Mar 2013 “Donne e uomini alla “Città Felice” in relazione di differenza per cancellare l’estraneità”
Intervento di Anna Di Salvo per il seminario “Mascolinità, diversità e differenza”
Barcellona- 14-15 marzo 2003
Ci sono voluti all’incirca dieci anni di politica tra donne, alla “Città Felice” di Catania, associazione che prende vita dall’operosità delle relazioni agite in città, per riconsiderare la possibilità di intrecciare e scambiare rapporti politici con uomini attraverso la pratica della relazione di differenza come sta avvenendo al presente. A dire il vero nel corso di questo tempo abbiamo tentato sporadiche aperture verso uomini, o luoghi connotati al maschile (e ricevuto anche riconoscimenti da parte loro nei nostri confronti), rivelatisi in seguito poco efficaci perché portati avanti in maniera poco politica e senza un sentimento vero; ma di questo parlerò in seguito in forma più dettagliata.
La necessità di instaurare scambi e conflitti con gli uomini, di ricominciare donne e uomini a parlarci a partire dalla consapevolezza dell’avvenuta libertà femminile nel mondo, si è fatta da qualche tempo pressante per me e alcune donne della Città Felice, non solo perché siamo giunte a questa consapevolezza attraverso il nostro cammino politico, ma anche perché analisi e narrazioni in merito ad esperienze simili sono confluite alla Città Felice da altri luoghi della politica delle donne.
Dall’esperienza viva di ”Identità e differenza,” associazione di Spinea (Venezia) o il circolo ”La Merlettaia” di Foggia, emerge che donne e uomini desiderosi di riguardarsi e di ripensare il mondo a partire da una ricerca sensata sulla differenza maschile, (ricordo a questo proposito il libro di Victor Sadler “Riscoprire la mascolinità”- Editori Riuniti) stanno portando avanti insieme pratiche di scambio e di conflitto. Da luoghi come la Libreria delle donne di Milano e suo relativo sito, la comunità filosofica Diotima di Verona o la rivista Via Dogana, provengono elaborazioni stimolanti che aprono spazi di possibilità per esperire forme di conflitto costruttivo con uomini.
Luisa Muraro, Lia Cigarini, Chiara Zamboni, Annarosa Buttarelli e altre autorevoli pensatrici e politiche della differenza sessuale, auspicano che questo scambio possa avvenire principalmente tra sé e sé come passaggio interiore, per giungere man mano a far chiarezza sul perché si vuole che ci sia questa comunicazione, sulla necessità di una misura che contempli l’altro e che tenga presente l’altro nella radicale messa in questione di sé.
Il tentativo di percorrere il difficile cammino della relazione di differenza con uomini preoccupati e critici nei confronti dei devastanti risultati ottenuti dalla messa in atto della cultura maschile, sta avvenendo nella pratica, non tanto per proporre accordi, alleanze o relazioni strumentali tra donne e uomini, ma per dare maggior risonanza alla differenza femminile in quanto la differenza rimanda al riconoscimento dell’altro, e se l’altro da sé sono gli uomini, ciò porta a pensare che essi sono parte di noi. La motivazione è forte, per scongiurare il rischio che tutto quello sinora guadagnato dalle donne possa valere meno di zero, occorre riuscire a scambiarlo con l’altro facendo vuoto dentro di sé di quei sentimenti negativi verso gli uomini che covano e a volte riemergono togliendoci leggerezza e libertà: competizione, risentimento e voglia di riconoscimento. Non occorre che l’uomo col quale si intraprende la relazione di differenza si subordini alla donna, né che lei lo faccia con lui, quello che interessa è scambiare i punti di vista sulle cose, conoscere elementi della differenza maschile.
