I QUADERNI DEL VENERDI’ #43
Il Quid è qui
di Giacomo Mambriani
Il Quid è qui
Qui.
Abbondanza di acqua.
Quiete.
L’alta quota.
Regno di aquile e aquiloni senza filo.
Una diversa qualità del cielo, geniale acquerello.
Luogo ideale per studiare gli equinozi.
Chiesa sconfinata, senza inquisizione né questua.
Il cellulare non prende; tranquillità è distanza dagli squilli.
Acquattato sulle rocce bevo cristallo che si liquefa. Giù nella pianura, sotto di me, acquisti aliquote e quisquilie. Resto fermo, i sensi acuiti, senza nulla chiedere. Guardo le cime arcuate, ignare dell’inquinamento.
E visioni si squadernano: quindici uomini scendono ridendo da una cassa da morto; quarantaquattro gatti rompono le righe e vanno a caccia di quaglie; qui quo e qua si qualificano ai quarti di finale di un torneo di squash; un uomo qualunque viene condannato per qualunquismo; il Quebec dichiara la sua acquiescenza al Canada.
Poi mi domando: ho scarpinato fin qui per trovare un equilibrio o mi sono messo in quarantena? Sono fuggito dall’iniquità del mondo oppure ho risalito i prati seguendo un’intuizione equina? Mi esasperava di più il rimbombo continuo dei quiz o lo squallore delle periferie?
Quintali di domande e qualche milligrammo di risposte.
Comunque ho smesso di pretendere la quintessenza di tutto. E di perquisire l’anima della gente, alla ricerca dei giusti requisiti. Ogni cosa è squisita così com’è: un quadro, un’equazione, un ritmo in quattro quarti, perfino lo sciacquone.
Se ora qualcuno mi chiedesse di scegliere tra quantità e qualità (noiosa querelle, squinternata questione!), io sceglierei di squagliarmi come neve al sole, o sotto un terribile acquazzone.
Prima di arrivare in questo luogo, quasi dimenticavo che in ogni singolo istante, ovunque io mi trovi, qualsiasi cosa accada, quotidianamente (comprese le ore pasti), sono qui! Manodopera non qualificata, incerto portatore del misterioso quid.
Il quid è qui. Il qui è il nucleo più segreto del là. Ora chiudo gli occhi e mi schiudo al qui. Se qualcuno mi cerca sarò lì.
La danza
Ti guardo dritto negli occhi, seguendo il mio movimento che si specchia nel tuo. I nostri corpi si allacciano, poi si separano, le braccia domandano, i fianchi rispondono. Stiamo eseguendo passi che ci sono stati insegnati, ma non siamo mai stati così liberi.
È una gioia che non esplode, non si consuma, riceve senza chiedere. La gioia che si pensava impossibile, che si rimandava a un futuro indefinito, su cui si scherzava con disincanto. La libertà si appoggia su quello che esiste già, e noi danziamo come le nostre madri e i nostri padri, e ad ogni passo cambiamo la storia dell’amore. La musica ci conduce, noi conduciamo la musica; ci adattiamo al ritmo, il ritmo si adatta a noi. Con sollievo abbandoniamo ogni volontà di potere e di controllo.
Niente, se non l’amore, poteva portarci davanti a questa soglia. Stasera la stiamo attraversando, e non ho la minima idea di ciò che succederà a partire da questo momento. Forse qualcosa che conosciamo bene, ma che avevamo dimenticato. Guardandoti vedo che sei incommensurabilmente diversa da me e che mi ami, e mi fido. La notte si muove con noi.
“Senza giudizio” e “Felinosofia”
Dopo una lunga pausa, senza che io lo abbia propriamente deciso, riprende il mio gioco con il linguaggio. E così mi viene un dubbio: sono io che gioco con il linguaggio o è il linguaggio che gioca con me? Ad ogni modo si tratta di un gioco serio, come quello dei bambini e delle bambine, che sono coinvolti anima e corpo in quello che fanno, pur senza identificarvisi completamente.
