Ott 2010 “Relazione introduttiva” ai lavori
dell’incontro pubblico di Domenica 10 Ottobre.
“Desiderio maschile nella Prostituzione e nella Tratta”
di Alessio Miceli
Dopo una giornata di lavori “interni” alla quale hanno partecipato almeno una trentina di uomini, si è concluso Domenica 10 Ottobre con un incontro pubblico, aperto alle associazioni che operano a vario titolo sul tema della prostituzione e della tratta.
Sunti degli interventi dei e delle rappresntanti delle Associazioni si possono leggere qui.
“Relazione introduttiva” ai lavori
dell’incontro pubblico di Domenica 10 Ottobre
Grazie alle Associazioni di essere qui, di avere risposto all’invito di Maschile Plurale. Vediamo come si può riportare il nostro lavoro, che è complesso, però secondo noi merita già uno scambio.
Il percorso che vi propongo, per poi lasciare spazio alla discussione, parte dalle domande che noi stessi ci siamo posti, già nel documento di presentazione dell’incontro.
Vorremmo porre queste domande anche pubblicamente, a partire da noi stessi per iniziare e poi ad altri uomini nella società. E poi vedere se questo nostro approccio al mondo maschile incontra quello delle Associazioni che lavorano sul tema della prostituzione e della tratta.
Quindi riprendo brevemente le nostre domande principali, tratte dalla presentazione.
Per prima cosa, c’è un terreno comune tra chi è cliente e chi non lo è? E c’è un immaginario della sessualità maschile come forma di dominio? Il che potrebbe essere un terreno comune tra clienti e non clienti, o comunque una cultura in cui si radica la domanda maschile di prostituzione.
Anziché lasciare questa domanda sui clienti soltanto agli addetti ai lavori, agli esperti del settore, magari in chiave di medicalizzazione, psicologizzazione, ecc, l’idea è quella di estendere la domanda all’intera parte maschile della società, soprattutto sul proprio immaginario sessuale.
Seconda domanda: possiamo, però, riconoscere forme diverse della sessualità maschile, che forse coesistono e confliggono con la sua forma dominante, anche in noi che ne parliamo?
Pensiamo ad altre possibilità del nostro essere maschi. Sono immagini ed esperienze di relazioni libere e non violente tra uomini e donne, di riconoscimento e di rispetto degli orientamenti affettivi e sessuali di ogni persona.
Come abbiamo lavorato, rispetto a queste domande fondamentali?
Abbiamo cominciato a porre a noi stessi, nei vari gruppi locali e come Associazione nazionale, queste domande sulla cultura maschile della sessualità. Ci sono state discussioni di gruppi in diverse città, a Roma, Bari, Napoli, Verona, Torino, Pinerolo.
E poi qui a Torino, nel nostro incontro di ieri, i gruppi locali hanno riportato le loro riflessioni, la cui particolarità è anche quella di parlare di sé, e non soltanto di oggettivare questo discorso e quindi distanziarlo da sé stessi.
Molto si è detto sul piano dell’immaginario sessuale. Quindi non importava soltanto direttamente l’eventuale contatto con prostitute, quanto le nostre fantasie, quella cultura che sostiene poi il fatto di andare con le prostitute.
La mattina è stata dedicata a queste relazioni dei gruppi che penso di potervi riportare, perché erano già in una forma servibile per un racconto.
Invece nel pomeriggio abbiamo avuto uno scambio in piccoli gruppi, più in soggettiva, in una forma più vicina all’autocoscienza, perché ognuno si potesse esprimere rispetto a quegli argomenti: quindi una materia magmatica che non riesco a riportarvi, su cui riflettere molto di più.
Vi riporto quindi il materiale relativamente più strutturato delle nostre discussioni, che parla del nostro immaginario sessuale maschile, cioè a partire da noi stessi, e che vorrebbe illuminare qualcosa da far diventare discorso pubblico. Ovvero come un certo immaginario possa segnare una contiguità tra chi sceglie di andare con delle prostitute e chi sceglie di non andarci.
E poi vorremmo verificare con voi, in una seconda parte, se questo nostro approccio alla cultura maschile della sessualità, qualora diventi parola pubblica, possa incontrare il vostro lavoro: i vostri progetti con le prostitute, con le donne sotto tratta, o anche con la prostituzione maschile.