Questo desiderio di orientare e inoltrarsi con uomini nel mondo, con percorsi ed espressioni di civiltà e amore da parte delle donne, l’abbiamo riscontrato per esempio anche lungo il corso del diciassettesimo e del diciottesimo secolo con l’operato e l’elaborazione delle “Preziose,” un movimento di aristocratiche e intellettuali francesi protagoniste dei cambiamenti culturali avvenuti in Francia in quei secoli, che seppero mettere in gioco il di più relazionale delle donne. Afferma Benedetta Craveri, autrice del libro “La civiltà della conversazione” (ed. Adelphi 2001.) che per l’appunto traccia uno spaccato minuzioso della maestria messa in atto dalle Preziose, (ma ne parla anche Carla Lonzi, nel suo libro” Armande sono io” ed. Scritti di rivolta femminile ) che “a cominciare dall’apparizione delle Preziose, si faceva sempre più strada nel gentil sesso la convinzione che il valore della donna risiedesse nella sua differenza e non nella sua uguaglianza rispetto all’uomo.” Un valore irrinunciabile che le ha affrancate dal rischio dell’omologazione con gli uomini o di impoverire i loro modi e il loro sapere sessuato a causa del mettersi in competizione con gli uomini sul loro stesso terreno (guerre, corsa al potere e a cariche e ruoli di prestigio) cosa che purtroppo sfianca ancora molte donne, rendendo difficile il riconoscimento di autorità femminile da parte del mondo maschile.
Voglio parlarvi adesso del desiderio, della risolutezza e delle difficoltà con le quali io ed altre donne abbiamo affrontato alla Città Felice il guado fortemente simbolico che dalla pratica di relazione donna con donna ci ha fatto approdare alla relazione di differenza con alcuni uomini.
In questi ultimi anni Alla Città Felice, in seguito all’attraversamento di svariati accadimenti in merito alla pace, all’amore per la polis, all’arte, al lavoro, alla scuola, ecc. ci eravamo rese visibili in città immettendo nel nostro territorio nuove forme della politica e modificando la realtà attorno a noi con la lettura originale delle cose e dei fatti: (una delle pratiche della Città Felice ad es. è quella d’intervenire con i nostri scritti su riviste e giornali quotidiani.)
Lungo tutto questo cammino avevamo incontrato anche uomini, a riprova che il mondo che stavamo modificando non era abitato solo da donne, incrociandoli solitamente negli ambiti della cosiddetta “democrazia partecipata” quali: social – forum, comitati con finalità rivolte al bene e allo sviluppo della città e per la riqualificazione urbana partecipata, nonché scuola, università, sindacati e partiti della sinistra. Abbiamo riscontrato anche troppo spesso che in questi luoghi aleggiava estraneità, mancanza di pratiche creative e di desiderio d’ascoltare e di farsi attraversare gli uni dalle cose degli altri. L’elemento che unificava quella forma di pluralismo era dato di solito da eventi contingenti e dalla necessità di costituire forza di natura esclusivamente numerica. Su quella indifferenziata unione di sigle, fungeva da collante la logica degli schieramenti che riusciva a unificarle di volta in volta perché uomini e donne di quei contesti si dichiaravano CONTRO: contro l’attuale amministrazione pubblica, contro il governo, contro la guerra, contro l’America, contro la disoccupazione e le leggi per l’immigrazione, contro il fascismo, ecc.
Attrezzate al dialogo e all’ascolto, forti delle relazioni tra noi, certe di avere cose nuove da dire e da dare, desiderose di intraprendere scambi di sapere politico nei luoghi che avevamo individuato come contesti interessanti dove intrecciare futuri rapporti con donne e uomini, io e qualche altra amica della Città Felice abbiamo esplicitato le nostre pratiche e le nostre esperienze ottenendo anche esiti buoni, ma trovandoci spesso ad attraversare col nostro stesso corpo, la difficoltà e il senso d’impotenza di non riuscire a dare respiro alla nostra politica perché ci trovavamo in luoghi caratterizzati da rigide organizzazioni di tipo maschile: segreterie, presidenze, commissioni, portavoci, ecc. e da una cultura e da un simbolico che portava i presenti ad adoperare in pubblico, forme scontate e ripetitive quali: manifestazioni, petizioni, raccolta firme, sit-in, presidi, ecc.
