Pubblichiamo un testo di qualche anno fa, un racconto personale di una iniziativa politica che è stata la tappa importante di un percorso
Perché la ricerca di quella strada è ancora in corso e dovrà portare molto al di là delle ricorrenze
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Andare per un’altra strada. Riflessioni sul convegno “Le parole non bastano”
(Milano, 21-22 novembre 2012).
– di Alessio Miceli –
Appena “uscito dal tunnel” degli impegni intorno al 25 novembre, mi fermo a ripensare al convegno del 21 e 22 novembre a Milano, promosso da Maschile Plurale e dalla Casa delle donne maltrattate (Le parole non bastano. Donne e uomini contro la violenza maschile sulle donne).
Mi sembra che ci sia sempre più bisogno di ascolto, di darci un tempo anche successivo ai vari eventi che promuoviamo, un tempo di raccolta della nostra esperienza, perlomeno quando maturiamo dei passi importanti.
Così mi è sembrato questo convegno: un momento di scambio, di intelligenza collettiva sul nostro tema e anche un passaggio caldo, affettivo tra chi l’ha promosso e poi nella chiamata di altre e altri.
Non ho sentito l’odore stantio della ritualità, forse perché ponevamo davvero delle domande ai nostri interlocutori, a partire da quella principale: “cosa stiamo facendo e cosa altro possiamo fare, ciascuno/a nel suo contesto, perché la violenza di tanti uomini contro le donne venga riconosciuta e possa poi finire?”
Il mercoledì mattina abbiamo aperto con i saluti dell’assessore Majorino, che ha saputo “incassare il colpo” della nostra critica alle istituzioni quando impostano l’antiviolenza come politica di sicurezza (rimuovendone la dimensione strutturale a carico di noi stessi, della nostra società e a partire dalle relazioni intime) e solo in termini di servizi (delegata ai tecnici).
Majorino mi sembrava sincero nel dire che dei servizi di qualità sono anche necessari in questo campo, come l’accoglienza delle donne che hanno subito violenza, e che le istituzioni dovrebbero garantirli, ma che accoglieva la nostra impostazione per cui i servizi sono soltanto un tassello dell’antiviolenza e che il problema principale è fare esplodere nell’intera società questo dibattito politico, per il cambiamento di una cultura maschile dominante che implica la violenza sulle donne.
Abbiamo poi iniziato i lavori con due dialoghi tra donne e uomini, il mio con Marisa Guarneri, quello di Marco con Manuela Ulivi.
Questi dialoghi hanno alle spalle una pratica, sono iniziati tre anni fa (novembre 2009) con la convocazione da parte nostra di un tavolo non istituzionale tra donne e uomini a Milano. Ci siamo visti a cadenza mensile per un anno e mezzo, fino ad un primo incontro pubblico alla Camera del lavoro di Milano (maggio 2011), per poi iniziare a costruire questo convegno. C’è dietro una volontà e un affetto, un progetto politico comune e tutta la cura che richiede.
Abbiamo costruito così una relazione di fiducia e direi di “amicizia politica” anche tra le nostre associazioni e quindi tra i nostri mondi di riferimento: la Casa delle donne maltrattate di Milano, un grande centro antiviolenza tra quelli di matrice femminista (quelli che assumono come principio di cura la relazione tra donne e che oggi compongono la rete D.I.Re – Donne in rete contro la violenza) e la nostra rete di Maschile Plurale, critica verso la cultura del dominio e che mantiene la relazione con il movimento delle donne e con la loro libertà.
Mi sembra un passo importante nei rapporti post-separatisti tra i sessi (pure con il valore che personalmente continuo ad attribuire ai contesti separati, ma in una storia che si muove).
La fiducia che si è stabilita è quella di potere pensare insieme, di confrontare le nostre immagini della violenza e del suo superamento. Il progetto è di farne una questione politica dal basso tra donne e uomini che lo vogliano, a partire dalle città dove viviamo, e questo è stato anche l’orientamento che abbiamo cercato di dare al convegno.
In questa chiave abbiamo cercato il rapporto con la città, con altri soggetti dell’antiviolenza.
Nella seconda parte di mercoledì mattina abbiamo chiamato donne e uomini nell’ambito delle professioni e istituzioni connesse alla violenza maschile sulle donne (il magistrato Fabio Roia per l’ambito giudiziario, l’antropologa Lucia Portis per l’ambito sanitario, la sindacalista Fulvia Colombini per quello lavorativo), ma che avessero messo in discussione il loro mondo di riferimento lavorando su alcune domande di fondo, per esempio:
- come si fa “giustizia” rispetto a questa specifica violenza, cosa c’è e cosa manca nel dispositivo del processo?