Entro in quello che i gruppi locali hanno raccontato e condiviso ieri con tutti gli altri presenti.
Cominciamo dal contatto con la prostituzione e dai motivi che porterebbero a questo contatto da parte di uomini (teniamo conto che la stragrande maggioranza della domanda di prostituzione è maschile).
Intanto si toccava questo nodo della intimità, si diceva: “Sesso a pagamento, domanda maschile di sesso a pagamento per evitare l’intimità autentica, per salvaguardarsi da una relazione vera di intimità”. O anche, al contrario, si parlava di “una domanda di intimità male direzionata, malposta”, cioè fittiziamente indirizzata a una prostituta, finzione che normalmente va a cadere, difficilmente sostenibile. Quindi, nella relazione domandata dagli uomini alle prostitute, un nodo è nell’evitamento dell’intimità, oppure in una sua richiesta fittizia.
Poi ci si chiedeva, anche in questo sistema della prostituzione, nell’incontro reale con queste donne, o transessuali o uomini (dato che la domanda maschile è anche di prostituzione transessuale e, pur in misura molto minore, di prostituzione maschile), quanto si incontri appunto la persona, quanto e quale spazio ci sia o meno per una relazione interpersonale.
Questo discorso si sviluppa anche nella questione dei clienti, che possono favorire percorsi di uscita delle donne che incontrano sotto tratta, ma bisogna vedere a quali condizioni.
Poi si parlava dello “stigma, di questo senso di sporcizia verso chi si prostituisce”, delle “prostitute come discarica, come cloaca” – come diceva già san Tommaso –, quindi della percezione sociale delle prostitute come posto dove scaricare la propria sporcizia, ovvero i propri istinti e comportamenti sessuali.
Quindi gli uomini si potrebbero mantenere puri in quanto troverebbero in società questo posto dove discaricare la propria sporcizia, i propri liquidi, il proprio sperma. Si parlava anche di azioni di disprezzo verso le prostitute, come andare a far loro dei gavettoni con delle buste piene di pipì. Quindi, anche fisicamente, le prostitute sarebbero un luogo di discarica maschile dei propri liquidi, portatori di un vissuto di sporcizia della propria sessualità.
Naturalmente si parlava anche del nodo potere/denaro, che in prima battuta sembra essere potere di chi paga, per il fatto stesso che ha il denaro con cui pagare la prestazione sessuale. Ma la discussione è forse più complessa.
Rimane questo valore del denaro come strumento di potere, che compra il corpo dell’altra, la sua prestazione come compra una merce, quindi questo valore di mercificazione, di oggettificazione dell’altro.
Anche in questo, però, per non tagliare con l’accetta, bisogna riconoscere che c’è una contrattazione e poi c’è uno scambio materiale dei corpi. Si parte dal presupposto del denaro, ma poi i corpi si incontrano e possono succedere altre cose.
Un altro nodo che si toccava era quello della morale sessuale, anche segnata nel nostro paese da certo cattolicesimo conservatore, da certo moralismo, familismo, ecc… contro la possibilità di una libera scelta, anche “disimpegnata”, delle proprie relazioni sessuali come relazioni di gioco e di piacere e non per questo amorali o necessariamente immorali.
In questo quadro, rimane anche da chiederci come mai quasi tutta la domanda di prostituzione sia da parte di uomini, nell’ordine di alcuni milioni. Cosa c’è, dunque, nella domanda maschile di prostituzione? Cosa può contenere questa domanda così diffusa tra i maschi, probabilmente di culturalmente costruito (e quindi di estensibile nel discorso pubblico), che in qualche modo noi stessi possiamo riscontrare in quanto uomini di questa società, ciascuno a livello delle proprie fantasie e delle proprie immagini?
Soprattutto ci interessa, nel metodo di questo discorso, come per i nodi che riportavo prima, il fatto che la domanda di prostituzione porta a parlare di altre dimensioni “normali”.
Si inizia parlando di prostituzione e si finisce per parlare di asimmetria tra uomini donne, di potere nelle relazioni, di chi ha denaro e chi non ne ha, del bisogno sessuale dell’uno e dell’altra (che nei maschi sarebbe irrefrenabile, “naturale” e quindi da qualche parte lo si deve collocare)…
E quindi si vede, per il tramite della prostituzione, che ci si porta a parlare delle relazioni tra uomini e donne, tra persone.
