Il sesso del Cav è una questione politica
di Stefano Ciccone Pubblicato su “Gli Altri” 28.01.2011
Chi l’avrebbe detto che quando, come Maschile Plurale abbiamo scelto di tenere il nostro incontro nazionale sul nesso tra rapporti di prostituzione e immaginario sessuale maschile affrontavamo un tema che di lì a pochi giorni sarebbe stato al centro della politica italiana? L’uso da parte de Premier del proprio potere economico e politico per disporre liberamente di corpi femminili.
La politica, soprattutto il centro destra ma con molte eccezioni mirabili di sindaci “sceriffi” di centro sinistra, quando parla di prostituzione lo fa per alimentare campagne “d’ordine “ e xenofobe di ripristino del “decoro delle città”. Al contrario, se sei un uomo di potere che usa la cosa pubblica come propria, la polizia non ti farà la multa sulla tangenziale ma garantirà la scorta. Ma anche in questo caso, le ragazze coinvolte nel caso “Ruby” vengono invitate ad andarsene dai loro appartamenti di via Olgettina perché rappresentano un danno al “decoro” del condominio. Sei in salvo solo finché resti nell’ombra o nel cono di luce che ti associa al potente.
Ha ragione Pia Covre a denunciare la feroce ipocrisia con cui in questi giorni si calpestano le vite delle donne coinvolte. Lo stigma resta sulla prostituta, l’uomo con lei si “sputtana”, lei resta il ricettacolo della vergogna. La scissione di Berlusconi “buon padre di famiglia” nelle biografie recapitate a casa degli italiani e “puttaniere” di notte è lo specchio della scissione vissuta da 9 milioni di uomini italiani: non quella tra “puttane” e donne per bene ma tra una sessualità giocata al buio perchè inconfessabile e una nobilitata dall’amore coniugale e dalla finalità procreativa.
Sentite come suona diverso? “Gran puttaniere” è come “simpatica canaglia”, “puttana”,”troia” è una condanna senza appello, toglie ogni cittadinanza: come la Repubblica Italiana che, ridando il voto a tutti i “cittadini” ritardò un po’ a riconoscerlo anche alle prostitute.
Ma rifiutare di esprimere un giudizio morale sulle donne che scambiano rapporti sessuali in cambio di denaro o di opportunità di carriera, rifiutare di ridurle a vittime o complici deve voler dire distogliere lo sguardo, affermare l’insignificanza politica e culturale dell’uso del potere politico ed economico per disporre di corpi femminili?
C’è un’alternativa tra l’indignazione venata di moralismo e l’indifferenza che relega la sessualità (e dunque le relazioni di potere tra i sessi, le rappresentazioni di donne e uomini) all’insignificanza pubblica e politica?
Noi abbiamo detto (anche nel supplemento Queer che Gli altri ha proposto) che è necessario mettere al centro di una riflessione collettiva le forme della sessualità e l’immaginario maschile che sono alla base della domanda di prostituzione e farlo può divenire un punto di vista per rimettere in discussione l’asimmetria tra donne e uomini.
Asimmetria nel desiderio, asimmetria nel riconoscimento di soggettività e dunque nel potere. Perché potere, denaro e desiderio sono al centro non solo dei rapporti di prostituzione che si consumano nelle strade ma segnano le relazioni tra i sessi e le istituzioni di genere che regolano la nostra quotidianità. Un unico desiderio, un unico soggetto, quello maschile che esercita il potere sul mondo e sul corpo femminile essendo le donne ridotte a corpo muto, privo di un desiderio e di una sessualità autonoma. La dote (e il destino) delle donne è il corpo, la loro sessualità è sessualità di servizio, cura: quella che il premier invoca riferendosi alla sua necessità di relax dopo i propri impegni di governo.
Nella resistenza di molte e molti agli appelli di questi giorni c’è anche il sospetto che inseguano la speranza che dove non ha potuto il conflitto sociale, l’opposizione politica possa, come con l’arresto per evasione fiscale di Al Capone, una repentina ondata di indignazione, e che magari le gerarchie ecclesiastiche scarichino chi ha imposto leggi liberticide in nome della morale cattolica ora che è screditato.
Non mi convince però chi, sulla base di questo sospetto, afferma che non si tratta di una questione politica, che “ben altri” sono i motivi per cui Berlusconi dovrebbe cadere o che al massimo, il problema politico sarebbe la sua ricattabilità e dunque inabilità al governo conseguente dal continuo scandalo sessuale.
Anche questa esposizione di un uomo di governo al rischio ad andare in giro con un equivoco mediatore di favori sessuali, un giocatore d’azzardo e donne che scelgono (più o meno liberamente) di vendere prestazioni sessuali è paragonabile con gli uomini che chiedono alle prostitute di strada di fare sesso senza preservativo (quasi che la mediazione del denaro promettesse l’illusione dell’anonimato e dell’invulnerabilità, un preservativo simbolico).
