Il webmagazine Cultweek ospita un articolo di Alessio Miceli sulla campagna di Maschile Plurale e Officina:
“Riconoscersi uomini – Liberarsi dalla violenza”
Donna: «Ma chi ve lo fa fare? Perché degli uomini si occupano di violenza contro le donne?».
Uomo, uno degli autori della mostra: «È per quel sorriso che vede in quella foto» (ride).
Altra donna: «Lo fanno per essere felici».
Questo scambio avvenuto qualche giorno fa in un consiglio di zona di Milano, dove abbiamo portato la mostra Riconoscersi uomini – Liberarsi dalla violenza, mi sembra un frammento che riporta l’intera esperienza che stiamo vivendo.
A mio parere però le vostre riflessioni sulla violenza maschile – peraltro molto interessanti – partono da un punto di vista culturale e politico ma trascurano forse un po’ quello filogenetico. Il tema della “violenza degli uomini contro le donne” andrebbe infatti visto all’interno di quello della violenza in generale: dove infatti gli uomini sono più violenti, ma soprattutto nei confronti di altri uomini, e in realtà solo marginalmente (in termini percentuali) nei confronti delle donne. Non credo insomma ci sia una “guerra di genere”, ma piuttosto (per semplificare) che chi è disposto ad uccidere per un parcheggio o uno sguardo sbagliato o altre inezie, è anche probabilmente una persona che userà violenza nei suoi rapporti personali (amici, figli, e quindi anche compagne). Questa violenza è riducibile culturalmente? Sicuramente sì. E’ eliminabile? Probabilmente no, perché nel periodo della nostra formazione genetica (da 1 milione a diecimila anni anni fa, ma anche oltre) la violenza era necessaria per la sopravvivenza, e c’è stata una selezione naturale in tal senso. Oggi qui siamo stranamente in pace, ma altrove e in altri momenti c’è stata necessità di guerrieri, soldati e militari (maschi). Non è quindi solo un tema di cultura e di politica.