Qualcuno diceva che la prostituzione può servire a tranquillizzarsi, perché attraverso il pagamento, attraverso il denaro, si esce fuori dall’ambito del giudizio, della prestazione. Non si viene giudicati, non si viene rifiutati, c’è un contratto in cui si compra qualcosa e basta (anche se poi nella realtà della relazione non è esattamente così). Quindi una forma di uscita dall’ambito del giudizio e, di più, da tutto ciò che una relazione a tutto campo richiederebbe.
Poi c’è forse la fatica, nelle relazioni più stabili, a confrontarsi con la propria compagna o moglie sulle fantasie sessuali o sulle pratiche sessuali.
Di fronte a questa difficoltà di confrontare le proprie fantasie, ci può essere questo “scarto di lato” rispetto alla propria relazione stabile, questa necessità da parte di molti uomini di avere altri incontri, appunto affrancati dal giudizio e senza incontrare la possibilità del rifiuto o l’alterità appunto dell’altra persona.
Poi quando si incontrano davvero le prostitute, si parla della caduta di alcuni stereotipi, da parte di qualcuno che con Associazioni come le vostre ha fatto unità di strada, è andato a vedere e a fare delle azioni.
Si riportava il fatto di incontrare delle ragazze molte volte “normali”, per esempio dell’Est, romene, moldave, ecc, che vivono quel loro momento di prostituzione anche come un progetto lavorativo che le liberi da altre forme di sfruttamento economico molto più durature. Per queste ragazze può essere fare la prostituta per un anno, accumulare dei soldi, tornare nel proprio paese, comprare una casa o fare qualcosa di diverso da prima.
Quindi da parte di alcuni uomini che hanno avuto queste esperienze c’è la riflessione di avere incontrato persone molto diverse da quelle che ci si aspettava nel ruolo delle prostitute, e la possibilità di riconoscere nel loro percorso anche una liberazione da altre forme di sfruttamento.
Rimangono però, da parte di tanti uomini, questi comportamenti che dicevo prima di disprezzo, di sarcasmo, di insulto. Rimane il fatto di avere nelle prostitute dei facili obiettivi su cui sfogare la propria voglia di aggredire, di offendere, di colpire.
Quello che nella fantasia sessuale diventa a volte fantasia di dominio, appunto di “prendere una donna che faccia tutto quello che vuoi tu”.
C’è anche l’iniziazione degli adolescenti, l’idea abbastanza normale (almeno fino a qualche tempo fa) che la sessualità per i maschi inizi così, con l’andare dalle prostitute magari in compagnia di maschi più grandi che li introducano a questo mondo.
Rispetto a tutto questo, bisogna anche non tacere il rapporto padri-figli, che alcuni riportavano come “un vuoto di accompagnamento rispetto alle forme della nostra sessualità”, al pensiero e alla cultura della sessualità.
Dunque una sessualità maschile lasciata a se stessa, pensata come un impulso, un bisogno fisiologico sfrenato e incontrollabile, questa “potenza naturale” che agirebbe i maschi dal basso.
In molti diciamo che anche questa è rappresentazione, un modo di intenderla, e anzi, che proprio questo modo di intendere la sessualità maschile, questa sua “naturalizzazione”, può diventare giustificazione del fare qualunque cosa, senza responsabilità di ciò che si fa.
Quindi ci sarebbe un rapporto padri-figli spesso di non accompagnamento alla sessualità degli adolescenti maschi. Qualcosa come un vuoto fisico, del non essere accanto ad un adolescente in certi momenti per lui importanti. E’ anche un vuoto emotivo e di parola, del non avere capacità di ascolto e parole per dire queste cose, probabilmente perché anche nella propria vita adulta molte volte non si sono maturate “le parole per dirlo”.
Così, in questo vuoto di accompagnamento, sarebbe ancora lì un vissuto di paura, svalutazione, vergogna, tabù della sessualità, a fronte della amplissima offerta sessuale nelle forme della prostituzione e della pornografia.
Dunque da una parte c’è la possibilità di agire la propria sessualità, anche con le prostitute, e anche di essere immersi in questo brodo di coltura della pornografia, in cui le immagini della sessualità viaggiano dovunque le possiamo vedere, comprare, consumare.
