Dopo la presentazione delle intese Stato Regioni sul contrasto alla violenza di genere.
La violenza maschile contro le donne è un fenomeno complesso e radicato in una cultura diffusa: per contrastarlo non basta la repressione, serve un approccio integrato che supporti l’autonomia e la libertà delle donne, promuova il cambiamento degli uomini e trasformi le relazioni nella società.
Lo scorso 13 settembre il Dipartimento Nazionale Pari Opportunità ha presentato alle associazioni e alle reti impegnate nel contrasto alla violenza maschile contro le donne le due “intese” tra Stato e Regioni che inquadrano l’attività dei Centri Antiviolenza (CAV) e dei centri che operano con autori di violenza (CUAV).
È l’esito di un percorso lungo e articolato che ha visto un ampio dibattito tra le tante esperienze sociali esistenti e le istituzioni. Una novità significativa è il riferimento al lavoro con uomini che agiscono o potrebbero agire violenza nelle loro relazioni. È un passo importante che assume l’indicazione della Convenzione di Istanbul di adottare “le misure legislative e di altro tipo necessarie per istituire o sostenere programmi rivolti agli autori di atti di violenza domestica, per incoraggiarli ad adottare comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali, al fine di prevenire nuove violenze e modificare i modelli comportamentali violenti”. Se, infatti, come le organizzazioni impegnate nel contrasto alla violenza affermano da anni, la violenza non può essere ridotta a devianza criminale individuale o a patologia, allora è necessario non limitarsi alla necessaria risposta repressiva ma si deve, e si può, promuovere un cambiamento culturale nel modo di intendere le relazioni tra i sessi, i modelli di famiglia, mettere in discussione ruoli e modelli di genere consolidati. L’intesa siglata, richiamando il preambolo della Convenzione di Istanbul, afferma che “i programmi per gli autori di violenza si basano sulla convinzione che sia possibile intraprendere un cambiamento, poiché la violenza nella maggior parte dei casi è un comportamento appreso e una scelta”. È evidente quanto sia prezioso l’impegno per promuovere l’autonomia delle donne e la loro emancipazione da relazioni violente. Al tempo stesso è necessario accompagnare il sostegno alle donne nel processo di uscita da una relazione violenta con un’azione che contrasti la possibilità che gli uomini che hanno agito violenza, controllo e abuso in quella relazione le ripropongano con altre donne. Il fenomeno della violenza è complesso e sistemico, frammentarlo in interventi settoriali rischia di non riconoscere questa complessità e di non affrontarlo davvero: la convezione di Istanbul prescrive che le politiche di contrasto “siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima; e siano basate su un approccio integrato che prenda in considerazione il rapporto tra vittime, autori, bambini e il loro più ampio contesto sociale”. Il lavoro con autori di violenza è parte integrante del sistema di contrasto della violenza di istituzioni centrali e locali, centri antiviolenza, associazioni della società civile: come recita l’intesa, “I C.U.A.V. si inseriscono nella sfera degli interventi a tutela delle donne e dei minori, appartengono al sistema dei servizi antiviolenza pubblici e privati e lavorano tra loro in stretta sinergia.” Questi centri, dunque, non svolgono una tutela diretta delle donne ma svolgono un ruolo nel sistema che persegue questo obiettivo. Non sono centri “a sostegno degli uomini” ma promuovono il loro cambiamento nell’interesse delle donne e della società. Il quadro definito dall’intesa è un utile riferimento in cui approfondire questioni controverse e complesse come la valutazione e la gestione del rischio. Consideriamo corretto, come fa l’intesa, precisare che “attestare che l’utente ha intrapreso ovvero ha concluso un programma non ha valore di valutazione del programma e/o del cambiamento effettivo dell’autore di violenza”. Per quanto riguarda la possibilità di contattare la donna per segnalarle situazioni di rischio, e non l’avvio da parte dell’uomo del percorso, i diversi centri esistenti adottano approcci differenti che prevedono o meno questa soluzione. C’è però una comune condivisione sulla necessità di adottare procedure molto rigorose che impediscano un uso strumentale o manipolativo della notizia della partecipazione da parte dell’uomo al percorso. Resta invece la necessità di una effettiva integrazione tra tutti i soggetti che costituiscono le reti territoriali di contrasto della violenza. Il fenomeno che dobbiamo affrontare è lo stesso e va compreso e nella sua complessità. Il lavoro su questo terreno necessita ancora di un confronto sulle metodologie e di una riflessione politica e culturale che eviti i rischi di medicalizzazione e di approcci riduttivi e semplificati. Per questo è necessario uno spazio di dialogo e di interrogazione reciproca tra tutti i soggetti impegnati nel contrasto della violenza.
Come uomini impegnati in Maschile Plurale invitiamo tutte le donne con cui in questi anni abbiamo condiviso un impegno contro la violenza e le sue radici in una cultura patriarcale, a costruire insieme un’occasione di condivisione e confronto a partire dalle nostre esperienze e dalle nostre riflessioni.
Stefano Ciccone, Domenico Matarozzo, Alberto Leiss, Luca Battaglia, Antonio Romeo, Fabrizio Paoletti
Commenti recenti