Honoré Daumier Le Ventrre Législative
Lug 2012 “Osservazioni D.i.Re sulle proposte
legislative in materia di affidamento condiviso”
Associazione nazionale D.i.Re ‘Donne in Rete contro la violenza’
L’associazione nazionale D.i.Re ‘Donne in Rete contro la violenza’ esprime preoccupazione sul contenuto dei ddl 957, 2800, 2454, “Modifiche al codice civile e al codice di procedura civile in materia di affidamento condiviso”, attualmente in discussione alla commissione giustizia del Senato.
Le modifiche che si vorrebbero introdurre non realizzano l’effettivo interesse del minore né l’obiettivo della collaborazione di entrambi i genitori nella cura e nell’educazione dei figli previsto dalla legge 54/2006, tantomeno sono supportate da alcuno studio scientifico o analisi. Le stesse, inoltre, costituirebbero una grave violazione dei diritti delle donne vittime di violenza intrafamiliare e dei loro figli minorenni.
Impariamo dalle esperienze di altri paesi
D.i.Re Donne in Rete contro la violenza fa propria questa raccomandazione, forte anche della esperienza maturata e della partecipazione ad una ricerca/analisi comparata (pubblicata su direcontrolaviolenza.it) che Wave “Women against violence Europe” (associazione europea che connette 4.000 Centri Antiviolenza di 47 paesi europei) sta effettuando da 2 anni rispetto alle diverse legislazioni vigenti in circa 15 paesi europei sul tema dell’affidamento dei minori per coglierne evoluzioni, criticità, punti di forza, buone e/o cattive pratiche.
I paesi europei che hanno legiferato sull’affidamento condiviso (o istituti simili), considerano entrambi i genitori in riferimento al diritto del minore e cercano di differenziare i tre diversi interessi in gioco. Le riforme sono state precedute da approfonditi studi e ricerche al contrario dell’Italia, ove il tema sembra purtroppo soprattutto oggetto di discussione da parte di “lobby” che sempre più numerose affrontano l’argomento con accezioni polemiche. E’ dimostrato come in nessun paese l’imposizione di una bigenitorialità abbia dato esiti soddisfacenti laddove vi fosse un genitore inadeguato. Anzi, alcuni fenomeni gravi e dannosi, quali l’inadempimento degli obblighi di mantenimento per i figli e il comportamento violento del padre nei confronti della madre e/o dei figli oltre a persistere, in alcuni paesi si sono anche aggravati.
I paesi che più hanno analizzato gli effetti dell’affidamento condiviso e/o paritario (p.e. l’Australia) sono giunti alla conclusione che l’affidamento condiviso non può essere valido per ogni situazione familiare, ma che deve dipendere da una valutazione approfondita della capacità genitoriale di ciascun genitore. Inoltre è richiesta una valutazione approfondita del concetto di violenza in famiglia, con inclusione dell’esposizione del minore alla violenza assistita e agita da parte del genitore violento, di ogni comportamento negligente e psicologicamente dannoso per il figlio, del controllo sociale ed economico di un partner sull’altro e/o sui figli, con considerazione di tutti i precedenti di violenza, anche se cautelari, revocati per volontà della parte lesa.
Per ultimo, la citata ricerca sottolinea una volta per tutte come a livello mondiale oramai sia superfluo dover citare la copiosa letteratura scientifica per svelare l’assoluta non scientificità della c.d. PAS – Parental Alienation Syndrome (Sindrome da Alienazione Parentale) già dichiarata, dall’Associazione nazionale degli psicologi americani, non utilizzabile e definita un’”invenzione” dall’ Asociación Española de Neuropsiquiatría, dichiaratasi contraria all’uso della PAS (2010) ed è semplicemente imbarazzante vedere in un Parlamento di un Paese civile l’abuso che di tale concetto si fa, non solo citandolo come scientifico, ma motivando con esso significativi interventi legislativi che vogliono incidere sulla vita di tutte le famiglie in Italia.
L’Italia noncurante di queste esperienze si appresterebbe ora ad una imposizione in nome del diritto alla bigenitorialità (principio fortemente ideologizzato e non supportato da una sufficiente letteratura scientifica) di un modello di rapporto genitoriale astrattamente paritario con la presunzione assoluta che sia l’unico valido e soprattutto quello più a beneficio del minore, non considerando le condizioni realmente vissute dallo stesso.
Inoltre va tenuto presente che nella realtà italiana è soprattutto la donna ad avere ancora un prevalente ruolo di accudimento dei figli a scapito di tempi dedicati al proprio sviluppo lavorativo personale, al contrario della maggior parte dei padri, come dimostrato dal numero irrisorio di congedi parentali e contratti part time richiesti dai padri italiani.
Interessa anche evidenziare in questa sede come le riforme proposte nei ddl 957, 2800, 2454, si presentino gravemente lesivi dei diritti fondamentali di donne e bambini ed in particolare presentino profili di illegittimità costituzionale anche alla luce dell’art. 16 della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw).
E’ grave l’eliminazione nel 2° comma dell’art. 155 c.c., del riferimento all’interesse morale e materiale dei figli come parametro per le decisioni del giudice, in contraddizione con la modifica dell’art. 155 sexies sull’audizione del figlio minore, laddove si specifica che il giudice “prende in considerazione la sua opinione”. L’eliminazione del riferimento all’interesse del minore come parametro per le decisioni dei giudici, risulta palesemente contraria a tutte le convenzioni internazionali in materia (art. 3 della Convenzione dei diritti del fanciullo adottata a New York il 20 ottobre 1989, ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge 176 del 27 maggio 1991; Trattato di Lisbona, Carta di Nizza; artt. 30 e 31 della Costituzione).