Però questa facile fruizione della pornografia o della prostituzione non toglie la paura della sessualità, in una cultura che al di là del consumo non le assegna un posto, che non sa bene come pensarla, come trattarla. O non lo vuole fare.
Rimane quindi un grande interrogativo sul desiderio maschile. In questo vissuto e in questo pensiero della sessualità maschile, come decliniamo e come viviamo il nostro desiderio?
Se è vero che in molti uomini c’è paura del desiderio, a partire dal proprio, qualcuno diceva che “questa paura tende a smorzarlo, prevenirlo, negarlo, sostituirlo con un desiderio standardizzato, omologato, in cui non si rischia niente”. Ci si adatterebbe alle rappresentazioni correnti e rispetto a questo può ritornare l’uso della prostituzione o dell’immaginario pornografico.
Ma uscendo da questi pacchetti preconfezionati, il desiderio si potrebbe dire desiderio di che cosa?
Desiderio di riconoscimento, desiderio di amore, di imprevisto e di imprevedibile, cioè desiderio di una libertà nella relazione (e non dalla relazione). Desiderio di una relazione libera, che corre anche il rischio del rifiuto, che corre il rischio dell’incontro e dell’alterità che c’è appunto nella relazione.
Non correre questo rischio, non riconoscere questa profondità, questa dismisura del nostro desiderio, vuol dire non riconoscere il proprio e neanche quello dell’altra o dell’altro a cui siamo di fronte.
Questo mix, di disconoscimento da parte di molti uomini del proprio e altrui desiderio, e di forte domanda e offerta di sesso e immaginario sessuale preconfezionato (o che rispecchia quello esistente, ma in una maniera molto rigida, conservativa), comporta che nella nostra società maschile ciascuno può essere un potenziale cliente. Perlomeno dal punto di vista delle fantasie sessuali, che stanno in questo quadro sociale, ciascuno può avere un terreno comune con chi decide di agire queste fantasie.
Ma forse è importante fare questo passo indietro, a questa cultura di riferimento, e riportarla anche nel discorso pubblico.
Nel metodo, si parlava anche di come discutere con i clienti delle prostitute, di tutti questi contenuti.
Probabilmente è molto importante non giudicare in partenza, perché altrimenti non solo non si conduce quella relazione, ma soprattutto non si va avanti mentalmente ed emotivamente rispetto a ciò che tanti uomini esprimono.
Quanti uomini, poi? Due milioni, quattro, cinque,o nove o dieci? C’è un problema di incertezza dei dati, anche se gli addetti ai lavori ne discutono nell’ordine dei milioni..
Quindi si diceva dell’importanza di discutere senza un pre-giudizio morale.
Ma discutere anche senza quella indifferenza che porta a dire, in nome di un certo liberalismo: “Che problema c’è? Se sono adulti e consenzienti e si paga, è un fatto di mercato, se le persone sono d’accordo va bene così”.
Anche questa forma di indifferenza non ci riguarda granché. Si può capire questa idea di un accordo tra persone adulte, qualora non ci siano forme di schiavismo, però molti di noi rimangono distanti da questa idea di libertà nei consumi, come andare al supermercato.
Entrare proprio nel merito di questa esperienza, della domanda maschile di prostituzione, al di là della scorciatoia del pre-giudizio morale o di una idea di libertà che si limita ai consumi, ci sembra richiedere altri passaggi.
Ovvero ci poniamo, ancora una volta, la domanda di qual è l’immaginario sessuale maschile, che sostiene il fatto di essere clienti di prostitute.
E poi vorremmo parlare della responsabilità dei clienti, cioè del chiedersi chi c’è dall’altra parte, se c’è una persona che può scegliere liberamente il proprio comportamento sessuale e di prendere soldi o meno, oppure se vi sono situazioni di schiavizzazione, quindi tutto il tema della tratta.
Riporto ancora qualche testimonianza della propria esperienza, da parte di uomini della rete di clienti ed ex clienti di donne in regime di tratta (Progetto Ragazze di Benin City).
La voce che sempre mi colpisce, nel discorso di questi uomini, è quella che riporta il loro stigma. Cioè i clienti (o ex) dicono di come socialmente ci sia questo marchio negativo su di loro, in genere pre-giudiziale.
