Come cacciare il Sultano senza tenersi l’a.d.
Luca Casarini – il manifesto 10 febbraio 2011
Le compagne e i compagni che animano il percorso di uniticontrolacrisi a nordest, il 13 febbraio saranno nelle piazze delle proprie città. Il nostro slogan unisce Berlusconi a Marchionne e rivolge ai due insieme la perentoria richiesta che se ne vadano. La decisione di partecipare alla giornata di mobilitazione vuol essere un contributo a un dibattito pubblico composto di tante voci e sfumature. Il 13 febbraio cade nel contesto di un vasto movimento di opinione che comincia a rendersi visibile attorno alla richiesta di dimissioni del premier. Quando l’opinione assume fisicità e si organizza, siamo in presenza di una transizione, da rappresentati a coloro che vogliono rappresentarsi da sé, che manda in crisi il meccanismo di cattura dell’opinione tradizionalmente legato al sistema dei partiti. La movimentazione sociale che chiede le dimissioni di Berlusconi è frutto della crisi dei partiti della sinistra, non delle loro tattiche. Le persone disorientate che da un palasport a una piazza televisiva, davanti a un tribunale o dentro una fabbrica, si manifestano cercando ciò che non trovano più nella delega, vanno affrontate dotandosi di umiltà e determinazione, sentendosi parte dei destini e delle incertezze che vivono dentro questa spinta. I partiti dell’opposizione inefficace le rincorrono: come a Genova, vi ricordate? Lo fanno sempre in maniera scorretta, non c’è da fidarsi perché il loro problema è che l’avvento dell’opinione decisa ad autorappresentarsi ne mette in discussione gruppi dirigenti, organigrammi consolidati, potere personalizzato, procedure. Non si tratta di voler fare tutto da sé – il rapporto complesso tra tumulto e democrazia perfino l’Egitto ce lo mostra – ma di costringere partiti e politica a diventare altro, uno spazio percorribile del comune politico invece che «organizzazione privata».
La «rincorsa» disonesta si avvale di trucchi, come quello che vorrebbe consegnare il 13 febbraio a un antiberlusconismo possibile solo come sacralizzazione istituzionale, tale da giustificare Sante Alleanze che vanno dalla Chiesa ai fascisti neo rautiani di Fini a chi si definisce democratico. O il tentativo di far arretrare il dibattito di genere, trasformandolo in una disputa tra donne perbene e puttane, o tra maschi opportunisticamente rispettosi o sfacciatamente laidi, dimenticando che gli stupri si commettono tra le mura domestiche e che la questione della differenza sessuale, affrontata in maniera formidabile dal femminismo negli anni ’70, oggi è da reindagare all’interno delle categorie che segnano il passaggio da un potere a un bio-potere, un capitalismo che sussume l’intera vita e e si alimenta delle mutazioni antropologiche dell’essere umano.
Ridurre a moralismo la discussione sui festini di Arcore toglie di mezzo Marchionne: questo è il grande problema del Pd, che deve dire di no a Berlusconi, dicendo di sì al modello feroce di liberismo che l’a.d. della Fiat incarna. Ecco perché senza un’alternativa di società, l’opinione ridiventa carburante per il consenso dei partiti, e non può trasformarsi in qualcosa che cambia il nostro vivere collettivo. Quella che dalle notti del «vecchio flaccido» traspare con tutta la sua violenza è la diseguaglianza sociale all’ennesima potenza: milioni di euro buttati in faccia come sassi a chi non arriva a fine mese, a chi per un salario deve accettare di cedere diritti e dignità. Il possesso del corpo altrui è il disporre della vita altrui. E’ la ricetta di Pomigliano e Mirafiori, l’uso della crisi per precarizzare l’intero corpo sociale. La rendita finanziaria, dalla quale dipendono gli enormi guadagni di Marchionne e Berlusconi, descrive l’economia di questo sistema. Berlusconi non va banalizzato: svolta quando diventa imprenditore del lavoro cognitivo, trent’anni fa, e mette a valore tramite le sue televisioni le relazioni, i sogni, i desideri di una intera società. Non solo, li produce, li orienta, li trasforma. Coglie fino in fondo la potenza produttiva della comunicazione nell’organizzare la nuova società dei media e dell’informazione. Elementi da tardomedioevo si mescolano, financo nelle biografie di questi nuovi capitalisti, a quelli legati alle visionarie e tecnologiche interpretazioni del futuro; proprio come accade con Marchionne, il top manager con il maglioncino, che unisce abilità di broker ad avidità di vecchio rentier, facendo credere di vendere auto. Dire no a Berlusconi e a Marchionne nelle piazze del 13 può aprire confronto e dibattito. Abbandonarle le consegnerebbe al teatro di operazioni politiche e culturali che non indicano alternative, se non persino peggiori dell’esistente.
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