violento nella sua configurazione, in quanto coinvolge la parte più intima e profonda del sé dell’altra, rivela la fragilità dell’interlocutore e la sua incapacità ad aprirsi attraverso forme di comportamento e di linguaggio neutre. Percepire la donna come semplice amica e fonte di scambi piacevoli, privi di allusioni erotiche, sembra quasi impossibile.
Viviamo principalmente in ambienti dove il messaggio della parità tra i generi è occultato se non deriso e visto come una chimera.. o solo donne o solo uomini o coppie .. la donna forte, emancipata che dirige ed orchestra le sue relazioni, mi sembra eccessiva, ma anche l’uomo, con la sua debolezza, che vede nella donna solo lo strumento del suo piacere, è irritante perché privo di capacità relazionali vere e costruttive che vanno al di là della tradizione…
Cosa importa se si è uomini o donne di fronte alle problematiche di interesse generale, come per esempio la salvezza del pianeta?..
Invece la cultura tradizionale ha ancora il suo peso e permea la strutture comunicative fra i generi.. anche se ciò mi rende molto triste.
Trovo molto bello e interessante che il mio racconto su un incontro tra uomini che hanno cercato di non rimuovere i loro corpi da una esperienza di comunicazione abbia suscitato risposte e interventi di due donne, che ringrazio molto. Sarebbe molto importante riuscire a comunicare di più su questo piano tra uomini e donne. E’ vero, come dice Francesca, che la cultura tradizionale pesa ancora molto e spesso ci impedisce di vivere con più spontaneità, sincerità, sentimenti e relazioni di amicizia. Io tendo a credere che il desiderio e il piacere erotico possa essere presente anche in gesti e scambi in amicizia. Credo sia difficile, ma anzichè pensare di eliminarlo, di rimuoverlo affermando che non importa la differenza dei sessi e la differenza di ognuno di noi con se stesso e con gli altri e altre, forse si dovrebbe riconoscere, e accettare, naturalmente a patto che non si trasformi in qualcosa di violento e di ambiguo, e questo implica, soprattutto da parte di noi uomini, la capacità di vedere sempre il nostro desiderio insieme a quello degli altri e delle altre. Potrebbe così trasformarsi forse in un ingrediente delle nostre vite che ci aiuta a essere meno tristi…
Gli aspetti teorici e la letteratura sul tema confermano l’esperienza pratica, ed è facile che l’utopia e l’idealità si scontrino con eventi che spesso disconfermano. Si crea così confusione tra il sogno e la realtà, tra il desiderio di appagamento di una raggiunta autonomia soggettiva e gli obblighi sociali che ancora una certa cultura misogina pretende che vengano assolti da noi donne, a prescindere dalle nostre volontà…
Con ciò si apre una critica complessiva ad un sistema che minimizza le capacità e la volontà di donne ormai adulte, costrette a deporre le “armi” per compiacenza . E’ vero che la sessualità decorre anche in semplici gesti, ma farne uno strumento di violenza, anche psicologica, è sintomo di una cultura e di atteggiamenti maschili che non si vogliono aprire all’autodeterminazione del genere femminile.
Per paura, per non perdere il controllo e il dominio, anche di se stessi resta il fatto sconcertante, che l’assoggettamento della figura femminile è una ritualità nei rapporti fra i generi. Questa, per me, è una scoperta emblematica che mi ha fatto capire l’arresto e lo sviluppo parziale di mondi che dall’adolescenza si proiettano nella vita adulta; La guerra tra i sessi ha risolto molte questioni, ma i conflitti sani che immancabilmente si sviluppano con il riconoscimento dell’alterità, non possono ancora e ancora degenerare in violenza, in maltrattamenti e in abusi di varia natura, per far sì che l’uomo continui la sua corsa verso l’affermazione dei propri attributi.
Lo stile collaborativo purtroppo non è la norma, mentre sembra che lo sia, o che deve apparire come tale, l’abnegazione della donna adulta, verso il compagno, la famiglia e certe forme di impiego… La sessualità e l’adempimento dei doveri verso la specie ci apre ad un confronto complesso, noi abbaiamo bisogno dell’altro ormai solo entro certi confini di etica, mentre l’uomo ha bisogno della donna per riprodursi biologicamente, ma non culturalmente, dalla quale sembra affrancarsi per la perpetuazione di logiche ancestrali di dominio sul mondo.