Uomini in piazza, per un’altra idea di libertà
di Stefano Ciccone.Traccia dell’intervento alla Manifestazione
“Se non ora quando?” Roma, Piazza del Popolo, 13.02.2011
La manifestazione di domenica 13 apre uno spazio per affrontare collettivamente l’uso del potere e l’ostentato consumo di corpi femminili come modello delle relazioni tra i sessi.
Come uomo mi sento chiamato in causa perché mi chiede di dire qual è il mio desiderio rispetto al richiamo collusivo di Berlusconi, sento che è in gioco anche la mia libertà, lo spazio per vivere il mio desiderio di cambiamento.
Mi riguarda come uomo ma non per l’ambigua preoccupazione di “difendere la dignità del mio genere”, tantomeno la dignità della Nazione. Mi interessa piuttosto affermare una diversa un‘idea di libertà, di qualità del desiderio, dello stare in relazione.
Non mi convince l’obiezione secondo cui ben altre sarebbero le ragioni per chiedere le dimissioni di Berlusconi. La rappresentazione dei ruoli sessuali nei media e nella scena pubblica, la critica della mediazione del denaro e del potere nelle relazioni tra i sessi sono un terreno di trasformazione che richiede una pratica collettiva di donne e uomini che non va relegato all’insignificanza pubblica e politica.
Ma proprio su questo nodo la politica appare segnata da un analfabetismo incapace di produrre parole adeguate e di riconoscere quelle prodotte innanzitutto dalla politica delle donne.
L’impasse tra giudizio moralistico e indifferenza si è riproposta sulla mercificazione del corpo delle donne nei media e nel riconoscere il nesso tra l’egoismo sociale su cui il centrodestra ha costruito il proprio consenso e quel godimento che non conosce limiti, senza senso di colpa, vergogna cui si riferisce Recalcati sulle pagine del manifesto.
L’immagine di donne che si sacrificano nella professione, nella cura di figli, mariti e anziani non muta lo scenario che attribuisce alle donne il carico della cura e della complementarietà al bisogno o all’appagamento maschile. C’è, infatti, un filo che lega la rappresentazione sociale della madre e della puttana: il sacrificio femminile, la rimozione e l’interdizione di un desiderio autonomo per rinchiudere il destino delle donne nella funzione di cura.
La distinzione tra donne per bene e per male è innanzitutto una scissione nell’esperienza maschile della sessualità e rimanda a una rappresentazione che riguarda il maschile. Affermare che non tutte le donne sono disponibili ha un rischio ma contiene anche un elemento che a me, come uomo, interessa: l’incontro con una donna che dice “non sono qui per corrispondere al tuo desiderio o al tuo bisogno: il mio destino non si esaurisce nella disponibilità”.
Rompendo la fissità dei ruoli di prostituta, madre, cameriera, badante si rompe una rappresentazione, l’aspettativa maschile di un mondo abitato dalla disponibilità femminile e si rimette in discussione l’asimmetria tra donne e uomini. Asimmetria nel desiderio, nel riconoscimento di soggettività e, dunque, nel potere: un unico desiderio e un unico soggetto, quello maschile, che esercita il potere sul mondo e sul corpo femminile riducendo le donne a corpo muto, privo di una sessualità autonoma.
Quanto gioca, allora, in questa vicenda il fantasma della libertà femminile?
Raparelli, sempre su “il manifesto”, richiamava l’ansia da prestazione maschile di fronte alla nuova libertà sessuale femminile e il moltiplicarsi dell’uso di protesi e farmaci all’inseguimento della prestazione. La protesi di Berlusconi è il potere.
Un modello maschile basato sul mito dell’autosufficienza, di fronte all’esperienza del proprio limite, della dipendenza ricerca l’esorcismo del potere o del denaro per confermare l’idea che l’altra si possa controllare e comprare: un potere che non riconosce limiti o meglio che alimenta l’illusione di liberarsi dal limite posto dalla relazione e dallo sguardo dell’altra.
Il denaro diviene anche leva di una rivalsa contro il “potere della seduzione femminile” percepito come capace di rompere l’illusione dell’autosufficienza maschile.
Qui emerge il limite di un’idea di autodeterminazione come dominio e proprietà del proprio corpo e del mercato come luogo della libertà in cui l’anonimato del denaro è condizione di libertà e reciproca autonomia tra le persone. Resistere alla riduzione della sessualità a merce non nega la possibilità di giocarla come esperienza autonoma, anche finalizzata al gioco, al piacere senza altre dimensioni che ne fondino il senso. Una sessualità a cui riconoscere un valore autonomo, non scisso dalla relazione ma neanche bisognosa di essere “nobilitata” dall’amore (o dalla finalità procreativa).
Credo si debba cogliere il senso politico di questa contraddizione: riconoscere la dimensione controversa del desiderio (la sua colonizzazione e al tempo stesso la sua potenzialità trasformatrice) per non ricorrere al consumo come modello di libertà e al disciplinamento come antidoto al godimento autistico e compulsivo.
Veronica Lario ha parlato di un uomo malato, altre di un uomo “ingovernabile”, ma non possiamo sottrarci all’ammiccamento di Berlusconi relegandolo nella patologia. Sandro Bellassai, su queste pagine, ha ricordato quanto quel richiamo faccia leva sul senso comune.
Quello di Berlusconi è un comportamento smodato ma tutt’altro che trasgressivo e frutto di un desiderio ingovernabile: corrisponde alla mediocrità che insegue e riconferma la rigida gabbia delle regole tradizionali dell’omofobia, della misoginia, del sessismo.
Così, alla difesa della privacy di chi corrisponde alla norma coincide l’invadenza dello Stato sui corpi e sulla sessualità: proprio Berlusconi e la sua maggioranza hanno parlato del corpo di Eluana Englaro come corpo da imprigionare perché, anche senza vita, avrebbe potuto procreare.
In questa ambivalenza tra “autoritarismo permissivo” e trasgressione omologata sta la natura del Berlusconismo e la sua idea asfittica di libertà secondo cui non hai limiti se corrispondi a un modello tradizionale ma ti è negato qualunque margine di trasgressione.
Se non ci aiuta una rappresentazione delle donne schiacciata tra vittimizzazione e giudizio moralistico allo stesso modo poco ci aiuta schiacciare l’esperienza maschile senza coglierne contraddizioni, conflitti e cambiamenti. I ragazzi che vivono misurandosi con l’espressione sociale del desiderio femminile, gli uomini che tentano di reinventare la propria relazione di cura dei figli sono parte di un mutamento che è in corso ma che non ha visibilità e parole per esprimersi e definirsi.
La costruzione di una diversa parola maschile che non scelga l’autodisciplina ma riconosca come opportunità la scoperta del desiderio femminile è condizione per aprire lo spazio per un conflitto e una relazione tra donne e uomini più fertile.
Dovremmo essere capaci tutti e tutte di portare in piazza questa diversa idea di libertà.
Commenti recenti