Dopo il 13 febbraio. La scommessa degli uomini: inventare nuove parole,
di Stefano Ciccone – pubblicato su “Gli Altri” – 15 febbraio 2011
Nessuno, credo, si aspettava le piazze che abbiamo visto il 13 febbraio. Tutti avevamo capito che sarebbero state grandi. Ma la qualità del messaggio politico emerso da quella giornata non era scontato.
Gli stessi contenuti della mobilitazione hanno assunto un senso differente da quello dato dai primi appelli trasformati da quante hanno rifiutato la distinzione tra donne per bene e prostitute, che hanno rifiutato le categorie del moralismo. Ma va riconosciuto alle donne che hanno proposto questa mobilitazione di aver permesso questo processo intercettando un bisogno diffuso. Oggi questa mobilitazione è nelle mani di tutte e tutti noi e non si riempie solo di numeri ma delle intelligenze e delle storie che in forme anche conflittuali le hanno dato forma.
Piazza del Popolo era arrabbiata ma allegra, piena di entusiasmo più che di rancore, nelle piazze c’erano le donne dei centri antiviolenza, quelle delle pari opportunità ma anche il movimento per i diritti delle prostitute e molte ragazze dei collettivi femministi e lesbici, c’erano le donne che hanno costruito l’originalità del femminismo italiano e che avevano espresso molti legittimi dubbi sul profilo della mobilitazione.
Ma il 13 febbraio ha creato anche un altro fatto nuovo di cui credo sia importante cogliere la novità.
È emersa per la prima volta, in modo pubblico e visibile una parola maschile. È una parola molto contraddittoria, spesso segnata – nelle dichiarazioni dei singoli partecipanti alle manifestazioni come in quelle dei leader nazionali – dalla riproposizione di stereotipi e luoghi comuni. Ma credo sarebbe un errore sottovalutarne la valenza.
La politica maschile appare su questo nodo segnata da un analfabetismo: non ha prodotto parole adeguate e non riconosce quelle prodotte, innanzitutto dalla politica delle donne.
Penso alla difficoltà di Bersani di evitare l’ambiguità del riferimento proprietario o paternalistico a “le nostre compagne, mogli” non riuscendo a esplicitare le relazioni come riferimento per guardare al mondo. Anche in questo caso l’impaccio verbale mostra però l’emersione della necessità a misurarsi con un terreno sul quale il buon senso non basta più e serve la capacità di un’interrogazione su di sé e di riconoscimento della politicità del nodo dei rapporti tra i sessi. Non a caso l’impasse che vive questa discussione ha molto in comune con l’alternativa tra giudizio moralistico e indifferenza che si ripropone sulla mercificazione del corpo delle donne nei media.
Credo sia doveroso riconoscere a Gli Altri, e in particolare ad Angela Azzaro e Lea Melandri, la scelta di dare voce a uomini e, in particolare l’attenzione a un esperienza come quella della rete che si raccoglie attorno a Maschile Plurale. Ma credo sia stata anche importante la scelta de il manifesto (ed anche lì è impossibile non vedere come sia stato importante il lavoro e il punto di vista di Ida Dominijanni) di aprire le pagine del giornale a interventi di uomini, da Raimo a Raparelli, da Bellassai a Recalcati che hanno mostrato evidenti differenze di approccio e prospettive. L’interrogazione maschile ha tracimato anche in quotidiani come il Corriere della Sera, Repubblica e La Stampa: hanno proposto interventi di uomini spesso volgarmente e forse ciecamente arretrati come Ostellino e Polito, altre volte di grande interesse come nel caso di Sofri. L’Unità, infine, che più di altri si è identificata nel comitato promotore di questa mobilitazione, ha scelto di ascoltare e sollecitare uomini. E così radio, blog, siti (tra gli altri certamente quello di www.donneealtri.it animato da Alberto Leiss e Letizia Paolozzi tra gli altri, la newsletter de La libreria delle donne di Milano, quella della Libera università delle donne).
Insomma: la mediazione del denaro e del potere nelle relazioni tra i donne e uomini, la rappresentazione sociale dei sessi, dell’immaginario sessuale sono al centro come terreno di trasformazione e richiedono una pratica collettiva, visibile e pubblica anche degli uomini.
La prima cosa da fare è raccogliere e valorizzare tutto questo. Credo sarebbe di grande interesse produrre e diffondere una “rassegna” di tutti gli interventi maschili apparsi in queste settimane su giornali e siti (lo abbiamo iniziato a fare sul sito www.maschileplurale.it). Credo sarebbe anche interessante raccogliere tutti i messaggi giunti da uomini al comitato promotore nazionale e nelle varie città (Monica Lanfranco, ad esempio, mi pare lo abbia fatto a Genova). In questa confusa presa di parola ci sono molte ambiguità, si ripropone spesso il modello del sostegno solidale o dello sdegno virile. Ma se ascoltiamo con attenzione ci accorgiamo che dietro c’è la necessità di dire qualcosa per cui non si hanno parole conosciute.
Perché non costruire momenti di confronto pubblici tra uomini nelle prossime settimane? Sarebbe l’occasione per uscire dall’alternativa tra cinismo politicista che valuta le vicende giudiziarie come variabile del gioco di palazzo e segno oscillante tra il moralismo e l’ipocrisia. Potrebbe essere l’occasione per una vera interrogazione reciproca su cosa vogliamo e su cosa possiamo costruire insieme. Magari intercettando per la prima volta un desiderio di cambiamento maschile restato sotterraneo.
Se non ci aiuta una rappresentazione delle donne schiacciata tra vittimizzazione e giudizio moralistico poco ci aiuta l’interlocuzione con un maschile schiacciato sulle figure della rappresentanza politica e del potere che non colgano contraddizioni, conflitti e cambiamenti.
I ragazzi e che vivono misurandosi con l’espressione sociale del desiderio femminile, gli uomini che tentano di reinventare la propria relazione di cura dei figli sono parte di un mutamento in corso ma che non ha visibilità e spesso non ha parole per esprimersi e definirsi. E senza parola non c’è forma, e questi mutamenti restano schiacciati in rappresentazioni ambigue e contraddittorie (la femminilizzazione come esito dall’uscita dai modelli della virilità normativa, l’autocontrollo virile come antidoto alla violenza sulle donne, i mammi per raccontare una nuova attenzione alla cura).
Costruire una diversa parola maschile che non scelga l’auto disciplina ma riconosca come opportunità la scoperta del desiderio femminile apre anche lo spazio politico per un conflitto e una relazione tra donne e uomini più fertile.
Ma serve, appunto, un percorso maschile che esca dalla dimensione individuale e produca politica. Cioè conflitto, riconoscimento reciproco, pratiche collettive.
Su questo, suo malgrado, la rete di Maschile Plurale ha un ruolo e una responsabilità. Chi ha scelto di costruire un percorso che si discosta dalle forme tradizionali della politica maschile e che quindi porta con sé una radicata diffidenza verso i modelli dell’appartenenza, della costruzione di gerarchie organizzative, di ricerca spasmodica di visibilità pubblica e proselitismo oggi si trova di fronte alla responsabilità di inventare forme diverse. Per dimostrare che l’alternativa non è la paralisi, l’afasia, il ripiegamento individuale.
Al richiamo collusivo di Berlusconi e al suo sogno asfittico del controllo del corpo delle donne e della loro disponibilità dobbiamo saper contrapporre una diversa idea di libertà. Ma per farlo dobbiamo trovare il coraggio e il desiderio di costruire parole comuni per dirla e viverla, insieme, anche nello spazio pubblico.
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