Mantenendoci in queste situazioni in una posizione di osservazione e di dialogo, abbiamo incontrato uomini molto interessati a noi e alla politica del simbolico, oppure disorientati e messi in allarme dalle nostre pratiche, aggressivi, ironici, galanti, così distratti da lasciarci la sensazione d’aver parlato a vuoto, uomini sensibili e delicati ma obbedienti alle regole dei più virili e increduli sui guadagni della politica delle relazioni. Uomini narcisisti in grado di parlare dei massimi sistemi senza riuscire a guardare in sé o a esserci veramente nelle cose facendo tesoro e mettendo in campo i frutti dell’esperienza. C’erano uomini che interpretavano la nostra politica come aggiuntiva alla loro o che cercavano di inglobarla, depredandola della sua originalità e della sua bellezza senza alcun riconoscimento, e c’erano infine quelli che si ostinavano a mediarci al ribasso e a rimandarci un senso errato della nostra politica, come se si trattasse di un femminismo bisognoso di tutele istituzionali: per esempio quelle dell’uguaglianza e della parità. In tutto questo non ci sono state d’aiuto le donne che ci avevano invitate in quei luoghi, perché omologate alle forme del maschile, accondiscendenti ai loro “fratelli maggiori,” e a quel tipo di politica perché più familiare e secondo loro più veloce, che guardavano con diffidenza alla politica delle relazioni, automoderandosi e rischiando al contempo di moderare anche noi.
Da queste frequentazioni e da questo lavorio è emersa da parte nostra, la lucidità e un sentire preciso che ci avvisava che non era così che la nostra politica andava giocata, e che probabilmente occorreva operare da parte nostra uno spostamento sincero verso l’altro ricercando in noi un luogo profondo, dove poter mettere in campo i conflitti con gli uomini e i modi di affrontarli, trasformandoli in una risorsa positiva e creare così reali condizioni di pace.
Dopo aver smosso il terreno con incontri informali, siamo riuscite ad incontrarci periodicamente con alcuni uomini interessati al pensiero della differenza sessuale che avevamo riconosciuto critici e delusi in qualche modo dalle forme della politica maschile e impegnati in attività circoscritte riferite all’amore per la città, per l’ambiente, per la natura e per il vivere civile. Si è venuto così a creare un laboratorio che abbiamo chiamato “Catania centrale” come la nostra stazione ferroviaria il quale ha visto donne e uomini impegnate/i in rapporti di scambio, nel tentativo di acquisire la giusta consapevolezza per dirci le reciproche differenze. Malgrado ci avvicinassero una serie di desideri e analisi sull’esistente e l’amore condiviso per Catania e per la Sicilia, abbiamo riscontrato inizialmente serie difficoltà di comunicazione. Le donne non riuscivamo a sopire del tutto e neanche a mentire sul risentimento provato per la distruttività del maschile nei confronti dell’opera femminile e del mondo e ci trovavamo disorientate dinanzi all’incapacità degli uomini di partire da sé e non dalle teorie, per una comprensione più profonda delle cose. Dal canto loro gli uomini, pur individuando nella pratica della relazioni e nelle elaborazioni femminili una modalità politica costruttiva, non riuscivano a vederla agente in sé contro il capitalismo, nell’organizzazione quotidiana della sfera pubblica e del mondo. Essi esprimevano anche il disagio di misurarsi con donne che mettevano loro soggezione, delle quali non capivano ancora bene cosa volessero da loro e che si esprimevano con un linguaggio e pratiche poco usuali nell’assenza di supporti teorici assoluti e finalità ben definite. Abbiamo deciso a quel punto, visto come stavano andando le cose, di alzare il livello di quegli incontri, mettendo definitivamente da parte i pregiudizi e i cattivi sentimenti nei confronti del maschile e mettendo in circolo un di più di sincero interesse per l’altro. Questo ulteriore passaggio ha reso più vere le relazioni, i dialoghi e gli scambi avvenuti anche oltre le riunioni generali. Gli incontri sono divenuti più sereni e fiduciosi, la comunicazione fluida, la voglia di conoscerci è aumentata così come il desiderio di conoscere e condividere quello di cui l’altro della relazione si occupa anche in altri luoghi insieme ad altre donne e altri uomini. Questo ha permesso di cominciare a confliggere da differenze concrete e non da impossibilità immaginarie; così al presente io scambio con Biagio Tinghino, Luca Cangemi, Tino Domini, Mario Di Mauro la conoscenza e il senso di una serie di aspetti positivi e negativi della Sicilia del passato e del presente. Con Riccardo Ranieri, ho in corso uno studio che tende a far sì che le condizioni delle piste ciclabili, delle reti ferroviarie e della viabilità in genere nella nostra terra, possano raggiungere aspetti meno degradanti ma che al contempo non si dirigano verso orizzonti troppo avveniristici (vedi ad es.il progetto per il ponte sullo stretto di Messina). Mirella Clausi, nostra esperta informatica, ricercatrice di scienze all’università di Catania, mantiene in vita dei microrganismi (nematodi) grazie alla sua relazione politica con Franco Vertillo che le ha messo a disposizione il terreno del suo castagneto e segue con interesse la crescita di quei piccolissimi essere viventi. Come vedete siamo ancora all’alba di un percorso ancor più affascinante in quanto non sappiamo ancora bene dove ci porterà. Quello che sappiamo al presente di certo è che ogni passaggio compiuto in direzione del bene della politica, non avviene senza depositare nel profondo di ciascuna e di ciascuno, una grande modifica e una grande bellezza.
