Mag 2011 “Ma le donne no. Come si vive nel
Paese più maschilista d’Europa”
di Caterina Soffici, Feltrinelli, Milano 2010,
letto da Beppe Pavan
Il libro di C.Soffici è la continuazione ideale di quello di Lorella Zanardo Il corpo delle donne: documenta criticamente la prepotenza maschile e l’omologazione femminile di questi nostri giorni; e mette a confronto la situazione italiana con quella di altri Paesi. In Spagna, ad esempio, “la stessa legge [del 2004 – prima legge del governo Zapatero] introduce l’Educazione all’eguaglianza tra uomini e donne come materia curriculare. E’ prevista anche l’aggiunta, in tutti i Consigli Scolastici, di un nuovo membro che promuova misure educative volte a questo scopo” (pag. 133).
Questo dell’educazione all’eguaglianza e al rispetto di tutte le differenze è un tema decisivo. Più che farne una materia curriculare a sé, penso che l’educazione all’eguaglianza debba essere trasversale a tutte le materie. Non solo: è fondamento della democrazia, quindi dovrebbe essere inserita nei programmi di tutte le agenzie formative, dalle chiese ai sindacati, dalle scuole di ogni ordine ai partiti, per renderla trasversale a tutti i luoghi del governo e dell’amministrazione dei beni pubblici. Superando, quindi, la figura dell’esperta/o in pari opportunità.
Cosa significa “partire da sé”
“In Francia, e recentemente anche in Germania, si aiuta la donna perché non abbandoni il lavoro a causa del fattore M [maternità]. Non è un caso che entrambe le riforme in questo senso siano state caldeggiate e introdotte da ministre con molti figli: quattro la francese, sette la ministra tedesca Ursula von der Leyen”. In Italia, che pure ha una legge a tutela della maternità in certi casi più garantista che in altri paesi, vincono le preoccupazioni degli imprenditori, che ogni cosa valutano in funzione del profitto. Secondo loro, infatti, “le lavoratrici sono meno disponibili e fanno molte assenze per malattia del bambino. Questo giustifica stipendi più bassi degli uomini e uno scarso successo nella carriera” (pagg 154-155).
Mi viene spontaneo pensare che, se politica e governi fossero abitati in modo più democratico da chi è sotto-messo/a al desiderio del più forte, avremmo leggi più democratiche e saremmo capaci di pratiche sociali più convi-viali e rispettose. Solo a partire da sé donne e uomini conquisteranno capacità di rispetto reciproco: ecco dove sta la democrazia, secondo me.
Il fattore “P” – La paternità e i tempi degli uomini
E’ il titolo del capitolo 7, che si apre raccontando nel dettaglio le politiche familiari introdotte in Germania dalla ministra Ursula von der Leyen, madre di 7 figli. Lei sa che “per mandare avanti una famiglia ci vogliono soldi. Quindi occorre dare soldi alle famiglie… potenziare gli asili-nido… e costringere gli uomini a prendersi le proprie responsabilità. (…) Quello che deve cambiare è la mentalità, dice. ‘Oggi le donne giovani vogliono professione e bambini. Desiderano partner che si prendano le stesse loro responsabilità su entrambi i fronti: il dilemma è che non trovano giovani adatti, perchè i maschi rifiutano questo doppio ruolo. I giovani padri che vorrebbero essere più presenti nell’educazione dei bambini suscitano ancora scherno e ironia da parte dei colleghi […] “.
L’altra gamba della grande riforma di Ursula si chiama ‘denaro per i genitori’. (…) Hanno diritto a ricevere l’indennità di maternità (o paternità) sia le mamme sia i papà per un periodo totale di 14 mesi. Madri e padri possono alternarsi nella cura del bambino, ogni genitore però non può rimanere a casa più di 12 mesi e questo è fatto per incoraggiare i padri a farsi avanti. Il ‘denaro per i genitori’ corrisponde al 67% dell’ultimo stipendio netto (il doppio che in Italia, anche se meno che nei paesi scandinavi dove oscilla tra l’80 e il 100%). Grazie a questi provvedimenti, entrati in vigore il 1/1/07, la Germania ha invertito il trend e la natalità è tornata lentamente a crescere. I padri che hanno preso un periodo di paternità sono triplicati e la stessa ministra ha ammesso che non si aspettava una rivoluzione di questa portata, soprattutto culturale. ‘Ha avuto l’effetto di una bomba negli am-bienti di lavoro maschile’, dicono i consulenti del lavoro. ‘Dieci anni fa, per gli uomini la questione non si poneva, oggi sempre più spesso durante la contrattazione chiedono tempo per i figli […] “.
La Norvegia è stato il primo paese a introdurre la paternità obbligatoria (10 settimane al 100% oppure 12 all’80% dello stipendio). A ruota tutti gli altri paesi scandinavi hanno introdotto legislazioni dello stesso tenore. In Danimarca i mesi sono 6 al 100% e altri 6 al 90%. In Finlandia è consentito per gli uomini un congedo di 26 settimane, durante le quali percepiscono un assegno di paternità: nel 2000 fu addirittura l’allora primo ministro Paavo Lipponen a usufruirne.
In Svezia il congedo parentale consiste in 16 mesi da dividere a scelta tra i due genitori (di cui 60 giorni sono di ciascun genitore e non possono essere ceduti all’altro). I padri sono incentivati da un bonus economico che è massimo quando i genitori dividono esattamente a metà i giorni a disposizione (8 mesi per uno). Inoltre i genitori hanno diritto a lavorare part-time fino al compimento degli 8 anni del bambino […] “.