- come si favorisce e si accoglie, oppure si ignora e implicitamente si rifiuta, in ambito sanitario, la narrazione delle donne che hanno subito questa violenza?
- il ripensamento anche sindacale dei rapporti di lavoro tra i sessi, tanto più in tempi di crisi economica, può essere una leva di cambiamento nella prospettiva di relazioni non violente?
E ancora, il pomeriggio del mercoledì abbiamo invitato alcune Associazioni che coltivano le relazioni tra donne e uomini, per chiedere loro se e come riescono a maturare risorse positive per decostruire e superare questa violenza.
Con questo passaggio abbiamo cercato di portare il discorso sulla violenza e sull’antiviolenza al di fuori del suo perimetro attuale, fuori dalle politiche fin qui esistite in Italia e dalla sola ottica dei servizi, evidentemente insufficienti. Il senso, la domanda di fondo era se donne e uomini possano parlarsi apertamente di questo problema, che rimanda all’intero complesso della loro vita quotidiana, per maturare nuove relazioni non violente.
Su questo abbiamo sentito diversi racconti:
- Beppe Pavan sull’esperienza del gruppo Uomini in Cammino, anche in relazione con l’associazione Svolta Donna
- Adriana Sbrogiò e Marco Cazzaniga sull’esperienza dell’associazione Identità e Differenza
- Alberto Leiss e Letizia Paolozzi sula base della loro collaborazione di scrittura, ultimamente per il Sito DeA – Donne e Altri
- Stefano Ciccone, in particolare per le sue collaborazioni di scrittura sulla violenza: prima con il gruppo di Angela Azzaro sul quotidiano Liberazione, poi con il sito Zero Violenza Donne coordinato da Monica Pepe
Infine la mattina del giovedì 22 abbiamo aperto il dibattito, per sentire come la città avrebbe risposto all’input di assumere in diversi contesti il tema della violenza maschile contro le donne, quindi di farlo circolare come tema politico.
Tra gli alti interventi, abbiamo avuto la partecipazione di:
- Carmen Leccardi, che ha riportato il quadro sociologico della transizione nei rapporti tra uomini e donne (“tra ciò che non è più e ciò che non è ancora”), per concludere sull’importanza dell’educazione a cui dovrebbe rispondere anche l’università
- Aldo Bonomi, sociologo, che ha dato una lettura della città di Milano ai diversi livelli in cui si collocano “la comunità del rancore” e la violenza maschile sulle donne o invece “la comunità della cura” e la possibile uscita da questa violenza
- Sara Donzelli ed Eleonora Cirant, che hanno raccontato le loro esperienze educative nelle scuole sulle relazioni sessuate e la violenza, in collaborazione con formatori uomini, rispettivamente attraverso il teatro e altri laboratori
- Ico Gasparri, che ha tracciato il percorso con cui ha fotografato in circa vent’anni (1991 – 2011) seicentotrenta campagne di pubblicità per affissioni stradali “che istigano alla violenza contro le donne”, archivio che ha reso disponibile in rete e tramite una mostra
- Maurizio Giannangeli dell’associazione Officina, che ha presentato una campagna rivolta agli uomini contro la violenza maschile sulle donne e i suoi elementi di novità nella comunicazione, campagna progettata assieme a Maschile Plurale e di prossima uscita
Alla fine di un’occasione come questa, del lavoro e della passione politica che ci abbiamo investito, arrivano due domande: “com’è andata?”, “e poi cosa succede?”. Le due cose mi sembrano profondamente legate.
Penso sia andata bene, se anche nella differenza di linguaggi a volte stridente (sia tra soggetti di movimento, che tra questi e i soggetti delle istituzioni/professioni) abbiamo stabilito un altro orientamento, se abbiamo trovato delle parole trasformative che possano segnare un’altra direzione dell’antiviolenza: cioè la lettura di questa specifica violenza degli uomini sulle donne come fatto politico e quindi la ricerca di una soluzione nella politica dal basso (perché dalla politica rappresentativa niente di decisivo è venuto fino ad oggi). Una politica che faccia leva sulle relazioni tra donne e uomini, a partire da chi ha fatto o sta facendo questi percorsi di consapevolezza di sé e dell’altro, che si rendano visibili in diverse città e contesti di vita per trasformarli, per svelarne la violenza e decidere i modi per superarla.
Ma che sia andata così, che questo convegno abbia effettivamente indicato una strada, penso che in realtà lo sapremo soltanto da cosa succederà dopo. E che la nostra responsabilità sia ancora di chiedere alle donne e agli uomini nostri interlocutori se vogliano fare succedere, nei propri contesti, le cose di cui abbiamo discusso insieme. Come dire che la strada viene segnata dai nostri passi, esiste soltanto se qualcuno ci cammina.