Vi sono uomini che a contatto con la differenza femminile, hanno iniziato ad abbandonare la tendenza a illuminare tutto e a capire tutto con l’ottica della ragione per recuperare e usare il linguaggio dell’esperienza e del partire da sé: “la lingua della madre” non orientata verso un’unica direzione, ma aperta e tesa a dare valore alla differenza dell’altra.
Cercherò di descrivere adesso il pensiero e le pratiche di alcuni uomini di varie parti d’Italia con i quali Città Felice è venuta a contatto per diverse ragioni (una di queste è il tessuto di relazioni politiche venutosi a creare nel 2000 tra donne e tra donne e uomini di varie realtà italiane in direzione del pensiero della differenza, che ha preso il nome di “Città Vicine”) uno di questi è Alberto Leiss, giornalista del quotidiano “L’Unità,” creatore insieme alla giornalista Letizia Paolozzi del sito “Donne e altri.” Attento collaboratore della rivista Via Dogana, ha preso parte al recente Grande Seminario di Diotima dal titolo “Donne e uomini anno zero” con la sua relazione “Crisi della politica, una questione maschile,” Leiss afferma che a parer suo va aumentando il numero degli uomini che avvertono il bisogno di autocritica pubblica del loro modo di intendere e praticare la politica, i rapporti con gli altri e con il mondo, e questa autocritica cerca di misurarsi con il pensiero della differenza. In un suo scritto apparso sul n.54 di Via Dogana, Leiss fa riferimento ad alcuni passaggi del libro di Marco Revelli “Oltre il Novecento, la politica, le ideologie e le insidie del lavoro” (ed. Einaudi): in uno di questi, si individua nella rivoluzione femminile, una delle radici del passaggio d’epoca tra fordismo e post – fordismo che ha scardinato l’ordine familiare patriarcale e ha accompagnato il massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Questo fenomeno ha modificato soprattutto i paradigmi linguistici oltre che tecnologici e finanziari del modo di lavorare e produrre, mettendone in rilievo l’essere sessuato (A tal proposito consultare anche il libro “La rivoluzione inattesa” – autrici varie- prefazione di Lia Cigarini, Manifesto libri). Per Revelli la rivoluzione femminile introduce nella produzione il campo immenso dei beni relazionali, e della cura dove la materia prima non è il ferro o il cemento, ma sono desideri, bisogni, talvolta corpi, nuda vita, sentimenti. L’autore sviluppa inoltre una critica alla figura del militante rivoluzionario che incarna in sé l’ideologia di un sapere organico e predittivo; a questa figura affianca in antitesi quella dell’uomo solidale, che si esprime nel volontariato e nella relazione. “Non sono pochi, anche se a volte non dichiarati”- insiste Leiss, “i debiti al pensiero femminile per questa consapevolezza.”
Dall’universo dell’elaborazione della differenza maschile, voglio indicare anche il lavoro politico di due uomini in stretta relazione tra loro, Gianni Feronato e Livio Dal Corso di “Identità e Differenza,” associazione di Spinea voluta da Adriana Sbrogiò che con l’apporto di Carla Turola e altre valide presenze di donne e uomini, ha saputo rendere amorevole e praticabile nel proprio territorio la differenza sessuale, nei contesti sia amministrativi, (pubblici e religiosi) che delle relazioni di differenza. Di notevole importanza il seminario stanziale che ogni primavera Identità e differenza organizza ad Asolo (Treviso), di cui proprio l’ultimo, del giugno 02 recava il titolo emblematico:“ Donne e uomini: dirsi la verità.”