No. Io credo non solo che la questione della rappresentazione dei rapporti tra i sessi e l’affermazione di modelli di genere siano pienamente politica. Ma anche che il consenso che Berlusconi continua a raccogliere non sia altro dal suo continuo richiamo a questi riferimenti. E la sua stessa aggressività misogina, le sue battute omofobe sono tutt’uno con la sua ostentazione di virilità bulimica.
Perché allora è oggi così difficile costruire non solo una riflessione ma anche un’iniziativa pubblica? Come mai non c’è una reazione? Perché, forse, quello di Berlusconi è un comportamento smodato ma tutt’altro che trasgressivo. In realtà il sogno a cui allude sembra corrispondere alla mediocrità dell’appiattimento del desiderio che propone e insegue. Quello che Christian Raimo definisce “democratizzazione del sogno erotico”.
Proprio in questa ambivalenza di “autoritarismo permissivo” o di trasgressione omologata sta la forza e la debolezza del Berlusconismo. Proporre un’idea asfittica di libertà che è “essere liberi di corrispondere a un modello tradizionale senza freni ma senza alcun margine di libertà per trasgredirlo”. Non a caso proprio il Premier delinea qual è lo spazio ristretto della propria trasgressione quando afferma che “è meglio amare (magari un po’ smodatamente) le donne che essere gay”. La trasgressione che ci propone il premier assomiglia molto a quella dell’adolescente che rutta o dice schifezze davanti alle ragazze per affermare la sua virilità sempre sotto osservazione e in attesa di conferma.
La trasgressione per gli uomini è sempre un obbligo, a patto che non metta in discussione i veri contorni della gabbia. I limiti della libertà, la trasgressione sono fissati nell’immaginario del bagaglino e di Alvaro Vitali, ma se sgarri dai canoni della virilità tradizionale la scure moralista è ferrea.
In che relazione è lo scenario di scambio soldi e potere per sesso con questo modello dominante di virilità?
Un manifesto delle donne del Partito Democratico esplicita in modo chiaro questo richiamo quando afferma che “un uomo ingovernabile e che non rispetta le donne non può governare”. L’esercizio della capacità di autogoverno e di autocontrollo è a fondamento dell’autorevolezza maschile nell’esercizio del governo al pari della sua vitalità sessuale come misura della sua intraprendenza politica.
Il dibattito apertosi sul rapporto del CENSIS sulla crisi di un “ordine del padre” nella nostra società rimanda a questa riflessione. Non a caso il CENSIS parla anche di crisi di desiderio e non solo di capacità di governarlo.
Tentando di agire come uomo un conflitto contro i modelli dominanti e tradizionali di mascolinità, sento sempre con un certo allarme il rischio di ritorno di una “nostalgia” per l’ordine del Padre. In cui i dirigenti politici e gli statisti avevano una dignità e un rigore. Forse, ad esempio, sarebbe utile capire quanto in quelle forme di rigore politico non ci fosse (solo) un esercizio di autodisciplinamento ma anche la percezione di essere dentro una rete di relazioni di senso, e non in quella autonomia separata della leadership che avrebbe dovuto garantire funzionalità alla politica.
E la pulsione del potere a svincolarsi dai limiti non è nuova e non è figlia necessariamente di una crisi del patriarcato. Credo sia stato significativo in questo senso che qualcuno in rete abbia richiamato il film di Pasolini “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. L’arbitrio, l’esercizio del potere senza limiti, la rimozione dell’altra come prima rimozione. La propria libertà come assenza di relazioni significative e di limiti. Il limite rappresentato dal desiderio e lo sguardo dell’altra che non è solo a servizio, il limite in ciò che posso avere e consumare. Il Foglio, più o meno consapevolmente, ha ricordato come l’arbitrio del premier sia contiguo a un immaginario del sultano, l’harem, le 77 vergini: corpi di donne mute e disponibili. la rimozione del desiderio e della sessualità femminile. Come ci ricorda però Fatima Mernisssi l’immagine di un Harem abitato da donne mute è una proiezione dell’uomo occidentale che non corrisponde alla narratrice delle Mille e una notte.
Al sogno rattrappito di un mondo di infinita disponibilità femminile preferisco quello più concreto (e certamente che trasgredisce l’ordine dominante), di un mondo abitato dal desiderio femminile. Non corpi muti a servizio di un bulimico e autistico, ma storie, sguardi, desideri di donne con cui mettere in gioco il mio desiderio. Sarà più faticoso ma non dovrò passare le mie serate con Emilio Fede e Lele Mora. E questo è già qualcosa che, anche se non potrà mai confessarlo, Berlusconi mi invidia.
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