Nov 2011 Siamo uomini o maschi?
Prima la propaganda poi gli spot
ecco chi ha inventato la virilità
Simonetta Fiori recensisce l’ultimo libro di Sandro Bellasai
da La Repubblica del 19 Nov 2011
Dalle virtù muscolari create all’inizio del secolo scorso fino ai modelli più temperati, ascesa e tramonto di un concetto. In un saggio di Bellassai.
Il femminismo sembra infliggere al gallismo il colpo finale, ma è una morte apparente.
Negli ultimi anni l´esaltazione del sesso forte è rifiorita nella sua forma virtuale.
Il virilismo classico? Morto, ma non ancora sepolto. Sandro Bellassai, storico sociale che insegna allUniversità di Bologna, ci aiuta a capire perché in Italia il funerale del gallismo italico è stato annunciato, ma mai celebrato. «Oggi il suo spettro si aggira a inquietare il sonno degli orfani. E le conseguenze dei loro turbamenti le abbiamo sotto gli occhi ogni giorno». Una lunga transizione – anche qui! – dalla mascolinità tradizionale a quella virtuale, che ci rivela come sia difficile accomiatarci da un sistema culturale appartenente al passato. Forse perché il genere maschile appare tuttora largamente privilegiato. E potere e virilismo – argomenta storicamente questo saggio – si sono profondamente identificati l´uno con l´altro (L´invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell´Italia contemporanea, Carocci, pagg. 182, euro 17).
Come molte altre cose, anche il virilismo è un´invenzione, nata in funzione “difensiva” all’epoca della costruzione nazionale. Una risposta, in sostanza, alla temuta detronizzazione della figura maschile, minacciata dalla modernità nella seconda metà dell´Ottocento. «Le virtù apparentemente naturali del maschio», scrive Bellassai, «ossia forza, coraggio, sicurezza, onore, senso del comando e della superiorità, vennero amplificate retoricamente in un profilo severo, il virilismo appunto, e trasfuse in virtù politiche necessarie per l´ordine globale della società, della nazione, dello Stato». Questo modello, centrato sui principi dell´autoritarismo e della forza, fu reso in Italia particolarmente longevo dal prevalere delle culture imperialiste e razziste, fino all’apoteosi del ventennio nero, in cui «virile divenne sinonimo di fascista, e quindi di italiano». Del fascismo, dunque, il virilismo avrebbe dovuto condividere anche la medesima sorte rovinosa. E invece così non fu, sopravvivendo seppure in forme diverse nel nuovo contesto democratico.
Un destino ineluttabile? Bisogna aspettare la stagione del boom e le grandi trasformazioni sociali tra gli anni Cinquanta e Sessanta per cominciare a intravederne un’incrinatura. Una “svirilizzazione” complessiva, così la definisce Bellassai, che alle nuove generazioni di maschi – a differenza delle precedenti – non appariva come una catastrofe di dimensioni cosmiche. Il mutamento è documentato dai film-inchiesta di Pasolini come Comizi d’amore o dai dibattiti pubblici in cui i ragazzi lamentano le proprie difficoltà ad adeguarsi ai modelli maschili tradizionali. «Non so stare ai loro discorsi basati solo sullo sport, sui motori, sulle donne», confessa nel 1964 su Vie Nuove un giovane lettore. L’inizio di una svolta.
In quegli stessi anni anche la pubblicità introduce un nuovo linguaggio, che tenta di coniugare la virilità tradizionale con le caratteristiche moderne della mascolinità, più gentile e profumata. «Io devo radermi tutti i giorni (e la mia barba è forte)», sorride rassicurante nel 1963 il testimonial della Palmolive. L´uomo “nuovissimo” degli anni Sessanta doveva suggerire un profilo sessuato diverso da quello dei suoi predecessori, pur rimanendo sempre e comunque un uomo. «Il suo scopo», commenta Bellassai, «non era più quello di dare ordine al mondo, ma di traghettare ordinatamente la parte più perplessa del genere maschile nel mondo moderno». Le sue nuove virtù? Moderatamente liberale e tollerante verso le donne. Incline ai piaceri della vita e ai beni voluttuari. Narcisista e individualista. Brillante in società. Scettico e cinico quanto basta. Eccone un riflesso negli slogan dei cosmetici maschili. «La lozione dopobarba Victor vi dà quel tono di virile distinzione che è la chiave del successo per l’uomo moderno». «Il dopobarba Tarr è prettamente maschile perché ha un profumo discreto, non unge, non macchia, non copre la pelle». Il sesso forte, in altre parole, si prepara a deporre le armi. Nel cinema la resa è ancora più evidente. In pellicole come I mostri Tognazzi e Gassman mettono in scena la parodia umiliante del gallismo. Ma i nostalgici della “mascolinità classica” – avverte l’autore del saggio – non si danno per vinti. E l´ottimismo appare fuori luogo.
Se il decennio dei Settanta sembra infliggere al virilismo il colpo mortale, l’agonia è solo apparente. Certo le retoriche sulla superiorità maschile vengono bandite, il femminismo riduce gli enormi squilibri, ma le stanze del potere rimangono saldamente in mano agli uomini, spaventati da una libertà femminile avvertita come minacciosa. «Il virilismo nato nella fin de siècle abbandona la scena principale», sintetizza Bellassai, «ma le dinamiche culturali e politiche maschili che lo avevano prodotto non sono del tutto scomparse». Gli ultimi due decenni hanno finito per liquidare come “passato sconfitto” le culture politiche storicamente avversarie della mascolinità trionfante. E il virilismo è rifiorito nella sua forma virtuale, nell´immaginario televisivo o di recente nell´incredibile palcoscenico del bunga-bunga. «Il fantasma di una perduta potenza che genera fantasia di potenza», scrive Bellassai. Un virilismo “fantasmatico” che finisce per travolgere anche l’invenzione delle origini.
Di sicuro, conclude lo studioso, questo mortificante spettacolo italiano è la ripetizione apparentemente eterna di un copione mille volte rivisto, «una storia di insicurezze e di angosce maschili destinate a condizionare pesantemente i livelli di democrazia e libertà». Una storia non ancora conclusa, in cui è scritta tanta parte del nostro declino. Ma i segnali d’uno stile diametralmente opposto, maschile e femminile, illuminano oggi la scena pubblica. E la rinascita parte anche da qui.
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