Proprio durante questo seminario Gianni Feronato ha affermato che al presente sta faticosamente imparando a sprepararsi. Per lui sprepararsi non significa dimenticare l’orizzonte simbolico attraverso il quale traduce la sua esperienza di uomo, quanto piuttosto acquisirne una sempre maggiore consapevolezza. Se dovesse mancargli la consapevolezza di come questo orizzonte determini concretamente la sua vita e il suo essere, non vedrebbe possibili per sé cambiamenti significativi. Egli crede che gli uomini abbiano bisogno di un altro punto di vista per capire dove sono e come sono, almeno così è stato per lui incontrando le donne della differenza. Gianni individua la positività per donne e uomini di lavorare insieme, ha modificato l’intenzione originaria di trovarsi solo tra uomini per ripensarsi, perché sostiene che ci sia qualcosa in comune tra donne e uomini che rende comprensibili le une agli altri, qualcosa che permette loro di accogliersi nelle rispettive differenze: l’esperienza fondamentale d’essere nati tutte e tutti da una donna. Sul versante della relazione con l’altra, ha notato che riuscire a dire con intensità e verità cosa e come si vorrebbe che fosse la relazione, evita di bloccare lo scambio, consente maggiori possibilità di cambiamento ma soprattutto produce un di più di essere.
Livio Dal Corso porta avanti insieme a Gianni Feronato ormai da diversi anni un’opera delicata che attiene alla conservazione e al prendersi cura di alcune sementi dichiarate non più riproducibili che rischiano di andare perdute perché non rispondono più ai requisiti imposti dall’arrogante potere espresso da quelle ormai tristemente famose 8 potenze che pretendono di “globalizzare” il mondo a partire dalla loro convenienza.. Livio e Gianni hanno saputo cogliere il simbolico del loro lavoro e della loro relazione individuando nella cura e nella conservazione del seme l’occasione di una ricerca più approfondita su ciò che veramente essi vogliono significare selezionando, coltivando e producendo quei semi: in primo luogo sicuramente la ricerca di un contatto più stretto col desiderio che li attraversa e li trascende. Livio Dal Corso afferma che a loro resterà solo di porre alcuni segni e alcuni semi ma che il seme più importante è la relazione. Una relazione di qualità che entrambi cercano di costruire a partire da sé, e che questo movimento secondo lui non porta il marchio della debolezza ma il carattere della forza vitale.
Dall’elaborazione tra donne e uomini al circolo “la Merlettaia” di Foggia, in riferimento alla relazione di differenza, ho fermato il pensiero di Gian Piero Bernard durante un incontro tra “Città Vicine” che dice: “il senso libero della differenza è un senso libero per le donne che se lo sono conquistato e deve diventare un senso libero anche per gli uomini, sento ancora lontano per me il senso della mia differenza e non vedo ancora molti esempi (quelli contano, ti danno forza) di uomini che non mostrino arroganza o acquiescenza. Invece vedo la libertà delle donne con cui sono in relazione, la vedo nella pratica concreta, quando ci lavoro insieme…
Questa mancanza di libertà maschile è forse legata alla questione del desiderio, che è differente per uomini e per donne perché noi veniamo da un mondo costruito da noi in cui il nostro desiderio imperava e la faceva da padrone. Questo vuol dire che io ho dovuto operare censure, aprire conflitti: insieme alla gratitudine per le donne, ho imparato la sottrazione di me, la capacità di mettermi di lato, di ascoltare e di accettare la mia disparità.”
Esistono al contempo luoghi d’elaborazione maschile separatisti come ad es. “Uomini in cammino” di Pinerolo (Torino) create da Beppe Pavan che offrono con generosità uno spaccato della loro pratica, ripercorrendo in una sorta d’autocoscienza, il disagio che molti uomini sentono nei confronti di ogni tipo di violenza (soprattutto quella perpetrata alle donne) e della cultura maschile nella quale i loro corpi di uomini sono iscritti.
Con questa carrellata su accadimenti e pratiche che ci indicano come parte del mondo maschile stia tentando una strada di modifiche profonde, concludo suggerendo che un modo buono di porgersi rispetto alla questione, può essere quello di non separare l’intera sfera maschile in uomini buoni e uomini cattivi, ma di affidare alla pratica della relazione di differenza donna-uomo e alla relazione uomo-uomo, la possibilità di una reale comunicazione e scambio tra le donne e gli uomini.
Commenti recenti