Senza giudizio
C’è più spazio e meno strazio. Una vera delizia, come un inizio. Adesso Caio non è peggio di Tizio. Rivalutazione improvvisa dell’ozio. Scatta l’armistizio, ognuno è libero di volteggiare sul trapezio. Le classifiche restano solo un gioco, oppure un brutto vizio. Cambia la legge di gravitazione, ora è possibile fluttuare sopra i precipizi. Si smette di pagar dazio alla ragionevolezza. Il rigore va nell’immondizia (per l’odio c’è la raccolta differenziata). L’ambizione diviene sospetta. Salgono le quotazioni delle relazioni. Più preziose delle pietre preziose; altro che topazio! Sull’onda dell’entusiasmo, zio Paperone dimentica l’avarizia, moltiplica le donazioni e scopre i tesori dell’amicizia (all’orizzonte le nozze con Brigitta?).
Addio alla preoccupazione per la disoccupazione. Basta con i pozzi e le trivellazioni: l’oro nero non è il petrolio, bensì la liquirizia! Drastica riduzione della violenza, sopravvivono gli screzi e le arti marziali ma non troppo. Gli extraterrestri atterrano con razzi azzurri e investono in seconde case: sulle coste è boom delle presenze marziane. Le persone anziane, non essendo più senza speranza, escono arzille dagli ospizi. Scompaiono i comizi, mentre è tutto un fiorire di pazzie, primizie, frizzi e lazzi. Gli uomini accettano la loro parzialità, le donne dicono grazie e danzano aggraziate, componendo canzoni.
Chi ha le grinze non deve più ricorrere alle pinze. Chi dava il prezzo ad ogni cosa, preso da stanchezza, si siede a sorseggiare una gazzosa. Gli animali dello zoo si tolgono lo sfizio della libertà: zebre e struzzi, all’imbrunire, gozzovigliano in città. Nell’aria si avverte che la vita è un azzardo, come un calcio di sei sponde in una sfida di biliardo. Nasce un abbozzo di consapevolezza: a forza di prevenzione del rischio, ogni azione tende alla finzione, ogni grazia alla disgrazia.
Per concludere, un piccolo quiz: indovina quante sono in questo testo le proposizioni scherzose. Sappi che non sono a bizzeffe. Anzi.
Felinosofia
La gatta fa le fusa. È grande e grossa, ma gioca affusolata. Invita al contatto, alla fusione. Fusione proprio adesso, in un luogo sulla terra, non importa il fuso orario. La gatta si avvita su se stessa, fusillo di pelo. Pelodiffusione. Filodiffusione di suono caldo e sensuale.
Sono confuso, ho pensieri alla rinfusa, mi farei volentieri un infuso. E mi sento stranamente offeso, come se fossi, d’un tratto, indifeso.
Sdraiata sul tappeto, la gatta si muove a fisarmonica, poi mi guarda negli occhi. Fase di studio. Afasia, naturalmente mia. Finalmente, la scoperta: ho un bisogno fisiologico di relazione. Miracolo di filosofia animale. Trasfusione di vita.
Ieri ero in volo, lontano da ogni cosa, chiuso in luccicante fusoliera. Un ufo. Oggi sono diffuso. Sulle bancarelle mi vendo sfuso. Uso fantasie in passato confiscate. Osanna, fanciullo! È l’ora di educazione fisica, mi dispongo a soffi, baruffe e graffi.
La storia è una lama affilata, raramente affabile. Uffa! Case come formicai, riposo tendenzialmente mai. Esistenze soffocate, affannate, infibulate. Rose ferite. Dosi fatali. Folle invasate e inferocite.
Ma la gatta spande affetto, senza fretta. Se frano lei mi afferra, se freno lei aspetta. Presenza soffice, elastica, morbida. Lei vibra e respira, se ne fa un baffo, soavemente perfetta. Perfezione benedetta e miagolante, che di tanto in tanto fa pipì. Raffinata e indifferente, ma capace di offrirsi e di soffrire. Si struscia e si sfrega, di ciò ch’è conveniente se ne frega. Si affida, poi diffida, il suo muso felino mi sfida.
Brividi a raffica. Se io fossi una gatta, questa sarebbe un’esperienza saffica? Sarò buffo, forse goffo, ma mi tuffo, e una cosa mi sorprende: non affondo. Sono diafano, sospeso sullo sfondo. E lo sfondo è l’esistenza, l’amore, la danza. Dolcemente con lo sfondo mi confondo.