Da una parte questo “ci sta”, ovvero si può comprendere facilmente, dato che raccontano esperienze forti sulla pelle di donne, che sicuramente quando sono sotto tratta l’hanno pagata in un modo molto pesante. Però questo stigma corrisponde anche, probabilmente, alla necessità di mettere su qualcuno la negatività, anche quando questo qualcuno ti sta raccontando l’emersione di una esperienza molto importante. Le due cose vanno insieme.
I clienti (o ex) sono persone che si raccontano, che quantomeno portano sulla scena quello che normalmente è osceno, cioè è fuori scena, lo mettono lì come argomento di discussione, e tu stai entrando nella loro vita. A fronte di questo, naturalmente si sollevano delle emozioni anche negative. D’altra parte, se queste emozioni che si sollevano ricadono soltanto in uno stigma, si richiudono su se stesse, il discorso è finito prima di iniziare.
Rimangono forse alcune domande che bisognerebbe farsi, nell’incontrare l’esperienza di clienti (o ex).
Una prima domanda riguarda la quantità di clienti in Italia (si contano le persone, o “i contatti”?), che è comunque nell’ordine dei milioni di persone. Questo dice di un fenomeno di massa e rimanda a quella cultura di cui parlavamo.
E poi qual è l’immaginario, quali sono le richieste e le aspettative dei clienti, che effettivamente si rivolgono alle prostitute?
E ancora, qual è l’impatto con la tratta? Lì entriamo in un terreno molto difficile, perché c’è questa proiezione di sé stessi che alcuni clienti raccontano, come di essere dei “salvatori” delle donne che aiutano nei percorsi di uscita dalla tratta.
Effettivamente si registra il fatto, importante, che alcune donne escono grazie ad ex clienti, e poi magari ci sono delle relazioni che non sono più comprate, nascono anche dei matrimoni e delle famiglie miste e così via.
Il margine di ambiguità di queste esperienze, che viene raccontato anche sinceramente da alcuni ex clienti, è quello che però si apre quando queste donne non hanno soldi, non hanno documenti, non hanno cittadinanza, non hanno…
Rimane quindi un elemento di sbilanciamento tra lei e l’ex cliente, di asimmetria e quindi di possibile potere di lui su di lei, di questo nuovo riferimento della donna.
In una discussione pubblica un ex cliente diceva, con grande sincerità: “Per molti ex clienti, sposare la ragazza di cui si sono innamorati è come portarsi a casa la propria prostituta”.
Questa frase mi è rimasta impressa, perché ci mostra un’ambiguità importante di quella esperienza. Cioè è vero che quella donna potrà uscire con quell’uomo dalla situazione di tratta in cui si trovava, ma il rischio è che poi ritrovi in lui “un padrone buono”. E poi, quando quella esperienza finisce, come altro si mette quella relazione?
Quindi, la questione diventa più complessa. Per comprendere come impatta l’esperienza dei clienti ed ex clienti sulle donne sotto tratta, se possibile, bisogna entrare nel merito delle loro relazioni. E vedere quanto ci sia ancora l’uso di una schiava da parte di un padrone, e invece a quali condizioni possa diventare una relazione di liberazione dell’uno e dell’altra.
Ultima cosa, la prostituzione transessuale, di cui in genere si parla poco.
Qualcuno riportava nella discussione la necessità di prostituirsi delle persone transessuali, per operare la propria trasformazione sessuale. Può esserci una necessità di denaro, molto denaro subito, per gli interventi da fare.
Oppure ci può essere la necessità di prostituirsi per accedere al lavoro, a volte l’unico accesso possibile per loro.
E questo pone una domanda in più, su una fascia di persone prostitute che sono molto visibili nelle strade, ma che noi non vogliamo vedere normalmente come forma della prostituzione.
Vado a chiudere.
Personalmente sono rimasto stupito, a rileggere questi contenuti del nostro lavoro di ieri e che vi ho appena riportato, di quante cose ci siano in questo tema e quanto siano espunte dal discorso pubblico, almeno da quello circolante.
La domanda che adesso rilancio a voi, che siete qui per le vostre Associazioni, è come questi materiali e questo modo della discussione potrebbero stare a quello che fate voi.
Ci chiediamo se il vostro approccio di servizio negli ambiti della prostituzione e della tratta, e il nostro approccio alla cultura della sessualità maschile, possano convergere.
Forse lo strumento potrebbe essere quello di un convegno, nel 2011, in cui mettere insieme questi aspetti.
Commenti recenti