Uomini e no
Il Lele Mora ch’è dentro di me
Christian Raimo – il manifesto 12 febbraio 2011
Sembra che per almeno una settimana, anche nel discorso pubblico, si parli di politica, si faccia teoria, si discuta di idee… La manifestazione indetta dalle donne per domenica è passibile di mille critiche, e certo ha a che fare con l’emergere di un impegno e di una riflessione carsiche e non con l’illuminazione sulla via di Damasco di donne che «dicono basta», ma forse proprio per questo sta avendo il merito – all’interno di un’opinione mainstream qurisucchiata dall’indignazione a comando o dall’abitudine al cinismo – di dare la stura a un dibattito vivo intorno ai corpi, ai desideri, ai modelli di vita, ai rapporti tra i generi e tra le generazioni.
In piazza saranno in molte, dalle femministe di prima seconda e terza generazione a chi semplicemente non vuole assomigliare a una vergine da sacrificare al Drago. Su facebook questo ha significato per migliaia di donne rivendicare un canone femminile alternativo, attraverso un semplicissimo gesto: sostituire alla foto del proprio account un’icona della femminilità diversa da quella propalata da starlette dalle labbra rifatte. Da Ipazia a Simone De Beauvoir, da Cristina Campo a Alda Merini a Margherita Hack.
Che c’entro io? Da maschio ho riflettuto a mia volta su quale immagine avrei messo a contrappuntare il mio profilo. E ho pensato che dal brodo di quest’esplosione italiana di oscenità pubblica e di relativo sdegno sarebbe bello se scaturisse l’occasione non solo per rivendicare la propria vilipesa parte migliore, ma anche per fare i conti con la propria oscena parte peggiore. Insomma, se da una parte io posterei sul mio account la fotina di John Cassavetes o David Foster Wallace o Paul Ricouer o chissà quale altro eroe culturale, dall’altra ci piazzerei il faccione di Lele Mora. Lele Mora, sì. Cosa vorrei che mi accomunasse a Cassavetes, Wallace, Ricoeur non è importante; più significativo, credo, è quello che invece mi rende simile a Lele Mora, a Berlusconi, a Corona, a Bartolo…
Apparentemente io e Lele Mora siamo distanti anni luce. Siamo esemplari di due contesti italiani coesistenti ma impermeabili tra loro. Due universi distinti. Abbiamo visioni opposte del mondo, della morale, apparteniamo a due classi sociali che non si toccano, non abbiamo nessuna amicizia in comune, disponiamo di conti in banca incommensurabili… Ecco: gran parte delle manifestazioni antigovernative degli ultimi mesi e anni, tutto l’antiberlusconismo morale, di stile, di gusto, di decenza, di genere, ha confermato questa partizione: c’è un mondo di Minetti e Lele Mora da una parte e poi c’è un altro mondo, con altri valori e altro stile dalla parte opposta. I degni e gli indegni. Gli stilosi buoni di cuore e i cafoni.
La fotografia dell’Italia che vien fuori dai Palasharp, dagli elenchi tv di Saviano e Fazio, dalle paginate di appelli contrapposti sui giornali, e speriamo non anche dalla manifestazione di domenica prossima, rischia di assomigliare a questo schema. Uno schema che magari ci dà la possibilità di rendere denso un sentire comune – offeso dallo schifo dei bunga bunga e delle polverine nei bicchieri – ma non si rivela molto utile né a capire la realtà che ci circonda né a contrastare veramente il berlusconismo culturale e Berlusconi in sé.
Perché io e Lele Mora qualcosa in comune ce l’abbiamo, devo ammetterlo. Io e Lele Mora siamo due consumatori. Alle volte due consumatori compulsivi. Di quelli che guardano il consorzio umano come un catalogo di Postal Market. E se lo stile di Lele Mora lo conosciamo ormai dalle intercettazioni delle olgettine, forse è il caso che vi racconti quello che potrebbe essere il mio, in una settimana come un’altra.
Io potrei, per esempio come ieri suggeriva Repubblica per San Valentino, comprarmi l’application Love Vibes per Iphone, che consente di ricevere un giudizio sulla propria prestazione amorosa (http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/02/07/news/app_san_valentino-12166419/?ref=HRERO-3). Potrei fare una pausa in ufficio e scaricarmi dal Corriere.it il video settimanale di Novella Duemila che mi fa sapere che Belen ha superato la Canalis nelle preferenze dei lettori (http://video.corriere.it/belen-scavalca-canalis/509ad882-3462-11e0-89a3-00144f486ba6). Potrei rivedermi ancora una volta sul sito della Stampa (http://multimedia.lastampa.it/multimedia/in-italia/lstp/19483/) le 19 foto di Sara Tommasi (una vestita da infermiera, una a tette all’aria, una versione segretaria, una in cui lecca ammiccando una paletta sporca di gelato, una in cui dà un bacio lesbico a una bionda…). Oppure potrei leggermi la rassegna stampa a firma Beatrice Borromeo sul Fatto quotidiano, (http://ilfattoquotidiano.it/blog/BBorromeo/), articoli che mi sembrano sempre scritti da una modesta penna liceale e domandarmi ma perché ci sono così tante mie coetanee brave giornaliste che conosco che non scrivono al posto suo; e così, saltando senza pensare da un sito all’altro su internet, potrei finire con lo spizzarmi un po’ di sue foto in pose sexy , e poi girare da un sito all’altro in cerca di altre celebrities. Oppure semplicemente telefonare al numero che ho trovato sul Messaggero di «massaggi integrali fatti da un italianissima». Oppure ancora, sempre prendendo spunto dai suggerimenti di Repubblica e Corriere, decidere di iscrivermi a siti di incontri on-line, a parship.it, a meetic.it… E avere ogni giorno da sfogliare migliaia e migliaia di profili di «donne che ti vogliono conoscere!» e alle quali «il mio profilo è piaciuto moltissimo!». O scattare un po’ di foto al mio uccello e iscrivermi a un sito di annunci erotici come AdultFriendFinder (in Italia come me l’hanno fatto sette, otto milioni di persone). O accettare il fatto di essere stanco e masturbarmi davanti a youporn.
Dopo aver passato la settimana feriale in questo modo potrei anche andare domenica a manifestare per la dignità delle donne. Dopo un brunch con le amiche dalle parti di San Silvestro, sperando nella bella giornata. Ma, svolto il mio dovere civico, vorrei esprimere un desiderio: vorrei che su quel palco salisse, per esempio, nella «quota immigrati che per la political correctness non manca mai», non, come pare che sia, una donna medico congolese che ha avuto riconoscimenti dal presidente della Repubblica in persona; ma una casalinga del Maghreb bocciata all’esame di lingua italiana sostenuto per vedere prolungato il suo permesso di soggiorno, o una puttana nigeriana, o persino l’ultimo camionista ucraino che ha contrattato sul prezzo per farsela. In realtà, mi spiace molto ammetterlo, alle volte ho molto più in comune con loro. Con quelli che sanno, come dire, di non stare dalla parte migliore.
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