In Gran Bretagna i papà possono prendere 18 settimane, fino ai 5 anni. (…) In Francia la legge sulla paternità è stata partorita dalla ministra della Famiglia Ségolène Royal nel 2002 e permette agli uomini di assentarsi per i primi 14 giorni a stipendio pieno. (…) Gli ultimi dati disponibili (2005) raccontano che il 73% dei padri tra i 30 e i 34 anni ha usufruito del permesso. La percentuale scende al 58% nei padri over 35. Dopo l’entusiasmo iniziale, negli ultimi anni c’è stata una nuova contrazione nel numero delle richieste, ma la legislazione familiare è rimasta in vigore […] “.
I sondaggi dicono che al 57% degli uomini italiani piacerebbe, potendoselo permettere, prendere un congedo dal lavoro per occuparsi dei figli. E il 53% delle donne interpellate risponde che sarebbe felice se il marito facesse una scelta del genere. Tra i desideri di quel 57% e la realtà c’è l’abisso. Pochissimi, anche volendo, lo possono fare perchè la stragrande maggioranza dei padri guadagna più delle madri. Inoltre ormai i contratti a tempo indeterminato tra i giovani sono molto rari e le altre tipologie di contratto non lo prevedono. Ma, soprattutto, culturalmente e socialmente chi prende un congedo familiare è malvisto dai colleghi e mette a rischio la propria carriera […] “.
In Italia tra un uomo e una donna c’è ancora una differenza di 81 minuti e mezzo… 81 minuti e mezzo è la quantità di tempo libero e di svago che un uomo italiano ha in più ogni giorno rispetto a una donna… Cosa faccia il maschio adulto italiano in questi 81 minuti e mezzo è presto detto: soprattutto guarda la televisione. Poi si dedica anche ad altre attività: sport, palestra, hobby, giochi al computer, navigazione su internet, conversazioni al telefono, partecipazione a feste o eventi, uscite con gli amici, serate al cinema, a teatro, happy hour, stadio, cene di lavoro… Il maschio italiano è quello che a livello europeo si occupa meno delle questioni domestiche. Sono maschi cresciuti da madri che li trattano da sultani e quando diventano adulti pretendono lo stesso trattamento dalle proprie mogli e compagne” (pagg. 171-192).
Basta poco così…
Lo dicevamo a Torino a ottobre, nell’incontro di Maschile Plurale, parlando di desiderio maschile e prostituzione: le fantasie erotiche sono le stesse… il passo è brevissimo tra limitarsi alla fantasia e scendere in strada a comprare sesso.
Lo dice lo psichiatra intervistato nel DVD Parla con lui: la distanza è minima tra il pensiero e il passare all’azione violenta.
Lo dice il fotografo Ico Gasparri, a pag. 118, parlando di pubblicità sessista: “I comportamenti indotti da questo tipo di pubblicità sono talmente potenti che non solo le ragazzine, ma addirittura le donne mature, le quarantenni e cinquantenni, si vestono come prostitute senza rendersene conto. Anche loro recepiscono lo stesso messaggio: belle e desiderabili. Perfino in alcune pubblicità dove si è scelto di usare donne vecchie o cicciottelle o con poco seno, la modella è bella. Vecchia o sovrappeso, ma comunque bella”. Ecco che la bellezza diventa una dittatura: si propongono modelli che sembrano condivisi, ma sono irraggiungibili per la maggior parte delle donne. Da qui alle anoressie, le bulimie, il silicone, le chirurgie estetiche e tutto il resto, il passo è brevissimo […]
In 20 anni ha scattato 4000 fotografie: il suo obiettivo sono le immagini di donne nei cartelloni pubblicitari affissi negli spazi pubblici. Lì la pubblicità è ‘istituzionale’ e quindi si pensa ‘lecita’, approvata dal consesso civile […] “.
Il lavoro sulle donne l’ha chiamato ‘Chi è il maestro del lupo cattivo?’. Parte dall’assunto che ‘ violentatori non si nasce’. Voleva documentare le radici culturali della violenza sulla donna, e solo alla fine si è reso conto di aver documentato anche un altro fenomeno: la nascita e l’ascesa della dittatura della bellezza in Italia, con le conseguenze devastanti che ha avuto sul corpo delle donne e soprattutto sulle loro menti. Gasparri è giunto a un’amara conclusione: gli uomini sono sempre gli stessi, sono le donne a essere peggiorate. “I giovani maschi non si sono spostati di un millimetro dalle idee dei loro nonni in materia di rispetto e considerazione della donna. Quelle che si sono spostate sono proprio loro, le giovani donne”. Perché quelle migliaia di modelle disponibili che giacciono indisturbate sui muri vendono qualcosa di più di un semplice prodotto: “Martellano le ragazze sulla necessità assoluta di appartenere al gruppo, al plotone delle tutte-uguali, delle ragazzine disposte a tutto pur di piacere ai maschi, illuse dalla stessa pubblicità di farlo per piacere a se stesse”. Gasparri dice che si potrebbe scrivere una storia del costume italiano attraverso i cartelloni stradali: “Quelle modelle mute dicono tutte un’unica cosa: io sono un oggetto di desiderio sessuale maschile. Io voglio essere bella per piacere al maschio”.
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