Il 2° comma dell’art. 155 c.c. solo residualmente prevede che il giudice adotti “ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. L’imposizione per legge della divisione del tempo dei figli in misura “tendenzialmente paritetica” tra i due genitori e il doppio riferimento abitativo non tiene conto dell’interesse del minore, delle sue esigenze e della specificità del caso, dando un’accezione meramente quantitativa al rapporto dei genitori con i propri figli.
La previsione di una contribuzione al mantenimento dei figli in forma diretta e per capitoli di spesa presume pari capacità economiche tra i genitori, aprendo spazi di contrasto e di violenza economica a discapito dei reali bisogni dei figli. Contraria all’interesse del minore risulta, ancora, la previsione della perdita ope legis del godimento della casa familiare in caso di convivenza del genitore (art. 155 quater c.c.): la casa familiare viene assegnata al genitore con cui i figli minori convivono e nel loro esclusivo interesse.
Contraria all’interesse del minore risulta anche la previsione contenuta nella modifica del primo comma dell’art. 155 bis c.c. della possibilità del giudice di collocare la prole in caso di “gravi motivi”, (non definiti), presso un “istituto di educazione”. Ci si dimentica che la legge 149/2001 ha abolito dal 1° gennaio 2007 il collocamento di minori in istituto. Il diritto degli ascendenti a proporre nel giudizio di separazione propria domanda relativa al loro autonomo diritto di visita (art 155, 3° comma c.c.) non può che far temere un’accentuazione della conflittualità familiare, con ulteriori ripercussioni negative sull’equilibrio dei minori, di cui peraltro rimane incontestato l’interesse alla continuità di rapporto con i nonni (peraltro già tutelabile attraverso un eventuale ricorso al Tribunale per i Minorenni ai sensi dell’art. 336 c.c.).
Preoccupante è l’imposizione della mediazione familiare, anche essa proposta senza alcun fondamento scientifico. Diversi studi scientifici, anche internazionali, dimostrano la contraddittorietà di un obbligo di mediazione e quanto sia pericoloso in caso di violenza intrafamiliare. Rischia di essere penalizzato il genitore che sarà ritenuto responsabile del fallimento di questo percorso obbligatorio.
Infine, sulla base della “diagnosi” di una malattia inesistente quale la PAS il giudice, senza valutare altri elementi ai sensi dell’art. 155 c.c, , sarebbe costretto ad escludere dall’affidamento il genitore (la madre) dalle decisioni relative ai figli e dal diritto di visita nei confronti dei figli. E ciò accadrebbe in aperta violazione delle garanzie costituzionali ex art. 111 della Costituzione.
Sono oltre 13.000 le donne che ogni anno si rivolgono ai 60 centri antiviolenza aderenti a D.i.Re, Donne in rete contro la violenza.
La violenza domestica, purtroppo, è una realtà ancora oggi molto diffusa e non denunciata ed è secondo l’Onu la causa del 70% dei femminicidi. In Italia, dall’inizio del 2012 ad oggi sono state uccise 75 donne solo perché donne. Non si tratta di omicidi passionali o di raptus. L’uccisione della donna non è che l’ultimo atto di una serie di episodi di violenza fisica, psicologica, sessuale, economica.
Con questa riforma si rischia che tutte le denunce per violenza in famiglia siano considerate strumentali e non si prende in considerazione il fatto che per una donna denunciare per uscire da una situazione e da una vita di violenza insieme ai propri figli è una scelta difficile. Anche le Nazioni Unite, attraverso il Comitato Cedaw, nel Rapporto finale al Governo Italiano hanno evidenziato la propria preoccupazione per il fatto che in Italia persistono “attitudini socio culturali che condonano la violenza domestica” e hanno chiesto al governo italiano di “assicurare che le donne vittime di violenza abbiano immediata protezione e la garanzia che possano stare in rifugi sicuri e ben finanziati su tutto il territorio nazionale” (pag.7) .
L’associazione nazionale “D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza” chiede a tutte le parlamentari e i parlamentari, alle esperte e agli esperti, ai media, alla società civile di aprire un confronto realmente tecnico’scientifico accompagnato da ricerche approfondite sulle problematiche dell’affidamento figli e di fermare ogni iniziativa legislativa attualmente in corso perché non supportate da alcuna evidenza ed argomentazione valida. Una legge che persegua intenti “educativi” in nome di un modello unico e standardizzato, anziché tener conto della necessità di regolamentare una realtà così complessa che richiede di equilibrare i diversi diritti in gioco, non solo è destinata al fallimento, ma rischia di provocare gravi danni anche alle figlie e ai figli minorenni coinvolti. I ddl attualmente in discussione apporterebbero modifiche legislative significative per dettate solo da mere emozioni, suggestioni e interpretazioni di parte. Nessun paese dalla tradizione giuridica come l’Italia oserebbe portare avanti una riforma giuridico/legislativa così importante basata su questi presupposti.
Roma, 6 luglio 2012
D.i.Re, lavora in ambito nazionale, europeo e internazionale in sinergia con altre reti di associazioni di donne tra cui la rete europea WAVE – Women AgainstViolence Europe, di cui è parte e punto focale per l’Italia, con la European Women’s Lobby (EWL) di cui è parte e componente del Consiglio Direttivo e il Global Network of Women’s Shelters – GNWS di cui è parte e componente del Consiglio Direttivo.
Donne in Rete contro la Violenza – D.i.Re
C/o Casa Internazionale delle Donne, Via della Lungara 19 – 00165 Roma
Cell. 3927200580
Email [email protected]
Sito www.direcontrolaviolenza.it
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